Recensione a cura di Sara Quiriconi
La storia che ci racconta Marcello Simoni si svolge tra la Firenze di Cosimo de Medici, Alghero e un monastero sperduto in Catalogna.
Siamo nel 1460 ad Alghero, un mercante ebreo incontra l’agente di un mercante fiorentino in gran segreto per affari. Assistiamo a una trattativa per scoprire la corretta ubicazione di un leggendario tesoro: quello di Gilarus d’Orcania, un saraceno scomparso ai tempi del grande Carlo Magno.
Allo stesso tempo a Firenze incontriamo Bianca De Brancacci, moglie di Teofilo Capponi, astuto mercante e membro della Confraternita di San Martino.
Questa confraternita fondata nel 1442 è composta da dodici uomini. E’ nata con lo scopo di soccorrere “i poveri vergognosi”, cioè le famiglie benestanti cadute in disgrazia. Infatti, i membri, venivano chiamati “buonomini” e questa compagnia esiste ancora adesso.
Uno dei protagonisti è Tigrinus, nuovo personaggio dell’autore, conosciuto già nel primo volume della saga: “L’eredità dell’abate nero”. Uomo alto e snello, ladro dal cuore d’oro, astuto ed enigmatico con una particolarità: capelli corvini e un ciuffo striato di bianco. E’ un personaggio che adoro. Non conosce le sue origini, ma è cresciuto a Firenze sotto la protezione di Cosimo de’ Medici in un convento. Nel precedente romanzo sfugge alla forca, incolpato ingiustamente di un omicidio, perché stringe un patto con Cosimo: dovrà affrontare un lungo viaggio per mare alla ricerca di un uomo sfuggente. L’abate nero.
Mentre nel primo romanzo Trigrinus è in conflitto con l’altra protagonista, Bianca de’ Brancacci, in questo secondo capitolo i due si trovano a stringere un patto per svelare i segreti che portano al tesoro di Gilarus d’Orcania.
Oltre ad adorare Tigrinus questa volta mi sono avvicinata di più a Bianca. Donna forte, decisa, alla ricerca della sua indipendenza, la sua libertà. Tra i due protagonisti si percepisce una certa complicità e le loro vicende si snodano fra intrighi, bugie e viaggi.

Quello che mi piace maggiormente dei libri di Marcello Simoni è che vi trovo descrizioni accurate e dettagliate dei luoghi. Durante la lettura sembra di spostarsi negli spazi descritti e camminare o nascondersi tra le strade o i boschi insieme ai personaggi. L’autore descrive una Firenze medievale in perfetto stile dell’epoca, ricreando l’atmosfera del tempo seguendo gli usi e i costumi.
Mi piace anche come delinea i personaggi, riesce a renderli veri tramite le descrizioni dei loro sentimenti. Non esiste niente di soprannaturale ma solo sensazioni e sentimenti trasmessi tramite le sue parole.
“Inoltre c’era Suor Assunta. Quella monaca era l’unico affetto che gli restava. L’unica persona al mondo in grado di capirlo e in diritto di rimproverarlo. Parlare con lei, lasciando trapelare i propri intenti, equivaleva a chiedere il permesso a una madre. Confessare una colpa prima ancora d’averla commessa.”
Un personaggio che ho amato di più rispetto al precedente romanzo è stato Caco, amico di Tigrinus. Personaggio nano che, pur col suo carattere scontroso, si dimostra amico vero del protagonista e lo affianca in ogni sua avventura.
Ora non mi resta che rimanere in attesa del terzo capitolo per continuare a seguire Tigrinus e Bianca.
