Recensione a cura di Anna Cancellieri
Tre aggettivi per definire questo libro: bellissimo, sconvolgente, necessario.
Bellissimo: per la qualità della scrittura, il ritmo incalzante della narrazione, i personaggi indimenticabili.
Sconvolgente: perché i fatti sono veri, sono terribili, e leggerli sarà uno shock anche per chi, come me, li conosceva almeno in parte.
Necessario: perché… lo spiegherò alla fine.
Il ricco intellettuale armeno Gabriele Bagradian torna nel paese natale con la moglie francese e il figlio adolescente, dopo più di 20 anni passati a Parigi. Il paesaggio familiare e idillico è dominato da un’aspra montagna, il Mussa Dagh.
Durante il primo conflitto mondiale, in questo territorio lontanissimo dalle zone di guerra cominciano a filtrare voci sinistre: interi villaggi evacuati, schiere di deportati armeni che percorrono stremati la via verso il deserto, lasciando per strada migliaia di cadaveri. Sarà vero? Gabriele, che non condivide l’atavica rassegnazione del suo popolo, si dà da fare per riportare la famiglia in Europa. Troppo tardi: i passaporti sono sequestrati e la pulizia etnica è cominciata, senza riguardi per nessuno.
Mentre sulla valle si stende la cupa consapevolezza dell’ineluttabile, Bagradian si diletta a esplorare il Mussa Dagh, si trattiene a parlare con la gente dei villaggi, traccia mappe misteriose. Nessuno intuisce il folle progetto che sta maturando nel profondo della sua natura di ufficiale e uomo d’azione. Il Mussa Dagh è imprendibile come una fortezza: se il grosso delle truppe turche è dislocato sul fronte di guerra, non sarà impossibile difendersi da un manipolo di militari che non lo conoscono pietra a pietra come lo conosce la sua gente.
Il segretario di Gabriele, che l’ha assecondato nelle scorribande, è il primo a capire.
«Ma queste cinquemila persone vorranno quello che vuole lei, effendi?»
«Se non vogliono, meritano la morte comune nel fango della Mesopotamia… Io voglio combattere! Voglio uccidere tanti turchi quante sono le nostre cartucce! […] Io non voglio vivere, voglio avere un valore!»”
Quando infine giunge il temuto ordine di deportazione, il suo appello irresistibile smuove gli inerti valligiani, che nel giro di pochi frenetici giorni si trasferiscono in massa sulla montagna, pronti a vendere cara la pelle.
Si potrebbe pensare che, senza una personalità carismatica come Bagradian, gli armeni non sarebbero riusciti a organizzarsi e a resistere così a lungo (più di cinquanta giorni in realtà). Sono rimasta delusa nello scoprire che è un personaggio immaginario, ma subito la delusione si è trasformata in ammirazione: questo popolo pacifico di contadini, artigiani, pastori, è riuscito a tener testa all’arrogante turco guerriero senza nessuna guida esperta, con le sue sole forze. Un’impresa stupefacente, epica, quasi biblica.
Mentre proviamo entusiasmo per l’eroica resistenza, non possiamo che provare orrore per il modo lucido e spietato con cui lo sterminio di un intero popolo veniva pianificato e portato a compimento nella più grande segretezza, approfittando del conflitto che incendiava l’Europa.
L’autore ce lo mostra attraverso gli occhi di una figura storica: il pastore protestante tedesco Giovanni Lepsius, che si prodigò con ogni mezzo per fermare l’ecatombe.
Fallisce dapprima nel colloquio con Enver Bey che, insieme a Talaat e Jemal, compone il disumano triumvirato a capo del governo turco. Ma non si deve credere che tutti i turchi la pensassero alla stessa maniera. Nei poveri villaggi, dove turchi musulmani e armeni cristiani convivono in pace e armonia, si assiste a scene indicibili.
E il mudir poté vedere alcuni dei suoi propri compatriotti gettarglisi ai piedi, supplicandolo:
«Lasciali con noi! Non hanno la vera fede, ma sono buoni! Sono nostri fratelli. Lasciali qui con noi!»”
E numerosi sono i turchi che, sebbene minacciati di severe punizioni, cercano di portare aiuto al passaggio degli infelici.
Ancora più illuminante e orribile è il colloquio con il Consigliere tedesco. A onta della segretezza, i governi europei sanno tutto ma, invischiati come sono nella guerra insensata, non possono che deplorare. “Si facciano pressioni sul governo turco!” supplica Lepsius.
Non si può: la guerra è perduta senza l’alleanza della Turchia, non la si può molestare ficcando il naso nei suoi affari interni. L’Armenia va abbandonata al suo destino.
Il colloquio si conclude con l’ultima agghiacciante domanda.
«Non si è mai chiesto, Dottor Lepsius, se le minoranze nazionali non rappresentino dei turbamenti superflui e se non sarebbe meglio che sparissero?»
Intuizione profetica. Il libro è pubblicato nel 1933, ma l’autore, ebreo, già vede nello sterminio degli armeni una prova generale del futuro sterminio che lo riguarderà da vicino.
Nonostante il milione e mezzo di morti, nonostante la mole di testimonianze e prove schiaccianti, la Turchia si ostina a negare il “genocidio”. La sola parola viene considerata così offensiva e addirittura illegale, che a ogni riconoscimento ufficiale da parte di una nazione, si risponde con proteste e con il ritiro dell’ambasciatore turco.
Lo scopo del negazionismo è ovvio: che tutto finisca nell’oblio. “Chi parla oggi dell’annientamento degli Armeni?” rispondeva Hitler a quanti gli facevano notare il rischio di pesanti ritorsioni al progettato massacro degli ebrei. Fare tutto di nascosto, ecco la soluzione ai crimini più orrendi.
Continuo a chiedermi: per quale motivo, nella stessa giornata dedicata alla memoria di un popolo perseguitato perché ebreo, non possiamo ricordare anche un popolo annientato perché cristiano?
Ho udito parole terribili pronunciate da una dolcissima ragazza armena conosciuta di recente. Parole non solo sue, ma di tutta la sua gente: “Loro vogliono l’Armenia senza gli armeni. Negano il genocidio per poterlo continuare.”
Abbiamo il dovere di non dimenticare.
Ecco perché questo libro è necessario.
Pro
Gli stessi aggettivi usati all’inizio: bellissimo, sconvolgente, necessario. È Storia, anche se romanzata, ed è tremenda e scritta benissimo. Tutti dovrebbero conoscerla!
Link cartaceo: I quaranta giorni del Mussa Dagh – Franz Werfel
Link ebook: I quaranta giorni del Mussa Dagh – Franz Werfel
Trama
Primavera 1915, nei pressi di Antiochia, Impero ottomano. Gabriel Bagradian, un armeno da tempo stabilitosi all’estero, è in visita nel villaggio natale con la moglie francese e il figlioletto quando il governo ottomano dà inizio alla deportazione e allo sterminio del suo popolo. Le comunità che abitano alle pendici del monte Mussa Dagh decidono di combattere. Gabriel Bagradian, l’intellettuale che ha studiato alla Sorbona, si trova così, quasi per caso, a guidare l’eroica resistenza di alcune migliaia di armeni asserragliati sulla “Montagna di Mosè”. Grande poema corale brulicante di personaggi indimenticabili, “I quaranta giorni del Mussa Dagh”, pubblicato nel 1933, fece conoscere al mondo il feroce sterminio del popolo armeno. Basato su una ricchissima documentazione storica, è soprattutto un romanzo epico e drammatico, una vibrata, profetica denuncia di tutti i genocidi della storia e un inno alla determinazione dell’uomo e alla sua capacità di resistere. Prefazione di Antonia Arslan.