VINCENZO CORTESE
Buongiorno Vincenzo, ti ringraziamo per essere qui con noi oggi e per il tempo che vorrai dedicarci.
Qual è stato il primo libro che ricordi di aver letto e quale ha dato l’impronta più forte per il tuo stile di scrittura?
Sinceramente non ne ho memoria. Forse alle medie. Per diletto ricordo che lessi il libro “Cuore” ma non ci metterei la mano sul fuoco sul fatto che sia stato proprio quello il primo. I miei genitori non mi hanno mai fatto mancare qualcosa da leggere ma, essendo stato sempre un tipo curioso, non riuscivo ad accontentarmi di quelle letture propedeutiche, così ho iniziato a farlo più seriamente rubacchiando dalla libreria di mio padre qualche selezione dei romanzi contemporanei del Reader’s Digest. Mi affascinavano quelle copertine, le rilegature accurate, i caratteri dorati dei titoli mi ricordavano i libri antichi ed era per me, già allora, un piacere anche solo maneggiarli. Li conservo ancora.La prima volta che ho immaginato di scrivere una storia, però, lo ricordo bene. Fu durante la lettura di un noto romanzo di Peter Benchley, “Lo squalo”. L’alternarsi dei dialoghi, le parti descrittive delle scene e la caratterizzazione dei personaggi fecero nascere in me questa fantasia, una brace sopita che è poi divampata solo qualche decennio più tardi.
Hai la possibilità di cenare con un personaggio storico (o con uno scrittore del tempo che fu): chi sarebbe e cosa vorresti chiedergli?
Jack London. Non ho ombra di dubbio. La sua vita è stata a dir poco romanzesca ed era un uomo dalla cultura immensa. Spesso si tende a limitarne il ricordo a libri indimenticabili come Zanna Bianca o il richiamo della foresta, ma London era assai più di questo. Era un marinaio, un avventuriero, un libero pensatore la cui filosofia abbracciava uno scibile multietnico. Insomma doveva essere un tipo davvero brillante e avrei la curiosità di chiedergli qual è il segreto del successo dal momento che lui riuscì ad ottenerlo in vita.
Qual è il momento della giornata che preferisci dedicare alla scrittura, se ne hai uno in particolare, oppure ti affidi all’istinto e all’estro?
Sono un ladro di tempo. La mia è una scrittura di “rapina”, so che molti colleghi mi capiranno in quanto non tutti i narratori possono dirsi scrittori di mestiere. Devo, infatti, letteralmente rubare momenti per poter scrivere. Li sottraggo impunemente al lavoro, alla famiglia e al mio tempo libero, pertanto non posso dire di avere un momento fisso in cui potermi dedicare alla scrittura. Se, tuttavia, mi fosse offerta tale possibilità, sceglierei il primo pomeriggio, dopo una bella tazza di caffè forte. Col tempo mi sono reso conto di rendere meglio in quel sonnacchioso limbo sospeso tra la sera e l’ora di pranzo.
Il libro che avresti voluto scrivere tu, e perché?
Quello dopo aver letto il quale decisi finalmente di scrivere il mio primo romanzo. Mi riferisco a “Sciamano” di Noah Gordon. Lo lessi nel chiostro cinquecentesco dell’Università durante le pause del mio tirocinio. Fu un’autentica folgorazione. Sarà stato anche perché mi trovavo in un periodo in cui era facile immedesimarsi nel protagonista, un medico alle prime armi, ma divorai quel libro con un’avidità che non avevo mai manifestato per nessun altro fino ad allora; subito dopo, infatti, acquistai “Medicus” e “L’eredità dello Sciamano”. Gordon è un vero maestro. Riesce a far rivivere il passato con una freschezza narrativa che farebbe invidia anche a un’ambientazione contemporanea. Devo pertanto ai primi due tomi della sua trilogia anche la mia grande passione per il genere storico.
Quanto conta per te l’immedesimazione dello scrittore con i personaggi delle sue storie? E se conta, è sempre solo con il protagonista o anche con i comprimari?
Immedesimarsi nei personaggi, per uno scrittore è fondamentale.
Prima di scrivere mi chiedo sempre cosa penserebbe colui o colei della quale mi appresto a narrare le vicissitudini nella circostanza in cui lo/la immagino. E ciò non vale solo per i protagonisti ma anche per i personaggi che fanno solo da comparsa. Non è facile, lo so, ma ogni volta devo “entrare” nel personaggio di turno e intuirne le reazioni, le paure, le aspettative, le premeditazioni e le conseguenze delle sue azioni.
In questa maniera, però, si finisce inevitabilmente per contaminare i protagonisti con un frammento di se stessi, con il proprio modo di essere, ma forse è anche questo che caratterizza il modo di scrivere di ogni autore, che non è mai asettico.
Come hai scelto la copertina del tuo libro Xerion La Leggenda del Cavaliere senza croce?
La copertina di Xerion ha subito parecchi rimaneggiamenti. La prima in assoluto era un particolare di un quadro di Velasquez, “la resa di Breda”, in cui, dopo la battaglia, gli spagnoli accolgono la resa dell’esercito olandese. Si vedono i soldati del tercio con le loro lance e, tra i tanti, ce n’è uno, l’unico, il quale (moschetto in spalla) volge lo sguardo all’osservatore. Quando l’ho visto ho subito pensato: è lui Alfonso Cangiano, uno dei protagonisti del romanzo, un moschettiere mercenario napoletano del XVII secolo. Nel tempo ho optato per un enigmatico ritratto di gentiluomo del XVII secolo, di un autore sconosciuto. Anche questo guardava fisso verso lo spettatore. Sullo sfondo ho aggiunto una frase in latino incisa sul muro e tradotta letteralmente: L’eternità è la mia condanna. La versione attuale è quella che più mi piace poiché rappresenta l’inizio di tutto, si tratta dell’elmo di un mirmillone. L’ho modificato digitalmente da una vecchia incisione per sovrapporlo a uno sfondo con simboli alchemici e la citata frase sull’eternità.
Sempre parlando di Xerion, un libro molto complesso per via dei numerosi salti temporali, tra epoche molto differenti tra loro, quanto tempo e quanto studio ti ci è voluto per completarne l’opera?
Ho lavorato a Xerion per quasi due anni gran parte dei quali sono stati dedicati a studi e approfondimenti storico-filosofici delle varie epoche in cui è ambientato. La parte più complessa della fase preparatoria è stata rendere verosimili i documenti manoscritti che s’incontrano nel corso della narrazione. Per esempio ho dovuto scrivere di sana pianta un intero capitolo aggiuntivo e inedito delle “Metamorfosi di Apuleio”, il famoso LIBER XII, per il quale ho cercato di riprodurre lo stile narrativo dello scrittore latino il quale è anche uno dei protagonisti del romanzo. Anche la dissertazione settecentesca ha richiesto molto lavoro di approfondimento su testi originali del XVIII secolo come le lettere autografe di Raimondo di Sangro, il celeberrimo principe di Sansevero, deciso a chiarire la natura che si cela all’interno del misterioso elemento dello Xerion.
Parliamo de “I delitti del filosofo ignorante” (di cui i lettori potranno trovare una recensione qui): ad accompagnare il protagonista Primo della Corte nella sua indagine c’è Cucciniello, il suo bravo, sono due uomini molto diversi. Primo è un medico e come tale si esprime in maniera forbita, mentre il suo braccio destro è ignorante e si esprime in dialetto. Perché hai scelto questo contrasto sociale e culturale tra i due?
Primo della Corte è un uomo del suo tempo. Grazie all’influenza e l’intercessione di John Acton, suo protettore e grande amico del defunto padre, è stato in grado di studiare all’estero e dotarsi di una cultura formidabile, di una mente aperta e illuminista anche se non ha mai dovuto mettere in discussione, almeno fino al momento in cui si sono svolti i fatti del romanzo, la propria fedeltà alla corona Borbonica.
Gaetano, Tano per gli amici, è il classico figlio di ‘ndrocchia, di nome e di fatto giacchè nacque dal ventre di una nota prostituta di porta San Gennaro. Si dice che suo padre fosse un fabbro della zona, ma non ci metterei la mano sulla forgia. Sempre vissuto di espedienti, come molti giovani lazzari, si arrabatta con lavoretti saltuari e, soprattutto, con la sua innata predisposizione al furto con destrezza, per la quale fu condannato a servire sotto la bandiera dell’esercito di Sua Maestà Ferdinando IV.
Tano Cucciniello e Primo della Corte sono prima di tutto amici e l’amicizia, sovente, prescinde dai limiti imposti dall’estrazione sociale o dal bagaglio culturale.
Se ci soffermiamo a riflettere, ogni grande investigatore letterario ha un suo alter ego, una spalla che lo affianca, più o meno volontariamente, nelle indagini.
Il rapporto tra i due nasce, come molti legami di amicizia sincera e disinteressata, durante una guerra. Entrambi militavano nell’esercito borbonico e si ritrovarono insieme sui bastioni di Tolone durante l’assedio del 1793, quando la coalizione Anglo-spagnola mosse contro l’esercito repubblicano francese. Non dico cosa accadde per non spoilerare ma i due, da allora, divennero inseparabili al punto che il giovane ufficiale Della Corte prese sotto la sua ala protettiva il caporale Cucciniello che divenne il suo factotum, una sorta di Watson che, all’occorrenza, sa anche menar le mani e scassinare serrature, oltre che elargire con generosità perle estratte dall’inesauribile cornucopia della saggezza popolare.
Nel romanzo si accenna ad una precedente indagine di Primo della Corte, ovvero il caso “La locanda dell’orso”. In realtà questo non esiste ancora. Questo prequel vedrà mai la luce? Ci sarà un libro che tratterà questo caso?
Anche se l’esito sarebbe scontato dal momento che ho svelato l’assassino già in questo primo romanzo, sarebbe interessante descrivere il processo mentale che ha portato Primo a risolverlo, magari iniziando il romanzo proprio con il disvelamento dell’assassino, qualcosa di nuovo insomma. Mai dire mai, per ora resterà in “sospeso”, come i caffè a Napoli, magari anche dopo un paio di libri dedicati alle indagini del medico napoletano.
Stai già lavorando ad un nuovo romanzo? Sì, lo sappiamo … in realtà la nostra curiosità e’ tanta e vorremmo sapere come procede e quando sarà prevista la pubblicazione?
In questo caso devo chiamare direttamente in causa il collettivo di TSD.
È stato infatti uno dei tanti post sul gruppo a far scattare la scintilla che ha dato il via al lavoro che porterà al mio prossimo romanzo. Mi riferisco al post in cui la nostra amica Silvia Gambi, rivolgendosi agli scrittori del gruppo, si chiedeva come mai un tema come quello dell’eresia catara fosse stato quasi del tutto trascurato dalla letteratura.
Ho sempre amato le sfide e, già leggendo per sommi capi la sintesi storico-politica (siamo tra il tra il XIII e XIV secolo) con la quale Silvia inquadrava l’argomento, ho individuato la potenzialità del soggetto. Non ho perso tempo e, anche se si discosta dal mio usuale brodo di coltura, Napoli, ho subito appeso il mio cappello offrendomi volontario per intraprendere questa nuova avventura.
Il titolo è “Brusacristi – L’eredità del Lupo” e sarà ambientato nel nord-est della penisola nel XIII secolo.
Sono già a buon punto, malgrado la mia scrittura inevitabilmente lenta per forza di cose, ma spero di poterlo mandare in pasto ai lettori prima dell’estate.
In omaggio al gruppo TSD ho voluto anche dedicare a ciascun membro un personaggio, una sorta di Avatar letterario col quale, chi vorrà, potrà essere presente nel libro col proprio nome. Qualche anticipazione è già online sottoforma di piccoli estratti che pubblico sul gruppo (siglati ognuno con l’hashtag #Brusacristi ) e ho anche realizzato un breve booktrailer (cliccate per vederlo) in cui, raccogliendo sequenze Creative Commons con l’editor di Youtube, ho dato un volto più concreto ad alcuni dei personaggi presenti.
Fatemi un grande in bocca al lupo e buona lettura a tutti!
Grazie Vincenzo, per il tempo che ci hai dedicato, in bocca al lupo da tutti noi, che non vediamo naturalmente l’ora di leggerti in “Brusacristi”.
Biografia:
Vincenzo Cortese nasce a Napoli nel 1972. Sin dall’età dell’infanzia, trascorsa nell’hinterland settentrionale di Napoli, ha sempre coltivato la sua fantasia cimentandosi nei primi scritti, brevi racconti senza troppe pretese. Conseguita la laurea nel 1999, dopo la breve parentesi del servizio di Leva in Aeronautica Militare, si dedica alla professione di Medico Veterinario. In quel periodo inizia ad approfondire l’inclinazione per la scrittura lavorando in modo più serio al suo primo romanzo, Anuir, un Fantasy ispirato alla mitologia mediterranea. Spaziando dal genere Fantasy a quello storico continua a scrivere riuscendo a pubblicare tre libri prima di decidere di autogestirsi con Amazon. Con Xerion sperimenta anche il genere Thriller storico, nel quale si cimenterà anche con l’ultimo romanzo, “I delitti del Filosofo ignorante”. Esperienze Editoriali: “Anuir il segreto di Halamon” Giraldi editore 2006 (Fantasy) “Lo Specchio di Gerberius” nella Raccolta la “Penna Oltre il Camice Belvedere” editore 2007 (Fantasy) “Corsa a Levante” Edizioni Il Ciliegio 2013 (Storico-Avventuroso) Opere Autopubblicate su Amazon: “Euandros ed altre Fabulae” (raccolta di racconti Fantasy ispirati alle leggende napoletane) “Xerion – La leggenda del Cavaliere senza Croce” (Thriller multitemporale scritto dietro lo pseudonimo di R. J. Harriman) “1943 – Le Giornate di Napoli” (Romanzo Storico scritto dietro lo pseudonimo di R. J. Harriman) “Caragarthos – La Pietra di Thol Dhruwid” (Romanzo Fantasy) “Castelbrigante ed altri racconti” (Raccolta di racconti brevi) “I delitti del Filosofo ignorante” (Thriller storico)
Libri:
I delitti del filosofo ignorante
Xerion