Dopo la bella recensione al mio romanzo “IULIA FARNESIA – Lettere da un’anima”, a firma di Laura Pitzalis (che trovate qui se ve la siete persa) e pubblicata in questo spazio franco di TSD, dove passato e futuro si incontrano, ho il piacere di dialogare con la protagonista di questo ultimo romanzo: Giulia Farnese, nata nella Tuscia Viterbese sulle sponde dello splendido Lago di Bolsena, la prima Domina di un feudo, in Italia.
Attraverso questa “Intervista Impossibile”, cercherò di farvi conoscere meglio la vita di questa donna incredibile che ha saputo ricostruire la sua vita, dopo il periodo di concubinato con il Papa Borgia, richiesto dalla sua Famiglia per favorire l’ascesa del fratello Alessandro al Soglio Pontificio, ritagliandosi un posto nella storia.
Fino all’uscita di questo mio romanzo la seconda meravigliosa parte della vita di IULIA era sconosciuta ai più…
Grazie Giulia, è un enorme piacere che tu abbia accettato di parlarci di te in questa intervista. Partiamo dalle origini, cosa ci puoi raccontare della tua infanzia?
Sono nata nel 1475 a Capodimonte, in Provincia di Viterbo, nella magnifica Rocca, costruita da mio nonno Ranuccio, che domina il Lago di Bolsena e le sue due isole. Sono stata la terza di quattro figli dei miei genitori: Pierluigi Farnese, scomparso quando ero appena dodicenne e Giovannella Caetani, donna ambiziosissima che aveva dalla sua la discendenza da Papa Bonifacio VIII.
Sono cresciuta a Capodimonte con i miei fratelli fino all’età di 11 anni quando fui mandata da mia madre a Roma al Convento di San Sisto in Roma per ricevere l’educazione che una giovane del mio rango si credeva dovesse avere.
Durante gli anni della mia gioventù vedevo dinnanzi a me un mondo dorato, creato dalle parole di mia madre che mi ripeteva continuamente che il compito a me affidato era quello di contrarre un matrimonio “conveniente” per accrescere la gloria della nostra famiglia: mi fidai cecamente della sua guida…
Mi sembra di percepire un velo di tristezza in queste tue parole…
Ben presto scoprii che la patina di colori sgargianti che ammantava il racconto del mio futuro nascondeva tinte scure: fu così che nel giro di pochi mesi mi trovai promessa, e poi maritata a Orsino Orsini e contemporaneamente amante dell’attempato Cardinal Rodrigo Borgia.
Orsino e Rodrigo non avrebbero potuto essere due persone più differenti: Orsino, giovanissimo e insicuro ragazzo, in balia dell’influenza della madre Adriana, Rodrigo uomo maturo, navigato e ammaliatore.
Rodrigo dominò senza sforzo alcuno le volontà di Orsino, e io mi trasferii dopo pochi mesi di matrimonio a Roma presso la corte papale: le sue stanze divennero la mia casa e il suo letto l’alcova dove mi prese bambina e mi fece donna.
Il Borgia divenne Papa e io per il popolo mi trasformai da La Bella a Sponsa Christi in un batter d’occhi.
Non sarei la donna che sono ora se non lo avessi incontrato: pensa che a un certo punto il Papa Borgia dispose che i postulanti che avevano una richiesta da porgli dovevano passare da me e solo se io l’avessi ritenuta importante questi sarebbero potuti essere ricevuti da lui. Ma con l’andar del tempo le sue attenzioni si fecero sempre più morbose e iniziarono a pesarmi… così colsi l’occasione della discesa dei francesi verso il Regno di Napoli per tornare definitivamente a Bassanello, da Orsino, insieme a nostra figlia Laura.
Laura… c’è chi sostiene essere figlia di Papa Borgia…
Mi viene da sorridere a questa osservazione, ma onestamente queste parole mi feriscono ancora: anche mia suocera Adriana era convinta che la figlia che portavo in grembo fosse di Rodrigo, tanto da suggerirmi caldamente di chiamarla Alessandra, in onore del nome che il Borgia prese una volta salito al Soglio Pontificio: Alessandro VI.
Ma se c’è ancora qualcuno che mette in discussione la paternità di mia figlia, lo invito a leggere con attenzione la lettera che Rodrigo mi scrisse nell’ottobre 1494: mi trovavo alla Rocca di Capodimonte, dove era appena deceduto il mio fratello maggiore Angelo e il Borgia, dopo aver minacciato di scomunicarmi se non fossi tornata da lui, mi scrisse “non vorrai mica tornare a Bassanello e farti impregnare (farti mettere incinta) di nuovo da quell’orbo di tuo marito?”
Hai vissuto sul tetto del mondo, ma poi la memoria di te sembra essere stata inghiottita dalla terra stessa. Raccontaci della tua vita.
Una volta tornata a Bassanello, ho potuto vedere con distacco l’ambiente della Capitale, in cui avevo vissuto negli ultimi anni: potevo sentire il lezzo dei veleni di corte e vedere l’ombra lunga delle bugie. Orsino e io abbiamo cercato di lenire le ferite e demolire il muro che i giorni passati lontani avevano costruito fra di noi. Ma la sorte beffarda ha fatto morire dopo poco tempo il mio giovane e sfortunato sposo sotto il crollo del tetto della sua camera da letto…
A quel punto, sono tornata per un breve periodo a Roma e ho combinato un matrimonio di tutto rispetto per mia figlia Laura con Nicola Franciotti della Rovere, per poi ritirarmi nella Rocca di Carbognano, lasciatami in eredità da mio marito Ordino e lì ho smesso di esistere e ho iniziato a vivere, divenendo la Signora, la Domina del Feudo.
Ereditare un feudo e diventarne la Signora… cose inattuabili nel XVI secolo. Come è stato possibile?
Orsino mi donò il feudo di Carbognano, con estremo sbigottimento del notaio Cerubino Ghezzi di Acquapendente: il notaio chiese a Orsino di giurare sul Crocifisso e sull’altare consacrato nella chiesa di San Gerolamo a Roma nel rione Regola, dato che le sue disposizioni non trovavano appoggio in nessuna legge degli uomini!
Alla sua morte, intervenuta un paio di anni dopo quella donazione, decisi che era ora di dare una svolta alla mia vita: ristrutturai la Rocca, facendovi affrescare la storia della mia vita e lasciando in quella maniera un messaggio per chi lo avesse voluto cogliere. Conoscevo bene i racconti e la fama che continuavano a circolare sulla mia persona, e volevo lasciare una traccia VERA del mio passaggio si questa terra.
Non è stato semplice farmi accettare da una popolazione abituata a conoscere solo un uomo come Signore del Feudo, ma dopo qualche tempo di ritrosia, io e il popolo di quel luogo, che era divenuto casa mia, divenimmo una sola cosa.
Non è stato semplice, ma la gioia che ho provato nell’essere circondata dalla stima e dall’affetto delle “mie donne”, fedeli servitrici e ancelle, mi ha ripagato a piene mani dei bocconi amari che avevo dovuto ingoiare nella mia gioventù.
Le “mie donne”… quanto affetto dentro a queste due parole. Sei riuscita a ricambiare il loro amore e la loro fedeltà?
Spero di sì… mi sono rapportata a loro sempre con rispetto, mai con supponenza, e poi ho proseguito sulla linea tracciata da Orsino, ossia quello di sconvolgere le regole. Nel mio testamento, dettato al Notaio Tranquillo de Romaulis, che vidi raggelare più d’una volta alle mie parole, ho disposto lasciti per ognuna delle “mie donne”, andando oltre alla classica “dote”: volevo che il denaro fosse per loro e loro sole, così ordinai che ne potessero disporre in autonomia.
Cosa provi riguardo il comportamento di tuo fratello Alessandro, che dopo il tuo abbandono della corte papale ha perseguito la barbara pratica della damnatio memoriae?
Cosa vorresti ti dicessi, che provo rabbia? Certo, quando mi chiese senza alcun garbo di “nascondere il mio volto dietro le tende” mi offese profondamente, poi capii che quell’atteggiamento celava vergogna del percorso disonesto fatto per salire nella scala gerarchica ecclesiastica, usando le mie grazie…
Credo comunque che non esista cosa più agognata che quella che ci viene negata… quindi se lui e la sua discendenza si sono adoperati tanto per distruggere la mia memoria e ogni immagine che ritraesse il mio volto, ho confidato a lungo nel fatto che qualcuno scavasse a fondo per riportare a galla tutta la verità, e con quella il mio riscatto… poi un giorno la mia anima ti ha incontrato in un refolo di vento, sul Lago di Bolsena e ho capito che quel qualcuno eri tu, Roberta.
Eravamo destinate a incontrarci, e ho inteso fin da subito che tu avresti compreso ciò che nessuno fino a quel momento era riuscito ad afferrare, e di questo ti ringrazierò per l’eternità!
Grazie a te Giulia per essere stata con noi e aver risposto con franchezza alle domande che ti ho posto.
È sorprendente, sai… sembra quasi che tu abbia attraversato il tempo e ti sia seduta accanto a me nelle lunghe ore di studio e ricerche fra dimenticati documenti d’archivio, ti sentivo, avvertivo chiara la tua presenza vicino a me, sentivo il pungolo del tuo desiderio di essere riscattata quando la stanchezza o la difficoltà del compito sembravano sovrastarmi.
Grazie per l’esempio di caparbietà e di resistenza nei confronti di un mondo che ti voleva solo comparsa di una storia che non avevi scritto tu.