Recensione a cura di Raffaelina Di Palma
Norimberga 1946.
Birkenau, Treblinka, Auschwitz, Majdanek, Sobidor, Birkenau, Chelmno, Belzec … Cronache dall’abisso.
Leggere questo saggio è davvero come emergere da un abisso.
“Il castello degli scrittori” edito da Marsilio nella collana, Gli specchi, mostra il dietro le quinte del processo di Norimberga, che si svolse tra il 20 novembre 1945 e l’1 ottobre 1946. Quel luogo divenne un crocevia, un punto di snodo di scambi culturali: per giornalisti e scrittori.
Un grande evento mediatico al quale parteciparono i corrispondenti di tutto il mondo.
Sono stati versati fiumi d’inchiostro sul e del processo di Norimberga, con uno sviluppo che si univa su aspetti differenti: con a disposizione contenuti giuridici, che si accentravano sul diritto di un tribunale dei Vincitori, spesso dimenticando che è anche grazie a Norimberga se oggi si può discutere apertamente di crimini contro l’umanità: cronache che si concentravano sull’atteggiamento degli imputati in risposta al loro contrattacco, vertendo più su un carattere sociale, che si divideva tra il concetto di responsabilità e colpa dell’intero popolo tedesco. La focalizzazione, la prospettiva dalla quale le vicende venivano visionate e narrate per le rispettive aree di coinvolgimento, pur nella loro crudezza, rilevarono sempre e comunque lati interessanti, utili per capire meglio la Storia.
“Il processo di Norimberga che si era aperto il 18 ottobre 1945 a Berlino, era stato trasferito a Norimberga su pressante richiesta degli americani, determinati a far sì che la sede delle udienze fosse nella loro zona di occupazione. […] Era qui che Hitler aveva celebrato i suoi Reichsparteitage, le grandi adunate del partito nazionalsocialista. Qui erano state approvate le leggi più crudeli e disumane, le leggi di Norimberga << per la protezione del sangue e dell’onore tedesco >>.”
Norimberga, simbolicamente, rappresentava il luogo, la città dalla quale ebbe inizio l’orrore delle stragi.
Mancava, in una produzione vastissima, il racconto di chi raccontava.
“Il castello degli scrittori“ di Uwe Neumahr accende una luce su quell’avvenimento e sui cronisti che, in un tempo molto lontano dal nostro, per quanto riguarda i media, scrissero articoli per più di trecento testate, impegnati in un mestiere che rasentava l’impossibile: spiegare quello che non si poteva descrivere.
Era molto difficile interpretare e dare vita allo sterminato orrore in un articolo, che sarebbe poi stato pubblicato su un giornale, tutto il male radicato nell’uomo. Scrittori e giornalisti furono ospitati presso il castello confiscato alla famiglia Faber-Castell, (quella delle matite). I giornalisti, particolarmente in quella occasione, furono un’ouverture su un mondo rimasto chiuso per un lungo tempo.
Dopo aver visto un documentario sui campi di sterminio, il giornalista Erich Kästner dichiarò che non riusciva a scrivere: << un articolo coerente su questa impensabile, infernale follia >>.
“Il castello degli scrittori”, come scrive l’autore, Uwe Neumahr, è anche un libro sull’assenza di parole e sul modo in cui la letteratura affronta l’indicibile.
Il Faberschloss diventò il rifugio e il quartier generale per una scelta di importanti figure della scrittura e del giornalismo, tra i quali John Dos Passos, John Steinbeck, Rebecca West, Alfred Döblin, Ernest Hemingway, Erika Mann, (figlia di Thomas), Willy Brandt, (futuro cancelliere della Repubblica Federale Tedesca) e Markus Wolf, l’uomo che, da capo delle spie della DDR, fu costretto a dimettersi passando attraverso i sistemi di sicurezza dell’allora Germania Ovest.
In quel castello si intrecceranno tante storie. Intere esistenze che avrebbero preso strade diverse e coinvolse e unì chi raccontava quel processo.
“A seguito dei bombardamenti,la società di Norimberga era sprofondata a un livello di povertà mai visto dal Medioevo: i sopravvissuti rovistavano tra le macerie in cerca di cibo, vivevano di nulla, bevevano dalle grondaie, cucinavano su fuochi di legna […] L’entità della devastazione fu immensa, […] In città vivevano ancora circa centosettantottomila persone, meno della metà della popolazione di prima della guerra. Ovunque c’era odore di putrefazione e disinfettanti, poiché migliaia di morti erano sepolti sotto le macerie.”
Dopo, nessuno degli scrittori, riuscirà a scrivere nella sua narrativa, pagine di riferimento a quella drammatica esperienza vissuta. La convivenza in uno spazio così ristretto esponeva i corrispondenti a emozioni controverse. Un reporter americano, in uno stato di forte stress telegrafò al suo giornale: << è difficile emotivamente descrivere quegli orrori, non ho più parole >>. Furono in molti a rinunciare all’incarico.
Altri, invece, sull’onda della competizione enfatizzavano eccessivamente i toni delle loro relazioni facendo pervenire le notizie alterate: per vendere più copie o per motivi di propaganda, in questo modo plasmavano l’opinione pubblica. In una critica rivolta a se stesso, il giornalista e storico americano, William Shirer, dichiarò che senza il processo di Norimberga non avrebbe aperto gli occhi sul piano perverso di Hitler, sulla soluzione finale della vicenda ebraica.
“ Tra i giudici non sedeva nessun rappresentante dell’ “altra” Germania e questo venne molto criticato, in particolare dal futuro cancelliere tedesco Willy Brandt: << Fin dall’inizio mi sono chiesto, insieme ad altri, perché non si fosse trovato un modo per far sedere in aula anche i tedeschi antinazisti >>. […] << Non avevano forse diritto i perseguitati tedeschi di regolare i conti con i loro aguzzini? >>”
Di primo acchito, le cronache del processo mi sembravano un gelido resoconto, una fredda esposizione cronologica scontata, ma procedendo nella lettura mi sono accorta che non era così. E furono proprio i giornalisti ad animarla e, alcune volte, pur contraddicendosi, stemperavano l’orrore che quelle testimonianze suscitavano.
I giovani corrispondenti, da “sensori” degli eventi, documentavano testimonianze rimanendo coinvolti in un panorama caratterizzato da istigazioni, da biasimo, da addebiti, disinformazione, rivalità, ma allo stesso tempo davano vita a relazioni, professionali e sentimentali.
C’è una vasta letteratura sul processo di Norimberga, ma non si conosce il dietro le quinte di una macchina organizzativa di proporzioni illimitate, una storia rimasta a tutt’oggi sconosciuta e Neumahr, con stile narrativo, capitolo dopo capitolo, la porta alla luce: ci parla di un mondo, che per un breve periodo, restò racchiuso in quel castello, in un pullulare di emozioni, all’interno del quale “ il silenzio esplodeva ”.
La conclusione del Processo coinciderà con l’inizio di una nuova storia: la Guerra Fredda. Ma sarà anche lo spartiacque del Novecento e sarà ricordato come l’evento più importante del secolo scorso.
Il tempo protagonista scorre inesorabile: è l’arco temporale di una generazione che dovette combattere quel male che superò e infranse ogni regola; umana e civile.
PRO
È un saggio mozzafiato, mi sia concessa questa espressione. Sanno tutti del processo di Norimberga, ma in pochissimi conoscono i retroscena di una macchina organizzativa messa in piedi per ospitare i numerosi scrittori e giornalisti che all’epoca seguivano le fasi del processo. Possiamo seguire, attraverso la loro penna, il continuo scambio di vedute tra accusa e difesa, in cui i colpevoli saranno inchiodati alle loro responsabilità. Mettendo davanti a una presa di coscienza una società, che viene chiamata a testimoniare, che nei momenti cruciali della storia, è inevitabile, è costretta a fare i conti con se stessa. Questo è il significato del processo di Norimberga: esso resta un punto fermo nella storia, uno spazio tempo da cui si inizia a contare una nuova serie di anni.
CONTRO
È stato abbastanza complicato fare una analisi e seguire le cronache delle giornate in cui si svolgeva il processo. << Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario >>. (Primo Levi)
Trama
Sappiamo molto dei processi di Norimberga, ma la storia degli scrittori, dei giornalisti e dei futuri leader che furono testimoni non è mai stata raccontata. In quei giorni il castello confiscato alla famiglia Faber-Castell diventa il luogo in cui alloggiano e scrivono, ognuno portando con se aspettative e opinioni, intrecciando a grandi ideali gelosie e rivalità che nascono dalla convivenza forzata e dalla necessità di alleggerire il peso delle atrocità rievocate. Mentre a pochi chilometri di distanza, nel carcere di Norimberga, Herman Göring, Joachim von Ribbentrop e Rudolf Hess attendono il verdetto sulla loro sorte, giovani corrispondenti captano gli eventi come sismografi, raccogliendo interviste e atti processuali, descrivendo interrogatori e dibattiti, realizzando disegni e caricature, cogliendo gesti ed espressioni e misurandosi con l’impensabile, come l’incredibile vicenda di Ernst Michel, unico sopravvissuto ebreo a seguire il processo da cronista, che Göring invitò nella sua cella. Tra provocazioni, critiche, fake news, censure, concorrenza sleale, pregiudizi e stereotipi di genere, amicizie e amori clandestini – come quello tra Rebecca West e uno dei giudici – ciascuno vive un proprio momento di svolta che ne segnerà per sempre il destino. In particolare le donne, trattate con sufficienza, non si faranno intimorire dall’atmosfera maschilista che regna ancora dopo la guerra.