Narrativa recensioni

Recensione de “La maschera di marmo” di Jean-Christophe Grangè

Recensione a cura di Natascia Tieri

Siamo in Germania, c’è il nazismo. È un periodo difficile anche per gli psichiatri e le SS: questi ultimi non si possono fidare neanche dei loro camerati, mentre gli psichiatri non sono visti di buon occhio dai seguaci del Führer e potrebbero perdere il loro lavoro. Jean-Christophe Grangé dedica ai tre protagonisti del libro un capitolo ciascuno: li ho trovati molto interessanti perché in questo modo entriamo in  contatto con loro e la loro personalità.

I protagonisti sono due psichiatri e un nazista: l’ispettore Franz Beewen è un alto ufficiale della Gestapo di umili origini, molto ambizioso e vendicativo: suo padre è rinchiuso in un manicomio a seguito della Grande Guerra. Anche Simon Kraus, uno psicanalista gigolò specializzato nell’interpretazione dei sogni, è di umili origini e molto ambizioso. Ha sensi di inferiorità a causa della sua bassa statura e credere di essere il più furbo di tutti. Infine abbiamo la ricca baronessa Minna von Hassel alcolizzata che a volte si droga. Ha forti ideali e grazie al suo denaro si dedica agli emarginati. È la direttrice di un manicomio, il Brangbo.

“[Minna] si diresse verso l’edificio sul retro. Quello a destra era soprannominato Schlangengrube, la «fossa dei serpenti», un grande spazio chiuso dove i malati venivano confinati insieme. Il posto meritava quel nome.

A sinistra, la sezione delle celle, che si sarebbe potuta benissimo chiamare la «prigione» o il «penitenziario», dato che chi vi era rinchiuso trascorreva anni a rimuginare sulle proprie allucinazioni e a cagare in un secchio.

Agli occhi di Minna, però, il vero incubo era l’edificio nel mezzo, quello dedicato alle cure. Il «suo» edificio, in breve, decisamente simile a una camera di tortura.

La lista degli esperimenti condotti a Brangbo era lunga”.

Sebbene Beewen, Krauss e von Hassel siano persone molto diverse tra di loro si trovano ad indagare insieme su alcuni omicidi avvenuti Berlino. Le vittime sono donne ricche e belle, mogli di gerarchi nazisti, oltre che pazienti di Simon Kraus. All’inizio le vittime sono due, per poi aumentare. I tre protagonisti brancolano nel buio perché non sono investigatori e commettono molti, troppi sbagli: accusano persone senza avere prove dirette o un movente preciso e sinceramente questo eccessivo andare a tentoni a lungo andare annoia un po’. Tra le loro ricerche incontriamo anche cannibali più o meno famosi, come ad esempio Peter Kürten e Karl Denke: saranno loro gli assassini?

“Peter Kürten, il «vampiro di Düsseldorf», che negli anni Venti aveva ucciso e violentato bambini e adulti. Condannato a morte (e giustiziato) nel 1931, dopo aver confessato ottanta delitti e ammesso di aver bevuto il sangue delle sue vittime, quello stesso anno era stato immortalato dal film di Fritz Lang, M – Il mostro di Düsseldorf, ispirato ai suoi crimini. Fritz Haarmann, il «macellaio di Hannover» (ai tedeschi piaceva dare soprannomi a questi mostri) che, tra il 1918 e il 1924, aveva ucciso una trentina di uomini, la maggior parte dei quali ragazzi di strada. Perché «macellaio»? Si diceva vendesse tranci di carne umana al mercato nero. Ghigliottinato nel 1925.

Anche Karl Denke non era male. Soprannominato «Padre Denke», aveva l’abitudine di offrire un pasto caldo ai senzatetto. Quello che gli sfortunati non sapevano era che la loro stessa carne avrebbe provveduto al suo prossimo pasto. Durante le perquisizioni, nella sua abitazione avevano rinvenuto denti e ossa, oltre a resti umani in conserva. Morto impiccato nella sua cella poco dopo l’arresto, nel 1924, non aveva avuto il tempo di fornire spiegazioni circa i suoi appetiti da cannibale”.

Il romanzo appare paradossale perché nonostante i loro errori riescono a sopravvivere ai gerarchi nazisti, cosa che nella realtà, come ben sappiamo, era impossibile. Infatti anche Grangè fa questa riflessione, facendo parlare Perninken, un personaggio del romanzo:

“«Rappresentiamo un potere al di sopra della legge, al di sopra del popolo, al di sopra dell’economia. Rappresentiamo l’ordine e l’autorità. Se siamo certi della nostra causa, vale a dire la protezione della patria, possiamo permetterci qualsiasi cosa». Il nazismo era giudice e partito, mezzo e fine. Era possibile sopravvivere a questo sistema solo a una condizione, rispettare le regole del sovrano e non provocarlo mai. E proprio quello era stato il suo errore: Beewen aveva colpito Mengerhäusen, lo aveva minacciato, si era macchiato di lesa maestà”.

Peter Kurten

Ciò che mi è strano è che nel libro, nonostante i numerosi abbagli e provocazioni dei protagonisti verso le SS, essi la passino quasi sempre liscia. Il romanzo riprende vita all’ultimo atto, quando inaspettatamente sono aiutati da una ricca polacca. Grazie al suo inaspettato sostegno riescono a trovare l’assassino.

In ogni caso, nel romanzo possiamo trovare spunti di riflessione su un periodo nero della Germania ma anche informazioni che magari pochi conoscono. Ad esempio negli anni venti i medici venivano aiutati da artisti per ridare un volto ai soldati: infatti provvedevano a realizzare maschere di rame per gli sfigurati della Grande Guerra e dare quindi loro dignità.

Inoltre, grazie all’introspezione di Krauss entriamo anche nella mente dei soldati nazisti che avevano sensi colpa dopo le barbarie che erano costretti ad affrontare. Ma anche chi ascoltava le loro atrocità era sofferente: infatti “la sera, sul materasso troppo duro, Simon riempiva pagine su pagine. Progettava di scrivere un libro di memorie sotto forma di analisi del male. Ma non era stupido: in realtà, elaborava grandi ipotesi per impedirsi di perdere il controllo. Quelle atrocità avrebbero finito per avere anche la sua pelle. Si sarebbe tolto la vita, perché non vedeva alcuna ragione di continuare a esistere in un simile universo di distruzione e crudeltà”.

I primi e gli ultimi capitoli li ho trovati molto belli ed interessanti, il corpo centrale è piuttosto lento e ripetitivo ma in ogni caso la lettura è stata piacevole e anche istruttiva.

Trama

Germania, fine anni Trenta. I corpi senza vita delle mogli di due gerarchi nazisti vengono ritrovati tra le luci sfavillanti di una Berlino mondana, inconsapevole della guerra imminente. Le indagini sono affidate al brutale e spietato ispettore Franz Beewen. L’alto ufficiale della Gestapo si mette subito all’opera e segue i primi indizi, che lo conducono nello studio di Simon Kraus, uno psicanalista specializzato nell’interpretazione dei sogni. Potrebbe essere lui ad avere la chiave per capire chi sia l’assassino. Le vittime erano sue pazienti, ed erano entrambe tormentate dall’incubo di essere inseguite da un uomo con il volto coperto da una maschera di marmo. Una figura che per Kraus è la personificazione di paure e traumi, ma che, alla luce dei fatti, potrebbe essere più reale di quanto si immagini. C’è qualcuno, però, che ostacola Beewen e Kraus nel cammino verso la verità. E non è solo l’assassino. Perché i due stanno cercando risposte proprio là dove il partito nazista nasconde i suoi segreti più torbidi e inconfessabili. Ma non si fermeranno davanti a nulla. Anche se questo vorrà dire mettere in dubbio i valori della patria.

Ogni romanzo di Jean-Christophe Grangé conquista il podio delle classifiche francesi. Con il bestseller I fiumi di porpora ha ottenuto il successo internazionale, confermato anche in Italia dove i suoi libri hanno venduto oltre 350.000 copie. Nella Maschera di marmo, Grangé torna con una trama avvincente e l’ambientazione originale e conturbante della Germania nazista. Un thriller cinematografico che sorprende a ogni pagina, come sa fare solo un vero maestro della suspense.

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