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Reporter per un giorno TSD: l’intervista di Raffaelina Di Palma a Marina Marazza

Oggi il salotto di TSD ha il piacere di ospitare la scrittrice Marina Marazza, che gentilmente ha accettato di rispondere ad alcune nostre domande.

Ma prima, per conoscerla meglio, un breve cenno su di lei.

Milanese, studi classici e laurea a indirizzo storico. Inizia a lavorare prestissimo, ai tempi del liceo. A sedici anni comincia a mettere virgole in casa editrice, prima su testi altrui, poi sui propri, facendo tutta la trafila: correttore di bozze, redattore junior, redattore, caporedattore, editor, direttore editoriale. Fa il traduttore letterario dal francese e dall’inglese. Scrive romanzi, racconti biografie, saggi per ragazzi e per adulti, sceneggia, fa ghost writing. Dopo un quarantennio come manager editoriale e più di un ventennio in multinazionale, Marina Marazza si dedica a un tipo particolare di romanzo storico, tutto basato sulla ricerca documentale.

Intervista a cura di Raffaelina Di Palma

Quanto è stato importante il suo passato di manager editoriale e quanto è stato decisivo per intraprendere il percorso di scrittrice?

Per tutta la vita mi sono alternata al di qua e al di là della scrivania. Come editor ho ricevuto proposte dagli autori, le ho vagliate, le ho accolte o le ho respinte motivando la decisione, ho accompagnato gli scrittori prescelti nelle stesure finali motivando la decisione, ho accompagnato gli scrittori prescelti nelle stesure finali dei loro libri.

Come scrittore, sono passata dall’altra parte della barricata, diventando io proponente e confrontandomi a mia volta col mio editor. Ho cercato di fare tesoro di entrambe le esperienze e soprattutto di conservare scrivendo la necessaria obiettività nei confronti della mia produzione e cercando di fare sempre meglio. Essendo alle prese con un lavoro immane per ciascun romanzo, dato che la fase di documentazione e ricerca è molto impegnativa, il mio approccio strutturato è molto utile per gestire la mole di testi e documenti, consultarli, cavarne il meglio e trasformare tutte le informazioni in scorrevole storytelling.

Per esempio nell’ultimo romanzo Le due mogli di Manzoni moltissime frasi contenute negli sterminati epistolari sono finite nei dialoghi, con un gran lavoro di sistematizzazione documentale…

In realtà avevo cominciato a scrivere da piccola; la nonna, classe 1898, mi ha insegnato l’ABC intorno ai tre anni, a quattro scrivevo e leggevo senza problemi, quindi sono partita facilitata…

intorno agli undici anni ho scritto il mio primo romanzetto sul giornalino di classe e di lì è cominciato tutto.

Nel linguaggio dei personaggi storici, come crea quell’insieme di espressioni che non sembrino “ammuffite” e allo stesso tempo dare loro una moderna incisività?

Quando si scrivono romanzi storici la questione della lingua da usare è fondamentale. Si deve riuscire a scrivere in maniera godibile e leggibile per un lettore contemporaneo, ma mai anacronistica. E’ necessario immergersi nella lingua del tempo, processo che avviene durante la fase di ricerca documentale, e poi per la verifica finale mi affido alla professoressa Frosini dell’Accademia della Crusca che ha riletto sia La moglie di Dante, dove la sfida è stata quella di “rendere” una lingua trecentesca per i lettori di oggi, sia Le due mogli di Manzoni. La scommessa è di non mettere nemmeno una nota nel testo: tutto si deve capire senza sforzo, ma la sensazione deve  essere quella di salire su una macchina del tempo grazie a una lingua che ti fa volare indietro nei secoli come una potente colonna sonora.

Le espressioni che ho ritrovato nelle lettere di Manzoni e delle sue mogli, trasferite nei dialoghi, sono freschissime e per nulla ammuffite: i sonori “Per Diana” di Manzoni, i dialettismi vivissimi, i gossip sulla Milano del tempo, tutto vero, tutto incredibilmente attuale.

Nei suoi romanzi lei presenta storie di personaggi credibili e riconoscibili, che colpiscono per la loro contemporaneità: come sviluppa il loro percorso di trasformazione durante la stesura della storia?

Mi limito a seguire i fatti. Spesso la cronaca dell’epoca, le evidenze documentali, mostrano che c’è un percorso di crescita e di cambiamento delle persone nel tempo, perché è naturale che ciò avvenga. Gli accadimenti, il tempo che passa, le relazioni interpersonali… prendiamo il caso di Tommaso Grossi, personaggio di Le due mogli di Manzoni che mi è carissimo. All’inizio lui è un giovane idealista che rischia di mettersi nei guai con gli austriaci, poi matura una maggiore consapevolezza delle sue capacità e dei suoi limiti, si fa prudente, ma adora scrivere e continua a farlo, finché la critica letteraria feroce non lo convince di non essere all’altezza e si ritira a fare il notaio…non vuole più esporsi e uno scrittore è terribilmente esposto, si dà in pasto di fatto ai suoi lettori e ai suoi critici, anche a quelli meno obiettivi e più velenosi.

Lui soffre troppo per i commenti negativi dei suoi detrattori. Anche nel suo amore per Teresa stessa evolve, per esempio, nel suo rapporto con la prima moglie Enrichetta, il cui spirito aleggia in via Morone: prima la vive come una rivale, poi come un’alleata…tutti i personaggi, che sono persone reali, di fatto, subiscono dei cambiamenti. I giovani diventano adulti, gli adulti invecchiano, essere esposti a situazioni forti ti cambia. La vita ti cambia, e nei miei romanzi c’è vita vera.

Quando il libro arriva alla stampa, la emoziona separarsi dai personaggi con i quali ha “convissuto” per un lungo periodo?

Nel momento in cui il libro viene stampato in realtà non mi separo da loro. Comincio ad andare in giro a raccontarne la storia durante le presentazioni e gli eventi, leggo di loro durante i reading, parlo di loro durante le interviste, comincio a interagire con i miei lettori alla mia mail marimara@miserereillibro.it parlando di loro, sempre di loro. Loro sono amici per sempre.

A volte penso che quando morirò me li vedrò intorno. Sono quasi tutti reali, i miei personaggi, sono uomini e donne vissuti prima di noi, che la grande porta l’hanno già attraversata. Non riesco a credere a nessun aldilà, ma un’illusione di questo tipo è consolante di fronte alla più terribile delle paure dell’uomo. Come Teresa che alla fine immagina che Tommaso sia venuto a prenderla con la carrozza, insomma, per portarla via con lui in un posto migliore.

L’empatia è uno degli ingredienti basilari delle relazioni umane. Lei, Marina, riesce a crearla con i suoi personaggi, nonostante i secoli trascorsi?

Oh, ma sono loro a crearla con me! Sapesse quanti casi di serendipity, quanto aiuto mi hanno dato anche nella ricerca documentale… Ho preso in mano un epistolario di 800 pagine dove cercavo una lettera particolare sulla morte del figliolino di Tommaso Grossi e trac, il libro si è aperto al punto giusto. Cercavo un passo particolare negli atti del processo di Caterina da Broni e voilà, trovato al volo… sono entrata in una biblioteca a cercare un saggio del signorotto sulla peste di Milano e mi han detto che il testo era smarrito, un lettore lo aveva ricollocato male. Mi aggiravo desolata tra  gli scaffali dei saggi storici quando ho visto un volume che sporgeva…ci credereste? Era quello.

I miei personaggi alla fine io li conosco come degli amici, so che cosa direbbero o farebbero in certe situazioni. E cerco di far sì che questa conoscenza passi a chi legge, e che anche per i lettori diventino della presenze familiari e amiche.

I suoi romanzi, “Le due mogli di Manzoni”, “La moglie di Dante”, “Io sono la strega”, “Il segreto della monaca di Monza”, “L’ombra di Caterina”, “Miserere”, hanno tutti come protagoniste figure di donne: donne ante litteram che, in qualche modo, hanno fatto da apripista verso l’emancipazione femminile; è stato complicato calarsi nella loro psicologia e nell’epoca in cui esse hanno vissuto?

Assolutamente no. Credo che faccia parte del mestiere dello storico mettersi dal punto di vista del periodo. Mi ha fatto molto sorridere un lettore salutista che mi faceva notare come una gran colpa che nel ritratto dell’Hayez Manzoni tiene in mano una tabacchiera tonda e quindi “aveva il vizio del tabacco”, cosa che non avrei sufficientemente stigmatizzato nel romanzo. Era la prima metà dell’Ottocento, Manzoni tirava tabacco e fumava la pipa, certo, e a Milano si curava il colera col fernet Branca, quindi? Non c’è niente da stigmatizzare, solo da prendere atto. Non si misura il passato col nostro metro, troppo facile e soprattutto troppo stupido.

Per la condizione femminile poi il ragionamento è ancora più complesso. Quando ero bambina, non potevo entrare in chiesa senza un velo che coprisse i capelli, evidentemente ancora qualcuno pensava che, come dice Paolo di Tarso, i capelli delle donne potrebbero distrarre gli angeli. E non era Medio Evo, anche se ho la mia età. Alle elementari dalle suore le bambine non potevano indossare i pantaloni; ce n’era una che aveva una dispensa per motivi di salute, solo d’inverno. Una donna perbene non entrava da sola al bar , nel paese dove passavo le vacanze da piccola, che non era in Sicilia, ma nel varesotto. Quando la mia compagna di classe delle medie brava in matematica disse che avrebbe voluto fare l’ingegnere ci fu chi commentò che era un mestiere da uomo.

Le donne hanno sempre dovuto fare i conti con la mentalità del periodo in cui vivevano, soprattutto con le credenze nel dio adorato in quel luogo in quel momento, e spesso ne sono rimaste vittime. Ancora adesso in molti paesi ne rimangono vittime, perché l’orologio della storia ha ticchettato a diversa velocità, e quello che per noi è superato, anche se non da molto, in certi paesi è ancora orrore quotidiano. Inutile scandalizzarsi, non c’è chiesa che si salvi, se si guarda indietro appena un pochino. Certe religioni sono solo indietro di qualche secolo, cioè fanno quello che le nostre hanno fatto fino a poco tempo fa (e su certe continuano a fare indisturbati). L’ultima presunta strega, Anna Goeldi, i civilissimi svizzeri l’hanno giustiziata nel 1782, per intenderci: l’altro ieri della storia. E non hanno voluto riabilitarne nemmeno la memoria fino al 2008!

Ci sono altri periodi storici che l’attirano e dove le piacerebbe ambientare una nuova storia?

Certo, non c’è periodo o luogo che non nasconda bellissime storie (con la s minuscola) nella Storia (con la s maiuscola). Vi do un arrivederci in autunno nella Londra degli Anni Venti e Trenta.

Intanto, buone vacanze!     

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