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Mese Storico TSD: le maschere del carnevale – Arlecchino

Il mese di Febbraio è tradizionalmente il mese del Carnevale! TSD vuole celebrare questo periodo di festa con alcuni articoli di approfondimento su quattro maschere della nostra tradizione. Iniziamo con Arlecchino!

Le origini

Arlecchino è sicuramente, tra le maschere tradizionali di Carnevale, una delle più famose. Rappresenta un vero e proprio pezzo di storia: nasce nel 1550 a Bergamo calcando i palcoscenici della tradizionale Commedia dell’arte. Nasconde un personaggio di origine bergamasca che nelle rappresentazioni assume il ruolo dello Zanni, un servitore generalmente sciocco, ingenuo e dispettoso. 

Il nome Arlecchino nella lingua italiana è sinonimo di multicolore, in realtà la radice del suo nome è di origine germanica ed era composto anticamente da due parole Holle Konig che in tedesco significa Re dell’Inferno. Nel tempo il termine si è evoluto in “Helleking” e successivamente in “Harlequin.

Gli antichi lo identificavano tramandando racconti di una figura demoniaca e nella tradizione contadina pagana del nord e centro Europa era raffigurato come un diavolo che guidava una compagnia di morti inquieti che nella notte di Valpurga il 30 aprile, scorrazzando per i paesi in cerca di anime da portare con sé. Anche Dante nella Divina Commedia pone un Alichino nell’Inferno come capo di una schiera di demoni.

Nel medioevo, a teatro il personaggio di Arlecchino entra come saltimbanco ereditando da Zanni la maschera demoniaca nera e una tunica come quelle dei contadini bergamaschi. Tristano Martinelli fu il primo attore che interpretò Arlecchino, il cui costume era una tunica bianca con poche pezze colorate qua e là. Lo testimonia lo stesso attore in un’incisione nel libro Composition de Rhétorique del 1601 circa.

Con il tempo l’aspetto demoniaco si mitiga e anche grazie a Carlo Goldoni che Arlecchino viene adottato nel 1745 sui palcoscenici veneziani per interpretare la commedia –  Arlecchino  servitore  di due padroni – dove incarna un uomo astuto, un imbroglione sempre in prima linea per ingannare il suo padrone e fare dispetti agli altri servi che lavorano con lui.

Il costume

Arlecchino indossa un bellissimo costume colorato, una giacca e pantaloni aderenti, con triangoli rossi, verdi, gialli, azzurri disposti a losanghe, completato da una mascherina nera, ai piedi ha scarpe con un grande fiocco e in testa un cappello di feltro.

Il vestito è mutato nel tempo e una leggenda narra che sia stato confezionato dalla madre di un bambino poverissimo con ritagli di stoffa donati dai compagni di scuola per poter partecipare al carnevale 

In realtà il suo abito inizialmente era bianco ma diventa multicolore a causa dei tanti rattoppi che Arlecchino vi cuce sopra, all’inizio del Seicento le toppe cominciarono a prendere una forma regolare e geometrica. Si trasformarono in quadrati, rombi, losanghe, innestandosi su uno sfondo non più bianco, ma colorato: ora il vestito di Arlecchino non aveva più niente di misero ed ispira allegria  . Alla cintura porta infilato il suo fedele bastone di legno “il batocio“ che un tempo veniva usato per mescolare la polenta e che gli serve per darle e prenderle nelle liti in cui si imbatte.

Il carattere

Arlecchino ha un carattere vivace e allegro, in apparenza fa la parte del servo sciocco ma in realtà è astuto sempre pronto a trarre in inganno e a fare dispetti. È noto per la sua agilità, si muove saltellando, fa piroette, inchini e capriole, inciampa e cade. Ne combina di tutti i colori, inventa imbrogli e burle a spese dei padroni avidi e solitamente taccagni dei quali è a servizio, ma non gliene va bene una. Arlecchino non è uno stupido, magari un po’ ingenuo, talvolta forse un po’ sciocco ma ricco di fantasia e immaginazione. In quanto a lavorare nemmeno a parlarne, egli è la più simpatica fra tutte le maschere.

Perennemente senza soldi, la sua preoccupazione principale è quella di procurarsi del cibo è sempre affamato ne inventa di tutti i colori pur di mangiare e spesso per questo finisce nei guai.

Agli inizi della sua carriera si esprimeva solitamente con linguaggio scurrile e dialettale, spesso per monologhi che non avevano né   capo né coda,  s’ingarbugliava facilmente.   Il suo linguaggio era il più sboccato tra quelli adoperati dalle maschere della Commedia dell’arte e tale restò, graditissimo al pubblico, per tutto il Seicento. Aveva anche a disposizione un repertorio di canzonacce popolari, ricche di doppi sensi e bisticci di parole oscene. Nel Settecento venne censurato in Francia e gli attori che lo impersonavano dovettero modificare il suo linguaggio.

Arlecchino è una maschera brillante e simpatica, si esprime con una voce stridula e canticchia invece di parlare. Ancora oggi, dai palcoscenici dei teatri o nel mezzo di una festa di carnevale, incanta e diverte il pubblico dei bambini e non solo.

Ne combina di tutti i colori, proprio come il suo costume.

Arlecchino e Colombina

Arlecchino è fidanzato con Colombina una serva vanitosa e un po’ maliziosa che ha attirato le attenzioni del suo padrone, Pantalone, scatenando la gelosia di Arlecchino. Anche Colombina è una maschera molto antica, si trova già nelle commedie di Plauto tra le ancelle, nel 1530 è menzionata  in una commedia di Virgilio Verucci pubblicata nel 1628. È di origine veneziana, ed incarna il tipo comico della servetta carina, profondamente affezionata alla sua padrona, Rosaura, altrettanto bella e graziosa, Colombina si trova sempre in mezzo ai “pasticci” e combina imbrogli su imbrogli.  Seducente di natura, astuta e vivacissima, spesso accompagnata dal suo amato Arlecchino.

Per fare un vestito ad Arlecchino
ci mise una toppa Meneghino,
ne mise un’altra Pulcinella,
una Gianduja, una Brighella.

Pantalone, vecchio pidocchio,
ci mise uno strappo sul ginocchio,
e Stenterello, largo di mano
qualche macchia di vino toscano.

Colombina che lo cucì
fece un vestito stretto così.
Arlecchino lo mise lo stesso
ma ci stava un tantino perplesso.

Disse allora Balanzone,
bolognese dottorone:
“Ti assicuro e te lo giuro
che ti andrà bene li mese venturo
se osserverai la mia ricetta:
un giorno digiuno e l’altro bolletta!”.

 G. Rodari

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