Recensione a cura di Martina Sartor
Non è facile raccontare un libro immenso come Gli Effinger: immenso per mole, oltre 900 pagine; immenso per l’arco di tempo in cui la storia si svolge, dal 1880 circa fino al 1948, dalla Germania di Bismarck alla dissoluzione del Reich dopo la II^ Guerra Mondiale); immenso per i numerosi personaggi che lo popolano. Sono tre le famiglie protagoniste: i Goldschmidt, gli Oppner e gli Effinger del titolo, appunto, che si intrecciano fra loro in una serie di matrimoni e parentele ben evidenziati nell’albero genealogico che si trova a inizio libro e che sarà utile per una consultazione costante durante la lettura.
Gli Effinger sono una famiglia di ebrei tedeschi, residenti nella piccola cittadina di Kragsheim dove il patriarca Mathias Effinger fa l’orologiaio e la cui giornata è scandita dai ritmi semplici ma rassicuranti della sua religione.
Effinger chiuse la bottega e recitò la preghiera del tramonto. Così, tra la preghiera del mattino e quella del tramonto, si dispiegava la giornata. Poi si lavò le mani alla brocca di ottone, le asciugò con il canovaccio ricamato, tolse il tovagliolo dal pane e recitò la preghiera che accompagnava i pasti. – Amen, – risposero tutti in coro.
Ben presto i figli Paul e Karl decidono di seguire il loro spirito imprenditoriale e si trasferiscono a Berlino in cerca di fortuna. Berlino è già una città cosmopolita, animata da spirito di liberalità e progresso, attraversata dal celebre viale Unter den Linden. È l’epoca dello sviluppo industriale, della macchina a vapore, delle prime automobili, del telegrafo. Inizialmente lo spirito imprenditoriale dei fratelli Effinger si scontra col conservatorismo dell’istituto bancario Oppner & Goldschmidt, restio a finanziare le idee innovative dei due fratelli, che troveranno comunque modo di portare avanti i loro progetti, dall’ “auto del popolo” a un quartiere per gli operai.
Fin da questi primi capitoli il lettore può apprezzare la grande capacità descrittiva, minuziosa e accurata, dell’autrice Gabriele Tergit che riesce a far sentire profumi, vedere ambienti, immaginare personaggi, respirare profondamente l’atmosfera di un’epoca. Incontriamo la bella e superba Annette Goldschmidt che sposa Karl Effinger, Eugenie, la raffinata sposa russa di Ludwig Goldschmidt, l’eminente giurista Waldemar, fratello di Ludwig. E così via. I personaggi sono innumerevoli, ma con un abile artificio narrativo l’autrice inserisce ogni tanto capitoli riassuntivi, dove la giornata è scandita da una frase ricorrente, che introduce un personaggio:
Che bella giornata primaverile, quel sabato di marzo del 1887! Che aria mite, alle dieci del mattino. Eugenie stava in piedi accanto alla cameriera che preparava i bagagli.
[…]
Che bella giornata primaverile, quel sabato di marzo del 1887! Che aria mite, alle undici del mattino. Sofie, seduta nella sua stanza a una piccola scrivania traballante, prese una penna di agata e scrisse:
[…]
Che bella giornata primaverile, quel sabato di marzo del 1887! Che aria mite, il mattino alle tre.
Il tempo è scandito da riti sempre uguali che si susseguiranno per tutto il romanzo, come per es. il pranzo della domenica dalla matriarca Selma. Ma allo stesso tempo si iniziano a sentire anche i contrasti tra il vecchio e il nuovo:
Il principe ereditario rappresentava la loro generazione, la generazione di Emmanuel, Ludwig e Waldemar. Il vecchio imperatore rappresentava la grande generazione dei padri che avevano costruito il Paese, rappresentava la Prussia. Il principe ereditario era invece al contempo tedesco e inglese, era liberale, aperto al progresso, all’arte, alla scienza, all’industria che stava conquistando il mondo, un fattore quest’ultimo tollerato, ma non certo amorevolmente coltivato dalla Germania di Bismarck.
Ciò che si fa sempre più chiaro man mano che si avanza nella lettura e si passa dagli sconvolgimenti della I^ Guerra Mondiale alla crisi economica del dopoguerra fino all’avvento del nazionalsocialismo, è che l’autrice non ha voluto fare un romanzo sul destino degli ebrei:
I miei Effinger non sono il romanzo del destino ebraico, sono invece un romanzo berlinese in cui moltissima gente è ebrea […]un libro legato alla storia e alla cultura tedesca. (citazione dall’articolo in postfazione “Mi interessano le persone”, di Nicole Henneberg)
Gabriele Tergit ha voluto scrivere un libro che mettesse in evidenza come vivevano gli ebrei tedeschi cosiddetti “assimilati”, cioè ebrei che si sentivano prima di tutto tedeschi e che spesso si trovavano in contrasto col nascente sionismo e che vedevano la Palestina come una terra a loro estranea, non come una patria da raggiungere. Quando Hitler prende il potere, infatti, non si rendono subito conto del pericolo rappresentato per loro dai nazisti. Continuano a vivere come hanno sempre fatto, meravigliandosi quando i tedeschi, le persone che avevano sempre fatto parte del loro mondo, delle loro amicizie, del loro ambiente lavorativo, iniziano a respingerli e a vederli come “nemici”. Tutto ciò è magistralmente rappresentato da come la Tergit conduce la narrazione: dopo una lunghissima parte del libro dedicata al periodo fine ‘800 – primi ‘900 e primo dopoguerra, la dissoluzione che avviene con l’avvento del nazismo è raccontata in capitoli relativamente meno numerosi. Improvvisamente arriva la fine con una lunga agonia di morti, persone che lasciano la vita e il loro mondo. Dipartite che, per il lettore che ben conosce come andò la Storia degli ebrei tedeschi, angosciano e anticipano il genocidio che verrà: la fine di un’èra, la fine di un popolo.
L’Europa stava morendo. Altri due decenni, poi i lupi avrebbero ululato per le vie di Parigi e gli sciacalli e le iene per le vie di Londra. Tutto sarebbe finito, putrescente e morto. Una colomba, un ramo d’ulivo nel becco, sarebbe volata in cerca dell’Ararat.
Ma nessuno lo sapeva ancora.
Anche la storia di questo libro merita una spiegazione. Nata da una famiglia ebrea, Elise Hischmann, vero nome di Gabriele Tergit, si dedica ben presto al giornalismo, diventando cronista giudiziaria. Fuggita dalla Germania nazista nel 1933, si dirige prima in Palestina e poi a Londra. Proprio in questo periodo dell’esilio inizia a scrivere, fra il ‘33 e il ‘50, il suo grande romanzo, col quale si propone di far rivivere un mondo ormai scomparso. Alla storia della sua famiglia e ai suoi familiari sono ispirati molti personaggi del romanzo. Gli industriali Paul e Karl Effinger sono ispirati ai fratelli Siegfried e Bernhard Hischmann (omonimi dell’autrice). Sigfried progetterà la prima “Cyclonette”, citata come “l’auto del popolo” nel romanzo. Ma fra il 1948 e il 1950 è pressoché impossibile trovare qualcuno disposto a pubblicare un libro coraggioso, ma per il quale era il momento sbagliato, secondo gli editori. Una prima edizione esce nel 1951; nel 1964 un’edizione economica molto rimaneggiata e tagliata molto a malincuore dalla Tergit; finalmente nel 1978 esce una seconda edizione integrale, fedele alla prima, momento in cui il libro inizia a ricevere i riconoscimenti che merita, venendo addirittura paragonato a I Buddenbrock di Thomas Mann, modello a cui l’autrice stessa affermerà di essersi rifatta.
Molto altro ancora si potrebbe scrivere su questo libro, molti altri i temi affrontati: la gioventù ribelle, il movimento femminista, il socialismo, per dirne solo alcuni. Un libro immenso, appunto, che alla fine l’autrice stessa temeva di concludere in modo inadeguato. Come scrive sempre la Henneberg in postfazione, dare troppo spazio al genocidio ebraico avrebbe snaturato l’impianto del libro e gli intenti dell’autrice. Tema, il genocidio, che Tergit tratterà a fondo dopo, nell’inedito So war’s eben.
Trama
Dai radiosi anni della Germania di Bismarck a quelli devastanti della Seconda guerra mondiale, la famiglia Effinger attraversa quasi un secolo di storia e turbolenze nel cuore pulsante dell’Europa. Gli amori, le sofferenze, le rivoluzioni politiche, ma anche gli arredi, gli abiti da sera, i caffè, i teatri: Gabriele Tergit, in un trionfo di voci e immagini minuziose, racconta il perduto mondo ebraico berlinese. La saga degli Effinger ha inizio con Paul e Karl – figli del capostipite Mathias, orologiaio a Kragsheim – che da un piccolo paese si dirigono alla volta della Berlino cosmopolita per cercare fortuna. Ambiziosi e irrequieti, mecenati talentuosi e sensibili, ardenti patrioti e prussiani, in poco tempo gli Effinger riescono a guadagnarsi la fama di abilissimi imprenditori e a diventare una delle famiglie più importanti della città. Ma dopo la Prima guerra mondiale, le loro certezze borghesi cominciano a sgretolarsi e piano piano anche le loro splendide feste non possono più nascondere l’antisemitismo sempre più dilagante e brutale. Un classico in corso di pubblicazione in tutto il mondo.