Narrativa recensioni

Il canto di Messalina – Antonella Prenner

Recensione a cura di Claudio Musso

Su testo di Antonella Prenner, accademica di letteratura latina, dirige l’orchestra: la Luna, canta: Valeria Messalina, figlia di Valerio Messalla e Domizia Lepida, pronipote di Augusto.

Il suo talent-scout, l’imperatore Caligola, l’ha strappata, giovanissima, dalla scuola dei cantanti per inserirla nella lista dei big più per la sua conturbante avvenenza che per la voce e, facendola sposare con lo stagionato e disprezzato Zio Claudio, si è assicurata a Palazzo la donna più bella di Roma su cui ha tanti progetti che puntano direttamente al camerino. L’amato padre di Messalina, chiamato anzi tempo dall’Ade, non assiste all’esibizione, ma la madre e il suo secondo marito, trepidanti e orgogliosi, sono, grazie a questa adolescente, nella prima fila con la potente gens Giulio-Claudia che da decenni governa Roma e il mondo intero, benché tra disgrazie, sofferenze e follie. Del resto tra ambiziosi ci si comprende subito. Intanto dai palchi qualcuno li osserva e attende il momento per entrare in scena.

Le luci si spengono. Messalina scende la scala, con una bambola in mano, regalo del padre e ancoraggio ad un’infanzia strappata, il vestito è rosso, il colore di Roma e del sangue, i capelli neri ribelli e sciolti drappeggiano un corpo sinuoso e sprizzante di vita, gli occhi altrettanto neri lampeggiano ma non guardano il pubblico ma la Luna, che illumina, ispira e accompagna con benevolenza i suoi passi, ammantandola e proteggendola di un pallido chiarore da un mondo che, in fondo, non le appartiene. Ora è tempo di ascoltarla.

Messalina intona il suo canto da sola, non ama i duetti, e, nello sconcerto dell’orchestra che fa fatica a tenere ai suoi acuti acuminati, sprigiona in un unico fiato il suo monologo di rabbia e desiderio di rivalsa, lei personaggio immolato sul palco del potere, lei capolavoro che avrebbe presto fatto precipitare tutti i colpevoli della sua mancata vita nella bruttezza del non vivere, lei ospite sgradito in una casa blandita con la voce di un serpente e murata dietro una porta di ruggine che le corrode l’animo, lei che non può scegliere l’uomo che ama ma diventa consorte di un uomo anziano, minato dalla deformità e dal dileggio di tutta la corte, lei che, quando i pretoriani non manderanno più Caligola al serale, sarà l’imperatrice di Roma e affiancherà quel Claudio, tutt’altro che idiota sciancato ma riformatore attento.

Nel suo canto convergono le voci di quelle tante donne della storia che sono state vendute o sacrificate dai propri padri in nome del potere: dalla Giulia di Augusto per tre mariti diversi alla Giulia di Cesare per Pompeo, fino a Ifigenia immolata ad Artemide da Agamennone per placare la sua ira. Le leggende servono a spiegare l’assurdo, a rassegnarsi e a morire per il bene di Roma o degli Achei ma anche a capire che questi genitori meritano solo odio e morte perché il potere o la gloria non valgono più di una figlia. E Giulia, la figlia di Augusto, scacciata come il male del mondo, quando era solo una donna infelice, l’aveva già intuito.

Tuttavia, nel dopo esibizione e nell’Ubi tu Gaius, ego Gaia con ‘’l’uomo senza qualità’’, Messalina viene colta da un turbamento oscuro che rende il suo canto come un ghigno e incrocia, con ardore torbido e insano, lo sguardo di Caligola che rappresenta il potere che amministra la vita e la morte e rende legge ogni desiderio e capriccio, anche la follia.

Messalina ne è contagiata. Diventata imperatrice, a lei interessa solo il brillio delle foglie dorate di alloro sui capelli bianchi di Claudio, acclamato imperatore dai pretoriani nel 41 d.C., peraltro marito premuroso e padre affettuoso, perché queste fanno di lei la donna più importante dell’Urbe con quella superba consapevolezza di impunità. Ma il potere è funzionale al piano di vendita che ogni giorno studia con attenzione e con l’aiuto dei liberti, perché tutti quanti le hanno graffiato l’anima, abbiamo la giusta punizione. A cominciare dalla madre e dal patrigno che l’hanno venduta per finire con Claudio che l’ha comprata.

Nella ricostruzione di Prenner non manca certo la sentina di vizi che la tradizione ci ha trasmesso. Ma le spudoratezze, le stravaganze sessuali, i capricci e le follie della nuova e giovanissima imperatrice vengono rilette come armi, non come un vizio di cui non può fare a meno, per vincere la sua personale battaglia. Sotto questo aspetto l’autrice smaschera fonti che, per colpire in epoche successive la Gens Julia come epitome del cattivo governo, hanno consacrato Messalina come eroina negativa, l’Augusta meretrix, stando al misogino Giovenale, con la sua condotta viziosa e corrotta, peraltro non dissimile da altre matrone romane. L’autrice sembra fare proprio un aforisma di Umberto Saba, comparso in Scorciatoie e raccontini: «Libertinaggio. Quando si sente poco, o male, si raddoppiano le dosi. Ecco Semiramide; ecco Messalina», a conferma di fonti che parlano per sentito dire, ricollegandosi a dicerie lontane con un buon grado di esagerazione. A questo fiore nero, ma pur sempre fiore che sembra donare a Claudio una seconda giovinezza, il tempo delle noci non è ancora finito, perché non si sente ancora una donna vera. Ma prima deve combattere.

Claudio dovrà sempre arrestarsi sulla soglia della personalità di Messalina che, per portare avanti la sua guerra giusta, dissimula il disprezzo e la disistima con una benevolenza inusitata come moglie devota e imperatrice fiera dei successi di Claudio. La sua vita è un continuo doppio, finzione manifesta e verità inespressa in perfetto equilibrio per evitare la follia. Tutte le azioni di Messalina sono reazioni, che la portano a regredire, a due lutti: prima la morte del padre la fa sentire sola, rendendola fredda, disgustata e insofferente a tutto, persino al cielo azzurro che per lei è un insulto che contrasta con il suo nero interiore ricco di memorie segrete, di umidità e aridità; poi la scomparsa di Arria, che Claudio fa giustiziare per un non chiaro complotto, una sobria e premurosa matrona romana, che invita Messalina ad accettare la realtà dei matrimoni combinati. Senza quelle bussole Messalina oltrepassa la soglia del lecito e i sensi avvampano di fuoco, affonda le mani nel fango vischioso del piacere malsano e eccitante, antidoto all’infelicità, mentre i suoi amati temporali portano una notte eterna, atra come il Tartaro profondo, senza speranza di luce.

Messalina, a colpi premeditati di lascivia, vuole fare tornare Claudio lo zimbello di Roma e lo umilia come solo una moglie che disprezza e odia può fare: con un adulterio dai mille volti. Ed è certa che, prima o poi, l’Imperatore sarà sulla bocca di tutti e tornerà, irriso, in quel palco defilato che la vita gli ha riservato. Cosparsa dello stesso unguento di Cleopatra, preparato da Scribonio, il medico di corte, l’unica fonte coeva peraltro che lascia testimonianze scritte su Messalina, inaugura il suo personale regno di Venere facendo incetta di uomini in vista dell’Urbe, accuratamente scelti, in apposite ed eleganti stanze di palazzo, ignote a Claudio, dove gli invitati sono obbligati ad accettare quel canto di sirena e di ricatto, quella promessa di beatitudine e minaccia di morte. Poi di notte si sposta nei postriboli malfamati della Suburra e diventa Licisca, la piccola lupa, che con le sue invincibili armi di seduzione conquista tutti mentre ulula alla luna la propria gioia di avere denigrato ulteriormente Claudio ma anche di essere pronta al prossimo passo da compiere da Medea inversa, fiera, negletta dagli dèi, ma capace di creare da sé il proprio destino, anche dei figli.

Ma quando occhi azzurri incrociati per un istante durante il suo banchetto di nozze e mai dimenticati diventano la sua sola ragione di vita, Messalina non cerca più incontri, smette di uccidere chi rifiuta i suoi inviti o chi non è all’altezza delle sue aspettative, non frequenta più la Suburra, non è più la creatura dell’Erebo capace di dispensare notte nera nel mondo dei mortali, anche da sola, anche sui più potenti. Torna a vivere. Perché finalmente c’è qualcosa che è ancora più potente e mai provato. E sa finalmente di vita. E comincia un controcanto.

Editore: ‎ Rizzoli (21 giugno 2022)
Copertina flessibile: ‎ 448 pagine
ISBN-10: ‎ 8817174696
ISBN-13: ‎ 978-8817174695
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Trama

Roma imperiale, I secolo dopo Cristo. In un clima violento e dissoluto, tra le lotte di potere che infestano i palazzi romani, sboccia un fiore dal nome maledetto: Messalina, la più leggiadra e desiderabile fanciulla di Roma. Appena diciassettenne viene sacrificata al potere: dovrà sposarsi, e per lei non c’è via di scampo, perché a comandarlo è l’imperatore di Roma in persona, Caligola. Essere moglie di un uomo scelto da altri è un’ingiustizia, una violenza al suo corpo e ai suoi desideri, perché Messalina desidera l’amore, e invece dovrà giacere con uno sconosciuto, un uomo di trent’anni più vecchio di lei, storpio e balbuziente: Claudio. Ma inaspettatamente di lì a poco si ritroverà imperatrice, e tra disperazione e odio implacabile il potere alimenterà i suoi propositi di rivalsa. Inizia così una vertiginosa discesa prima nella solitudine e poi più giù, verso la follia e, nell’immaginare feroci vendette, sfogherà il suo dolore nella perversione, in cerca di squallidi amori. Sarà infine proprio l’amore tanto cercato, travolgente e nefasto, a illuderla di una scellerata felicità, e ad accrescere la sua brama di sangue e del delitto supremo: uccidere Claudio, suo marito, principe dell’Impero. In questo romanzo storico dalle tinte noir, attraverso lo studio rigoroso delle fonti letterarie e archeologiche, l’autrice fa rivivere i personaggi e gli ambienti della Roma imperiale, restituendoci la vicenda umana di una donna controversa della Storia romana, una figura dal fascino oscuro che si staglia sullo sfondo delle grandi vicende dell’Impero. L’ascesa al trono, gli intrighi di corte, la spietata scalata al potere che anima il cuore marcio di Roma: e al centro degli eventi il canto di una donna dal nome famoso di duemila anni fa, che è anche il grido muto di tante donne infelici e disperatamente ribelli, senza nome e di tutti i tempi.

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