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Nove domande per nove risposte: l’Auriga di Delfi

Articolo a cura di Maria Marques

Oggi vi suggeriamo di indossare abiti comodi perché Tsd vi porta in Grecia alle pendici del monte Parnaso, dove sorgeva il santuario di Apollo a Delfi. Incastonato in un paesaggio incantevole, il santuario di Delfi fu il centro religioso e spirituale del mondo Ellenico. Le sue origini risalgono all’età micenea ma è con il periodo delle “poleis”,cioè delle città stato, che raggiunge il suo massimo splendore.

Con l’età ellenistica iniziò il declino del sito, sino ad arrivare al 391 d.C. quando Teodosio I decretò la chiusura del santuario che fu saccheggiato e distrutto non solo da mano umana ma anche da una serie di terremoti che sommersero tutto, tanto che in età medievale sorse un villaggio sui suoi resti. Gli scavi archeologici nella zona iniziarono nel 1892 ed è proprio a qualche anno dopo che facciamo riferimento per raccontarvi la storia di una statua. Siamo nel 1896, precisamente il 28 aprile, quando durante gli scavi tesi a riportare alla luce il complesso del santuario, fra i resti di una casa, fu rinvenuta la parte inferiore di una statua di bronzo che oggi è nota come l’Auriga di Delfi. La statua fu portata alla luce completamente soltanto il 9 maggio, tanto che alcuni considerano questa la data del suo ritrovamento, ma noi di Tsd preferiamo il momento in cui essa emerse dal terreno stupendo i presenti.

Pronti a conoscere la statua attraverso nove domande? Se vi chiedete il perché del numero nove ve lo sveliamo: nove come le Muse che abitavano il Parnaso.

  1. Si tratta di una singola statua?

In realtà pare che facesse parte di un gruppo che comprendeva una quadriga posta forse sulla terrazza che sovrastava il tempio di Apollo a fianco del teatro, dove sempre nel 1896 furono rinvenuti altri frammenti di bronzo: tre gambe di cavalli, una coda e il braccio di un fanciullo. Fortunatamente per noi, la statua è quasi integra, manca solo il braccio sinistro.

  • Cosa rappresenta?

Rappresenta ovviamente un auriga, cioè chi guidava i carri da guerra o i cocchi nelle gare ippiche. In questo caso in particolare si fa riferimento a una gara ippica e, l’auriga indossa un lungo chitone, con una cintura alla vita, che cade in rigide pieghe nascondendone il corpo, richiamando le scanalature delle colonne.

Nella mano destra stringe quel che resta delle redini e il suo volto, leggermente inclinato, colpisce per la raffinatezza con cui sono riprodotti i riccioli dei capelli cinti da una banda decorata. Lo sguardo è intenso e sembra ancora racchiudere l’attenzione vigile per gara appena conclusa. Il volto sebbene soffuso di una bellezza idealizzata, tuttavia sorprende per la particolarità dei dettagli che sembrano forse richiamare un ritratto. I piedi, riprodotti con attenzione meticolosa, leggermente distanziati e obliqui rispetto al capo, insieme alla leggera torsione del busto, creano un tentativo da parte dell’artista di superare le forme rigide della statuaria dell’epoca che si ritrovano invece nelle pieghe del chitone.

L’auriga è raffigurato mentre compie il giro d’onore dopo la vittoria volgendosi verso il pubblico. Il braccio di adolescente rinvenuto con gli esigui resti della quadriga, rappresentava forse un inserviente mentre teneva al passo uno dei cavalli.

  • Come si sa che l’auriga ha vinto la gara?

Perché la benda che gli cinge i capelli, detta tenia, era destinata al vincitore di una competizione.

  • Chi commissionò l’opera e quando?

I resti della quadriga sono stati rinvenuti accanto a una base con dedica a Polizelo, tiranno di Gela. Egli faceva parte della potente famiglia dei Dinomenidi, tiranni greci di Sicilia. Uno dei suoi fratelli fu signore di Siracusa, mentre il nostro Polizelo divenne tiranno nel 478 a.C. dopo la morte del fratello Gelone. La realizzazione della statua si colloca approssimativamente  tra il 480 e il 466 a.C. anno in cui terminò il dominio di questa potente famiglia.

  • Chi ne fu l’autore?

Difficile attribuire la paternità dell’opera, l’autore è sconosciuto, ma si sussurrano i nomi di Sotade di Tespie, di Pitagora di Reggio o di Pitagora di Samo.

  • L’Auriga è stato realizzato in un’unica fusione di bronzo?

No, per le statue di grandi dimensioni e, l’auriga è alto mt 1,80, si creavano in più parti che erano poi assemblate e le giunture nascoste. Nel caso dell’auriga i pezzi assemblati sono dieci, poi lo scultore con un bulino realizzò i dettagli. Le ciglia e le labbra sono realizzate in rame, mentre la benda è stata decorata con applicazioni in argento, gli occhi invece sono in pasta vitrea.

  • Come ha fatto a giungere sino a noi?

Per pura casualità, come spesso è accaduto. Nel 373 a.C. un terremoto colpì Delfi e una delle frane, lo seppellì così bene da nasconderlo per secoli a tutti coloro che saccheggiarono o abitarono la zona, sfuggendo al destino cui incorsero altre statue di bronzo che furono invece fuse per farne armi o utensili.

  • Perché il ritrovamento di questa statua destò scalpore?

Il suo ritrovamento destò grandissimo stupore perché, finché non fu ritrovato il Poseidone a Capo Artemisio nel 1926, l’auriga fu l’unico esempio dell’arte greca del cosiddetto periodo severo, realizzato in bronzo e ad altezza naturale.

  • Dove è conservato oggi?

L’auriga è conservato nel museo archeologico di Delfi, vicino al complesso del santuario.

Speriamo di essere stati promossi come guide, e se vi è piaciuto viaggiare, almeno sulla carta con Tsd non ci resta che aggiungere: “Alla prossima visita guidata…”.

La guida del sito archeologico di Delfi: dove parlava Apollo

Fonti

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