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Le interviste di TSD: Fabio Ceraulo

Riapre il salottino di TSD con una nuova intervista all’autore Fabio Ceraulo incontrato per noi da Laura Pitzalis.

biografia

Fabio Ceraulo, palermitano, ha sempre vissuto nella sua città, dove ha conseguito la maturità classica. Ha lavorato nel settore turistico per anni. Si è sempre dedicato alla scrittura pubblicando diversi libri tra cui, il più recente, il 31 maggio 2023 intitolato “Falconera” – Spazio Cultura Editore.

Una sua caratteristica è il tipo di narrazione, che mescola storia e vita vissuta con un pizzico di nostalgia e tanta ironia, e la sua passione per eventi o personaggi storici “nascosti” di cui i libri di scuola non hanno mai parlato. Sono storie forti, amare, terribili ma che ci rendono l’idea di quanto forte sia il suo legame con le radici e la cultura della sua terra e del popolo siciliano in generale. Io adoro questo genere di libri e di conseguenza ho letto con grande interessa tre dei suoi romanzi che mi hanno catturato molto più delle mie aspettative. Per questo ho colto con grande piacere la disponibilità di Fabio a rispondere a queste mie domande che, in effetti, non sono altro curiosità mie scaturite durante la lettura dei suoi scritti.

l’intervista

Come è nato Fabio Ceraulo scrittore?

La pubblicazione del mio primo libro, l’antologia “Palermo nascosta” è del 2012. In realtà, il “pallino” dello scrittore viene da molto lontano, dai banchi di scuola del liceo, dove componevo brevi racconti che prendevano in giro i professori. Qualcuno di loro, informato della cosa, volle leggerli e per fortuna apprezzò parecchio.

Comunque, ho sempre scritto, dagli articoli per qualche rivista locale, recensioni di dischi per un magazine oggi non più esistente, che mi consentì di arrivare terzo in un contest a livello nazionale. Poi, nel 2010, creai un blog dal titolo “Palermo nascosta”, in cui parlavo di monumenti e vicoli poco conosciuti, inserendo storie di gente comune, interessanti testimonianze che avevano spesso come sfondo un periodo storico lontano, partendo dalla mia famiglia che ha vissuto i bombardamenti dell’ultima guerra.  Da qui, nacque la curiosità di un editore della mia città che mi propose di pubblicare un’antologia con lo stesso titolo del blog.

Tu scrivi perché?

Per passione, per emozione e per sognare. Immagino siano sentimenti comuni a tutti coloro che scrivono. Senza questi tre componenti, a mio giudizio, non avrebbe senso scrivere. Quando ho finito di scrivere il mio ultimo romanzo, mi sono prefissato tre bersagli per i lettori: deve far sorridere, commuovere e suscitare rabbia. Per primo ho sperimentato tutto io stesso.

Beh, per quanto mi riguarda ci sei riuscito!

Rispolveri personaggi e fatti dimenticati di Palermo e della Sicilia, ne costruisci la storia, dandone naturalmente un taglio romanzesco, e voce per far conoscere parti fondamentali della nostra civiltà e della nostra cultura che hanno contribuito a scrivere la Storia. Tu hai scelto di scrivere romanzi storici con questo tema, perché? Qual è stato l’input che ti ha convinto a scegliere questa strada?

La mia città, soprattutto il centro storico, è un libro di storia e di arte a cielo aperto, un connubio di cultura e tradizione che ci provengono dalle dominazioni avute nel corso dei secoli, araba e spagnola su tutte. Ogni strada, vicolo o cortile possono dare spunto per un romanzo. Tanto si è scritto sulla Sicilia e su Palermo, tanto ancora si scriverà. Come ispirazione, credo che la mia città natale sia un importante punto di riferimento, e non solo per gli autori locali. Per quanto riguarda me, mi piace dissotterrare storie ed eventi nascosti o poco noti. L’ho fatto con “Il tredicesimo giorno”, con “Anima di polvere” e con “El Diablo”. In “Falconera” mi sono spostato geograficamente da Palermo, pur restando in Sicilia, ma la storia narrata nel romanzo è stata per me una scoperta inattesa e sconcertante.

Visto che sia i personaggi che gli eventi che tu porti alla luce sono stati oscurati, forse volontariamente o forse no, quanto è stato difficile la ricerca storica dei documenti e delle fonti d’epoca?

Riguardo “Falconera”, essendo il suo epilogo un fatto terribile che all’epoca si provò a insabbiare, non ho trovato fonti specifiche. Sulla rivolta di Castellammare del 1862 ho fatto ricerche sui quotidiani dell’epoca e ho avuto anche la fortuna di scoprire che uno dei personaggi realmente esistiti (nel romanzo lo sono quasi tutti) era l’antenato di una cara amica e la cosa venne fuori perché decisi di farle leggere la prima stesura durante il periodo del lockdown.

Il suo contributo, a livello di storia familiare, è stato fondamentale. Aggiungo che una mia visita nei luoghi in questione, qualche anno fa, mi amareggiò parecchio perché non trovai riscontro sulla contrada di campagna chiamata Falconera. Riflettendo, ma senza certezza storica, arrivai alla conclusione che forse quel posto era stato cancellato dalla memoria del luogo proprio per i fatti narrati nel romanzo. Questo, ovviamente, rese tutto ancora più complicato, il viaggio iniziato nel 2018 e concluso circa sei mesi fa è stato il più lungo e difficile finora affrontato, ma credo che il risultato finale sia lusinghiero.

Per te, quanta importanza può avere oggi la loro riscoperta?

Tantissima. Dare voce a chi è stato dimenticato o ignorato, seppur personaggi di un secolo e mezzo fa, deve far riflettere. La nostra storia, i nostri stessi antenati, meritano rispetto, soprattutto chi fu protagonista di fatti sinistri che non si trovano su nessun libro di storia. Per questa ragione, mi auguro come accaduto in passato per altri miei romanzi, che anche quest’ultimo possa essere oggetto di discussione nelle scuole. E come dico sempre in sede di presentazioni, “se non sappiamo da dove veniamo, non sapremo mai dove siamo diretti”.

C’è un fil rouge che lega i tuoi romanzi, la presenza di attività criminali, che oggi chiamiamo mafia ma che in quei periodi comprendevano istituzioni legittimate che avevano parecchio di criminale nei modi di reprimere, di intimidire, di imporre la loro “legge”.

Purtroppo, la mia terra è e sarà sempre legata a fenomeni di criminalità. Ormai fanno parte della nostra storia, recente e più remota. In “Anima di polvere” parlai della durezza del regime borbonico e del fatto che le ribellioni verso quell’istituzione furono in gran parte figlie dell’odio. In “Falconera”, l’illusione della povera gente e le aspettative disattese finirono per rendere il governo dei Savoia un nuovo dominatore alla stregua del precedente. La crudeltà perpetrata verso le popolazioni del Sud Italia con l’imposizione di leggi inique, resero l’impresa garibaldina quasi inutile. Oggi, infatti, si tende a discutere sul fatto se tutto ciò fu vera gloria o qualcosa di studiato ad arte. Ma se ne parla a sproposito, quindi meglio lasciar perdere e attenersi alle fonti sicure e documentate.

Nel tuo libro “Il tredicesimo giorno”, uno dei tuoi personaggi, che non è però il protagonista principale, è Joe Petrosino tanto idolatrato in America quanto poco celebrato in Italia. Perché secondo te?

Perché all’epoca in America un poliziotto ucciso dal crimine fece scalpore, in genere la malavita combatteva le autorità con tante armi ma mai si sarebbe sognata di tendere un agguato mortale a un agente. In Italia, di questa storia è rimasto ben poco, se non fosse stato per due sceneggiati televisivi o per l’opera instancabile dei discendenti del personaggio (residenti a Padula, dove nacque Petrosino), se ne parlerebbe ancora meno.

Il fatto che non si sia mai arrivati a trovare gli assassini ha determinato la lenta caduta nell’oblio di questo omicidio. Nel mio piccolo, pur non essendo Joe il protagonista assoluto del mio romanzo, ho provato a smuovere le acque pure io, prendendo contatto coi pronipoti e partecipando ogni anno alla commemorazione del 12 marzo, data del delitto.

Oggi il principio di legalità è spesso oggetto di violazioni che generano disagio sociale e inquietudine soprattutto nei giovani. Ma quanto è sentito, oggi, questo valore, soprattutto dai giovani che per avere visualizzazione l’hanno calpestata più volte?

Dipende dai valori che vengono insegnati ai ragazzi. Tutto deve partire dalla famiglia e in seconda battuta dalla scuola. Se a casa impari che l’autorità (sia essa la legge o l’istituzione scolastica) deve sempre essere messa in dubbio, non farai molta strada. Oggi vedo un decadimento di questi valori, e la cosa mi addolora parecchio, perché spesso proviene più dai genitori che dai ragazzi.

Nell’ultimo tuo romanzo “Falconera” hai messo in risalto il fenomeno del “brigantaggio”, sfatando l’immagine dell’immaginario collettivo che li vede come dei banditi, delinquenti che commettono rapimenti, assalti a mano armata e altri delitti. I “tuoi briganti” esprimono un disagio se non addirittura una volontà di rivolta contro ingiustizie perpetrate dal potere costituito in un periodo che fu la fine di una dominazione e l’inizio di un’altra, con tutto ciò che questo evento avrebbe portato. E mi chiedo: chi sono i veri briganti, chi impone leggi facendole rispettare con la violenza o chi si ribella alle ingiustizie?

Brigante è chi viola la legge commettendo crimini. In quel periodo i cosiddetti briganti fecero di tutto, diventarono criminali per fame o per sfuggire a certe nuove leggi mal sopportate. La questione meridionale, nata proprio negli anni successivi all’unità d’Italia, ancora oggi viene discussa con argomentazioni riguardanti proprio il fenomeno del brigantaggio. In alcuni casi, la lotta dei briganti può essere paragonata alla Resistenza, in altri fu solo un evento criminale e basta. I metodi repressivi furono più violenti delle gesta degli stessi ribelli che si sbandavano per le campagne. E purtroppo, in tanti casi, la verità venne oscurata e certi vincitori, come gli ufficiali sabaudi di cui parlo in Falconera, vennero premiati e definiti eroi.

“Bisogna cambiare tutto affinché nulla cambi” è la frase diventata simbolo del Gattopardo, il romanzo capolavoro di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Oggi è cambiato qualcosa?

La mentalità comune del siciliano non è mai stata molto avvezza ai cambiamenti. C’è un famoso detto che recita “meglio il cattivo ben noto che il buono sconosciuto”. Questo lascia intendere che spesso la Sicilia si è adeguata ai cambiamenti (o presunti tali) con tanta diffidenza e grandi difficoltà, dove solo gli arrivisti e i malavitosi hanno avuto vita facile nello schierarsi da una o dall’altra parte. Oggi, per certi versi, c’è ancora questa forma mentis che potrà cambiare solo con un lavoro culturale partendo dai giovani. Un percorso ancora lungo e molto difficile.

Io, ora come ora, estenderei questo concetto a livello nazionale. Che tutti meditino su queste parole.

E su questa osservazione ti ringrazio Fabio per la tua disponibilità, sperando che queste tue risposte possano far riflettere molto chi leggerà questa intervista perché, come hai detto tu “se non sappiamo da dove veniamo, non sapremo mai dove siamo diretti”.

Grazie a te Laura e a TSD per questa piacevole intervista perché sono proprio queste chiacchierate insieme all’apprezzamento per il mio lavoro che mi stimola a crescere ancora di più, provando a migliorare il mio stile di scrittura. Come diceva Eduardo De Filippo, “gli esami non finiscono mai”.

https://www.thrillerstoriciedintorni.it/2020/08/04/il-tredicesimo-giorno-fabio-ceraulo/

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