Narrativa recensioni

Recensione di “Falconera” – Fabio Ceraulo

Recensione a cura di Laura Pitzalis

Conosco il Fabio Ceraulo autore per aver letto altri due suoi romanzi, “Il tredicesimo giorno” e “El diablo”. Quello che più mi attrae dei suoi romanzi è che trattano di storie cadute nell’oblio o, addirittura, sconosciute perché mai menzionate nei libri di storia. Storie spiacevoli, ignobili, ingiuste e “nascoste”, ma, è ormai comprovato, la Storia è scritta dai vincitori. Storie forti, amare, terribili dove a pagarne le conseguenze sono sempre i più deboli, i più umili, quelli che hanno vissuto sulla loro pelle gli eventi storici. Storie che riguardano la sua terra, la Sicilia.

Nel suo ultimo romanzo, “Falconera”, Spazio Cultura Edizioni, Ceraulo non si smentisce riportando alla luce un’altra pagina di storia dimenticata: la sommossa del 1° gennaio 1862 di Castellammare del Golfo e la sua tragica repressione avvenuta il 3 gennaio.

Siamo in Sicilia nel 1860 proprio a Falconera, borgata rurale sul colle che sovrasta Castellammare del Golfo, oggi non più esistente. Garibaldi è sbarcato a Marsala e marcia verso Palermo.

… Due rullate, poi Cannata srotola un foglio e la sua voce esplode nel silenzio del mattino. “Sentite, sentite, sentite… La prefettura di Palermo comunica quanto segue. Due imbarcazioni piene di uomini armati, guidati dal filibustiere chiamato Garibaldi, hanno preso terra ieri l’altro, di mattina, al porto di Marsala … La banda potrebbe procedere in direzione di Palermo, passando da queste zone. Chiunque si mostri benevolo e offrirà ospitalità e cibo a questi furfanti, sarà immediatamente fucilato. Lo stesso accadrà a chi si vorrà unire ai detti filibustieri. Qualsiasi decreto emanato da Garibaldi in terra di Sicilia, è da considerarsi nullo. Oggi, 13 maggio 1860, per volere di Sua Maestà, re Francesco II”.

Nulla, però, può arrestare la marcia delle “camicie rosse” e alla caduta del regime borbonico, la Sicilia, come il restante Meridione, viene annessa allo nascente stato italiano sotto il governo di Casa Savoia. L’iniziativa garibaldina di tipo rivoluzionario, che prometteva la spartizione dei terreni ai braccianti e l’abolizione della tassa sul macinato, alimenta nella povera gente del borgo la speranza di un vero cambiamento che però, il “Il Gattopardo” docet, avvenne solo perché tutto rimanesse come prima: i signori continuano a fare i signori e i poveracci, “i piedi in testa ieri e pure oggi”, si ritrovano peggio di prima, a causa delle speculazioni dei nuovi arricchiti, i cosiddetti “cutrara”, approfittatori senza scrupoli asserviti al governo piemontese.

… Tutti bravi a fare la rivoluzione, viva Garibaldi! Per che cosa? Per farci mettere di nuovo i piedi in testa! Un giorno ci ribelliamo, il giorno dopo ci caliamo le brache, altro che libertà! In questa terra non nasce niente, non cresce niente. Solo malattie, pidocchi e la colpa di avere le pezze nel didietro!”

L’introduzione della leva militare obbligatoria che, per ben sette anni, avrebbe tenuto i tanti giovani lontani dalle terre dalla cui coltivazione traevano il loro unico sostentamento, fu la scintilla che accentuò il malcontento della gente, soprattutto quella più umile, portando la maggior parte dei giovani chiamati alle armi a darsi alla macchia. Inoltre, la leva obbligatoria riguardava quasi esclusivamente le famiglie più povere dell’Isola dal momento che si poteva essere esonerati pagando e così i ricchi signori pagano per i figli e per i loro braccianti e le loro terre continuano a produrre.

Queste ingiustizie e l’essere costretti a vivere per molto tempo in fuga nel freddo e nei disagi portano i giovani renitenti alla leva, considerati disertori, ad organizzarsi armandosi come potevano e il 1° gennaio 1862 entrano a Castellamare dando inizio a una sanguinosa rivolta con conseguenze drammatiche.

“La tumultuosa processione sta dando l’assalto al paese, volti feroci di persone che reggono in mano fucili, pistole, pugnali, falci, qualche ascia … I rivoltosi scendono come un torrente impazzito … In breve, la folla invade la strada grande. Il paese è ancora mezzo addormentato, in giro ci sono solo un paio di gendarmi e alcuni pescatori. Le urla di una donna affacciata a un balcone danno l’allarme. Il sangue inizia subito a scorrere. Le guardie vengono travolte, una è uccisa da una fucilata, l’altra scappa verso il porticciolo, la inseguono, la pestano a morte e gettano il corpo dalla scogliera …”

La furia vendicativa dei piemontesi non si fa attendere e centinaia di bersaglieri si muovono alla ricerca degli insorti riuscendo a trovare solo, in contrada Falconera, un gruppetto di indigenti storpi e malati che don Benedetto, parroco di Castellamare, era riuscito a mettere in salvo dal paese in fiamme. Ma pur sempre nascosti, quindi briganti, quindi da giustiziare subito senza processo per adempiere al loro “compito di giustizia”.

“… Perché siamo complici, colpevoli anche noi. Stiamo sempre ad aspettare tutto senza muovere un dito. Aspettiamo che si fa giorno, che si fa notte, aspettavamo re Francesco e poi Garibaldi. Aspettiamo la vendemmia, la pioggia, lo scirocco. I fiori di zagara a maggio e i limoni da mangiare a strica sale. Per tutto il resto ci voltiamo dall’altro lato”.

Questo è il passaggio del libro che più mi ha fatto emozionare e nello stesso tempo inorridire e Fabio Ceraulo lo ricostruisce meravigliosamente con grande pathos rendendo palpabile l’atmosfera tragica del momento. E fa riflettere come, ancora una volta, la Storia deve essere reinterpretata non col dire chi in una certa situazione è stato il “buono”, (i bersaglieri che ripristinano la giustizia), e chi il “cattivo”, (i briganti, i sovversivi che uccidono e razziano), ma col capire perché certe cose sono accadute. Fabio Ceraulo lo fa in questo romanzo, raccontandoci la variegata vita dei personaggi, descrivendoli con le loro imperfezioni e i loro pregi, con le loro passioni e i loro segreti, descrizioni intense e vibranti. La maggior parte sono personaggi realmente esistiti, pochi quelli frutto della fantasia dell’autore, così ben inseriti nel contesto storico che è difficile stabilire quali siano i veri e quali gli inventati.

Non c’è un protagonista assoluto, tutti lo sono, anche se qualcuno l’ho amato più degli altri perché pervasi da grande senso di umanità: il proprietario terriero don Faro, personaggio di fantasia, uomo malinconico e tormentato dal ricordo della moglie prematuramente scomparsa; la levatrice, donna Francesca Galante, realmente vissuta, donna burbera a tratti villana, ma sempre disponibile a chi le chiede aiuto; il parroco don Benedetto, personaggio reale, uno che si sbraccia per sfamare e aiutare le persone più deboli pagando un prezzo molto alto, (mi ha ricordato molto la figura di Don Giuseppe Puglisi); la piccola e ingenua Angelina, reale anche lei, anima tenera e candida che mi ha molto emozionato.

Un libro, scritto con uno stile quasi didascalico, distaccato, perché è la Storia che parla e non c’è bisogno di espedienti letterari né artificiose tecniche di scrittura. Ceraulo ci coinvolge nella storia attraverso la sfera sensoriale: Il profumo dei pini, dei cedri e dell’incenso, il puzzo dei miserabili, l’odore di zolfo e sangue; il crepitio di fucili, le urla delle partorienti, il bisbiglio delle preghiere; il gradevole sapore delle paste di mandorla, del rosolio, della focaccia “appena sfornata, con olio, sarde salate e caciocavallo fresco”, del dolce e amaro dei limoni con il sale …

Ottimi i dialoghi dal linguaggio consono al periodo e alla situazione con l’inserimento del dialetto siciliano e piemontese, naturalmente accompagnato con delle note esplicative a piè pagina.

Un romanzo che consiglio soprattutto a chi vuole vivere emozioni forti, per chi vuol capire cosa veramente successe in quell’angolo dimenticato della Sicilia dove avvennero fatti di una gravità inaudita che tutti dovrebbero conoscere e su cui tutti dovrebbero riflettere.

La storia è piena di atti di giustizia, eseguiti commettendo gravi ingiustizie


PRO

Il retaggio di un evento storico che deve rimanere nella memoria storica e divulgato perché non vengano dimenticate le persone che hanno lottato per la giustizia e per questo sono morte.

CONTRO

(Per chi volta la faccia dall’altra parte): costringe a riflettere

Sinossi

Sicilia, 1860. A Falconera, una contrada di campagna immersa tra i pini, sul colle che sovrasta Castellammare del Golfo, la gente ha saputo dell’arrivo di Garibaldi, un evento che dovrebbe determinare il cambiamento epocale che i “galantuomini” della comunità attendono per capire da che parte schierarsi. Qui si intrecciano le vicende di vari personaggi, tra cui il ricco possidente don Faro, un uomo tormentato dai ricordi, gli arrivisti Francesco e Bartolomeo, l’umile famiglia Romano, la levatrice Francesca Galante, don Benedetto, il parroco impegnato a sfamare i poveri e l’avvocato Oliveri, di idee rivoluzionarie. Nella piccola comunità il passaggio dai Borbone ai Savoia e le nuove leggi alimenteranno dei contrasti, determinando un crescente malessere che coinvolgerà tutti quanti, senza distinzione di ceto sociale, trasformandolo presto in una polveriera pronta a esplodere.

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