Narrativa recensioni

La collera di Napoli – Diego Lama

Recensione a cura di Roberto Orsi

“La collera di Napoli” è il primo romanzo di Diego Lama con protagonista il commissario Veneruso. Scritto originariamente nel 2013, è stato vincitore del Premio Tedeschi 2015 e pubblicato nella collana Giallo Mondadori nel mese di ottobre di quello stesso anno. Una presentazione di tutto rispetto, per la prima indagine del commissario della Napoli del XIX secolo che abbiamo già conosciuto in altri romanzi recensiti da TSD (Tutti si muore soli e Il Mostro di Capri). La Casa Editrice Mondadori ha ristampato il volume nel 2023 con una nuova copertina e una nuova edizione.

Siamo nel 1884, in un’estate calda e afosa nella città di Napoli colpita da qualche giorno dalla furia del colera. Proprio tra il 1884 e il 1886 la città venne scossa da un’epidemia di colera particolarmente feroce che causò circa 6000 decessi, oltre alla fuga di migliaia di persone dalla città. All’epoca dei fatti narrati nel romanzo l’epidemia è alle prime fasi, i morti si riescono ancora a contare, il bollettino non assomiglia ancora a quello di una guerra, ma la progressione giornaliera è impressionante. A inizio di ogni capitolo, giorno per giorno, Diego Lama, riporta il numero di morti nella città di Napoli, ricavati dagli archivi storici della città. Un numero che cresce in modo più che proporzionale.

A complicare una situazione già in salita, il commissario Veneruso si ritrova tra le mani il caso scottante dei delitti delle Sirene. I corpi di cinque ragazzine vengono trovati senza vita sulla spiaggia di Tre Corone (luogo partorito dalla fantasia dell’autore), orribilmente mutilati e mangiati fino alle viscere dai topi. Perché i cadaveri arrivano tutti su quella spiaggia? E perché non esistono denunce di scomparsa di ragazzine giovani? Nessuno ne rivendica l’assenza da casa?

Veneruso, “uomo di saldi principi e mille preoccupazioni”, inizia un’indagine che ha il semplice problema di non avere un punto di partenza: non è possibile identificare le vittime. Chi è il pazzo che si aggira per la città seviziando queste giovani donne? Ogni nuovo corpo ritrovato è un colpo inferto alla sua moralità, al senso di giustizia e al suo essere commissario di polizia ma soprattutto uomo ed essere umano.

“I delitti delle Sirene gli procuravano i brividi: ogni ragazzina uccisa era un colpo inferto a lui, al commissario. Perché spettava a lui trovare l’assassino. E se ne moriva un’altra era lui ad averla uccisa per mancanza d’impegno o per inettitudine.”

Quando una suora si presenta al commissariato per presentare una denuncia di smarrimento di un’orfana ospitata nel convento di Santa Maria Vergine di Porta Capuana (altro luogo di fantasia insieme alla spiaggia delle Tre Corone), si inizia a delineare una possibile traccia da seguire, un primo flebile lumicino da rinsaldare per chiarire la vicenda.

Ma quando si tratta di indagare su fatti che accadono all’ombra di un campanile, nelle remote celle di un convento di monache, con annesso orfanotrofio, le porte sono sbarrate a doppia mandata. Riuscire a carpire informazioni dagli interrogati sembra pressoché impossibile.

“Veneruso era abituato a osservare i fatti e a capire. Perché i fatti contenevano le storie e nelle storie si nascondevano le cose, anche i delitti, anche gli assassini.”

Veneruso è uomo pratico, un commissario senza peli sulla lingua ma di poche parole. Un uomo che corre dritto verso la meta, osserva i fatti e ne trae le dovute considerazioni. Incline a isolarsi per trovare una sua strada, più volte lo troviamo sulla spiaggia delle Tre Corone, in perfetta solitudine cercando di riannodare i fili dell’indagine per trovare una via d’uscita. Per certi aspetti burbero e scontroso con la sua squadra ha, in realtà, un animo sensibile che tiene celato sotto la corazza del duro commissario.  

Un commissario che non si piega ai giochi di potere, che mantiene una sua linea di pensiero rigorosa e determinata.

L’aiuto di tutta la squadra è fondamentale, anche se spesso Veneruso non sembra riconoscerlo pubblicamente: dall’agente Salvo Serra, colui che Veneruso tratta peggio di tutti, ma che considera il figlio che non ha mai avuto, all’ispettore Antonio Polverino, tra i più arguti del commissariato, o il giovane appuntato, ultimo arrivato Gaetano Cuomo. Con loro il commissario usa più spesso il “bastone” della “carota”, eppure non ha nemici, nessuno ha mai una cattiva parola nei suoi confronti. Tutti sanno che è quello è il suo modo di essere, di proteggerli e farli crescere in un lavoro non facile.

“Era il suo modo di voler bene alle persone: trattarle con durezza, così com’era stato trattato lui da piccolo. La vita non era una passeggiata, e bisognava corazzarsi”

L’indagine all’interno del convento porta Veneruso e i suoi a scoprire un mondo fatto di segreti inconfessabili, di pulsioni e sentimento. Un mondo permeato anche di disperazione, di ricerca di un posto nel mondo. Un mondo difficile da immaginare per chi non lo vive dall’interno. Lo scrigno che mantiene i segreti tra le mura del convento è difficile da scardinare. Solo alcuni collegamenti con casi simili, guidato da un istinto sopraffino, porteranno la giusta illuminazione a Veneruso per sbrogliare la matassa.

Se la città di Napoli a livello paesaggistico rimane forse più in disparte rispetto ad altri romanzi, non altrettanto si può dire del tessuto sociale della stessa. Il colera mette tutti di fronte alla stessa plausibile morte, accorcia le distanze, allinea le diversità. La disperazione aleggia anche tra le strade con il morbo che si sta portando via la cittadinanza. 

I dialoghi sono diretti e ficcanti: il commissario non le manda a dire, l’atteggiamento è lo stesso che si tratti di un prete o di un rappresentante del governo, dal prefetto alla suora che gestisce la Ruota degli Esposti e le orfane che giungono al convento. È questa genuinità, con un tipo di approccio che non fa differenze, a colpire più di ogni altra cosa.

Un romanzo per chi ama il genere investigativo senza fronzoli, che non si perde in macchinazioni troppo complesse o lunghe descrizioni, in cui ancora una volta sono i sentimenti a muovere la mano dell’uomo, per azioni di condanna o di salvezza.


PRO

Ritmo della narrazione sempre costante, dialoghi molto incisivi con scambi di battute brevi, scrittura lineare e precisa

CONTRO

per chi ama il contesto storico, in questo caso rimane in secondo piano rispetto alla vicenda principale se si esclude l’epidemia di colera.

Trama

È la fine dell’estate del 1884, all’ombra del Vesuvio infuria il colera, che in sole due settimane miete migliaia di vittime. È in questo clima di morte che il commissario Veneruso, uomo dal carattere depresso e irritabile ma inflessibile servitore della legge, si trova a indagare su quello che i giornali hanno ribattezzato il caso delle Sirene: su una spiaggia vicina al porto sono stati ritrovati i corpi mutilati di quattro ragazzine. Quando alla macabra lista si aggiunge un quinto cadavere, il poliziotto si sente più responsabile che mai, capisce di dover fermare il feroce assassino, a ogni costo. Una pista da seguire inizia a delinearsi quando si scopre che le ragazze erano orfane ospitate in un convento di suore nel cuore della città. Assieme ai suoi collaboratori, pigri e indolenti quanto felicemente intuitivi, giorno dopo giorno Veneruso finisce per scoperchiare un groviglio di passioni segrete, vizi inconfessabili e relazioni pericolose tra le ospiti dell’istituto. Sullo sfondo, una Napoli di fine secolo splendida e tormentata, dalla quale la penna di Diego Lama fa emergere strani personaggi e storie nascoste.

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