Narrativa recensioni

Stabat mater – Tiziano Scarpa

Recensione a cura di Maria Marques

La notte ammanta con un velo nero Venezia avvolgendo nel buio anche l’antico Ospitale della Pietà, una costruzione che si è molto allargata nel corso dei secoli, dalla sua fondazione nel lontano 1346. In quell’ambiente enorme, fatto di scale, androni, stanze dimenticate simili ai meandri della mente, in cui ci si perde facilmente inseguendo pensieri, una ragazza ha trovato rifugio sulla sommità di una scala, dialoga con la Morte e scrive lettere accorate alla madre.

Signora Madre, vi scrivo nell’oscurità, senza candela accesa, senza luce. Le mie dita scorrono sul foglio appoggiato sopra le ginocchia. Bagno la penna nell’inchiostro, la intingo nel cuore della notte.

Cecilia è il suo nome. Abbandonata alla porta dell’Ospitale, neonata di pochi giorni, non ha mai conosciuto altro che quella realtà fatta di solitudine, di separazione e di musica.

Esiste al mondo una persona meno sola di me? Io mi confondo fra le altre ragazze. Siamo centinaia, sono sicura che a un occhio estraneo sembriamo tutte uguali. E io in mezzo a loro sono indistinguibile, assolutamente ordinaria. Mangio insieme a loro, prego con loro, vengo istruita con loro, suono con loro.

La vita di Cecilia si trascina stancamente, esercitandosi con le compagne, esibendosi nelle balconate della chiesa, nascosta da grate. Il loro pubblico? Patrizi e notabili veneziani, benefattori dell’Ospitale e talvolta sovrani, ma non c’è vita nella musica composta dall’anziano don Giulio, è soltanto un meccanico ripetere le note sulle corde del violino: “Se riuscissimo a suonare esattamente quello che pensiamo, se la nostra mente avesse una voce installata nella sorgente dei nostri suoni pensati, noi potremmo distruggere la terra dalle fondamenta e edificare nuove montagne e stelle”.

L’anziano maestro sarà sollevato infine dal suo incarico che passerà ad Antonio Vivaldi, il prete rosso, sconvolgendo non solo il modo di suonare delle musiciste dell’Ospitale, ma anche l’animo di Cecilia: “Ha scritto un pasticcio di suoni che imitano i rumori delle stagioni.”

La musica non sarà più soltanto un suono monotono che si accompagna alle funzioni, ma prenderà vita, nascendo dagli strumenti e propagandosi nel vuoto di un’esistenza, dandole voce e trasformandola da ombra grigia in uno sfolgorio di luce che da baluginante diviene sempre più ferma e potente, capace di fugare il buio.

Tiziano Scarpa, l’autore, racconta due storie, quella di Cecilia e di Vivaldi, che s’intrecciano nelle pagine del romanzo. La musica di Vivaldi esplode in tutta la sua creatività, accompagnando gli avvenimenti pubblici di una Venezia settecentesca e quelli più privati di Cecilia.

Non aspettatevi la Venezia scintillante di luce e colori, di stucchi dorati, delle gondole e dei salotti, la città che emerge dalle pagine del romanzo è piccola, a misura del passo di un uomo o meglio di una donna. Una città in cui alle talentuose allieve dell’Ospitale, orfane, abbandonate alla nascita, s’insegna un’arte e si fornisce un’educazione, nella speranza che comunque qualcuno si faccia avanti riscattando con il matrimonio una di quelle giovani abbigliate in grigio e che suonano indossando una maschera.

La musica e le opere di Vivaldi divengono quindi il simbolo di un cambiamento e di una crescita che permetterà a Cecilia di riunire le sue interlocutrici immaginarie, la Signora Madre e la Morte, in un essere capace di racchiuderle entrambe. L’autore sceglie uno stile raffinato per raccontare la storia di una giovane abbandonata alla nascita e la musica di Vivaldi in particolare quella dei violini, lo strumento suonato da Cecilia, accompagna ogni momento in un crescendo di tensione che si trasforma in un finale impetuoso che nessuno può arginare.

Pinacoteca Querini Stampalia – La cantata delle orfanelle per i duchi del nord – Gabriele Bella‎

Con qualche piccola licenza, come avverte lo stesso autore, funzionale alla trama, Tiziano Scarpa dimostra la sua conoscenza delle opere di Vivaldi e la sua sensibilità nel ricostruire il vissuto di una fanciulla del XVIII secolo. La voce di Cecilia, che rappresenta quella delle molte ragazze allevate all’Ospitale della Pietà, s’innalza flebile, capace all’inizio del romanzo, soltanto di sussurrare nella notte “Mia Signora Madre”. La solitudine di un’anima capace di sognare e osare ben più di quanto siano in grado di fare le sue compagne, ombre grigie, indistinguibili l’una dall’altra persino nel momento in cui la loro creatività dovrebbe erompere, fluendo nella potenza della musica di conquistare l’animo, piegandolo alle emozioni.

Vestiamo tutte uguali. Una veste grigia per tutti i giorni, accollata, chiusa intorno alla gola. Indossiamo una veste rossa quando suoniamo in chiesa.

Editore: ‎ Einaudi (25 maggio 2010)
Copertina flessibile: ‎ 144 pagine
ISBN-10: ‎ 8806201697
ISBN-13: ‎ 978-8806201692
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Trama
È notte, l’orfanotrofio è immerso nel sonno. Tutte le ragazze dormono, tranne una. Si chiama Cecilia, ha sedici anni. Di giorno suona il violino in chiesa, dietro la fitta grata che impedisce ai fedeli di vedere il volto delle giovani musiciste. Di notte si sente perduta nel buio fondale della solitudine più assoluta. Ogni notte Cecilia si alza di nascosto e raggiunge il suo posto segreto: scrive alla persona più intima e più lontana, la madre che l’ha abbandonata. La musica per lei è un’abitudine come tante, un opaco ripetersi di note. Dall’alto del poggiolo sospeso in cui si trova relegata a suonare, pensa “Io non sono affatto sicura che la musica si innalzi, che si elevi. Io credo che la musica cada. Noi la versiamo sulle teste di chi viene ad ascoltarci”. Così passa la vita all’Ospedale della Pietà di Venezia, dove le giovani orfane scoprono le sconfinate possibilità dell’arte eppure vivono rinchiuse, strette entro i limiti del decoro e della rigida suddivisione dei ruoli. Ma un giorno le cose cominciano a cambiare, prima impercettibilmente, poi con forza sempre più incontenibile, quando arriva un nuovo compositore e insegnante di violino. È un giovane sacerdote, ha il naso grosso e i capelli colore del rame. Si chiama Antonio Vivaldi. Grazie al rapporto conflittuale con la sua musica, Cecilia troverà una sua strada nella vita, compiendo un gesto inaspettato di autonomia e insubordinazione.

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