Narrativa recensioni

Recensione de “La ballata della Città Eterna” – Luca Di Fulvio

Recensione a cura di Roberto Orsi

Di pochi giorni fa la notizia della prematura scomparsa dell’autore Luca Di Fulvio. Ho letto questo romanzo durante il mio primo viaggio a Roma, nello scorso mese di novembre, una circostanza che lo ha reso ancora più affascinante.

“Era una truppa merdosa e miserabile. Magri. Avvizziti. Con una carnagione smunta, colore della cera. Sulla faccia, sulle mani, sulle caviglie si vedevano i segni rossi dei morsi delle cimici che infestavano le loro brande. Se non fossero stati così giovani, si sarebbe potuto dire che erano dei relitti.”

È questa l’immagine che Luca Di Fulvio sbatte in faccia al lettore nelle prime righe di questo romanzo. L’immagine di un gruppo di ragazzini, cresciuti senza una vera famiglia, in un orfanotrofio a Olengo, una piccola frazione della città di Novara.

Sono i primi mesi del 1870, la Contessa Silvia di Boccamara e il ricchissimo marito Ippolito Odìn decidono di adottare uno di questi ragazzi sfortunati. La buona sorte tocca a Pietro, un bambino dagli occhi vispi, lo sguardo intelligente, la battuta pronta e lo spirito sagace quanto irriverente. Il “Cavallino” Pietro, come la Contessa amerà chiamarlo nel corso degli anni, improvvisamente cambia vita. Dalla condizione precaria dell’orfanotrofio, in un “mondo” dove è necessario sgomitare per non soccombere, agli agi di una dimora di lusso, con un maggiordomo pronto a soddisfare ogni desiderio e un precettore che gli insegna le buone maniere.

“Pietro era una larva in attesa di trasformarsi, di spiegare le ali.”

Ma la vita là fuori non è solo rose e fiori. L’impatto con il mondo reale, quello che stritola Ippolito Odìn, all’indomani dell’unione d’Italia con un Regno che ancora deve assestarsi e soprattutto riprendersi dalle dispendiose manovre politico-militari che il processo di unificazione ha comportato, è decisamente tosto. Un grave episodio costringe Pietro e la Contessa a fuggire da Novara e cercare riparo nello Stato Pontificio: territorio straniero, ancora sotto l’egida del Papa, protetto dal Governo Francese e dal suo esercito di Zuavi.

L’altra protagonista della ballata è Marta, una giovane ragazza cresciuta e accudita dal personale del circo Callari. Trapezisti, trasformisti, mangiafuoco, acrobati, cavallari, l’hanno tenuta sotto la loro ala protettiva fin da quando lei ricordi. Ma quali erano le sue vere origini? Nemmeno Marta lo sa.

Per lei il mondo nasce e finisce all’interno del tendone bianco e rosso del circo. Un tendone che stringe e costringe la sua anima. Un temperamento che non si è mai davvero integrato con quello dei funambolici personaggi del circo, un crogiuolo di nazionalità ed estrazioni diverse. Il primo vero impatto con il mondo esterno per Marta è un fulmine a ciel sereno.

Il contatto con il Comitato Giovanile per la Liberazione di Roma le apre un nuovo mondo. Un mondo fatto di ideali, di fratellanza e impegno per un obiettivo comune. Per qualcosa di più grande e importante del mero interesse economico.

“La rivoluzione di quel mondo sembrava non averli mai toccati. Loro erano semplicemente il circo Callari, una nazione a sé.”

Le esistenze individuali di Marta e Pietro si alternano nei capitoli del romanzo, con lo sfondo di una penisola che sta subendo una profonda trasformazione. L’unità d’Italia di un decennio prima non è ancora completa. Roma non è ancora liberata. Lo Stato Pontificio ha ancora le sue prerogative di potere temporale, la Francia ha il rapporto diretto con il papato e la protezione dei territori. Il ricordo della Repubblica di Roma del 1849 non è ancora sbiadito, gli ideali di libertà e annessione al Regno d’Italia covano come braci nel sottobosco della società.

La battaglia è quasi pronta. I giovani ragazzi del Comito di Liberazione Nazionale, con i vecchi Lupi che guidarono la Repubblica del ’49, cercano un punto di intesa per raggiungere il loro scopo. Melo il cavallaro del circo, giunto a Roma nel frattempo, Pietro, la Contessa, Marta e gli altri personaggi che si affacciano sulla scena risorgimentale, vivono in una città in piena ebollizione. I gruppi rivoluzionari cercano quella libertà tanto agognata dai padri.

L’annessione al Regno d’Italia come obiettivo di una vita.

“Il Regno d’Italia è un sogno che si è avverato. Mio nonno e mio padre lo hanno desiderato senza vederlo. E con loro tutti i martiri che sono morti per questo ideale”.

Le vicende si intrecciano: Marta e Pietro attraversano quel processo fondamentale di crescita, la parabola del personaggio letterario che impatta nel mondo, ne subisce gli effetti e si adatta al cambiamento. Pietro è un ragazzo volitivo, per certi versi arrogante e sprezzante del pericolo. Una testa calda, potremmo dire. Marta a Roma scopre la sua identità più intima, raccoglie le sfide e si batte come un soldato lasciando spazio ai sentimenti e alla scoperta dell’amore.

Il tutto in un contesto di personaggi che è espressione di diverse classi sociali e culturali. Dai “malacarne”, abili truffatori e manigoldi della Roma più infida, a Ludovico, figlio della nobiltà cittadina animato da ideali liberali con i compagni del Comitato di Liberazione Nazionale; o, ancora, i vecchi Lupi della Repubblica Romana, idealisti e sempre pronti a combattere sul campo per la liberazione della città dal giogo straniero.

Diversi i passaggi in cui l’autore cerca l’impatto emotivo importante sul lettore, non mancano i colpi di scena, in un romanzo che comunque si dipana per 650 pagine, non una lettura breve.

“Roma era una città schifosa, a guardarla così. Eppure ogni giorno, su quella schifosa città, si levava il sole. E le strade fangose, le rovine mangiate dai rampicanti, gli imbrogli, la merda, le bugie scomparivano. Anzi, scintillavano. Seducendo ogni giorno romani e stranieri. Ammaliandoli. E Roma, nonostante se stessa, ogni giorno tornava a farsi perdonare. E amare.”

La città di Roma con la sua ambientazione sempre perfetta per un romanzo, in qualunque epoca lo si voglia ambientare, fa da sfondo a un racconto di guerra, passione, amore, rivalsa e vendetta. Le storie dei personaggi si intrecciano in un romanzo corale in cui ognuno ha il proprio ruolo, il proprio posto e la propria definizione, senza eccessive sbavature o forzature.

Una Roma meravigliosa quanto spietata, illuminata e crudele è il palcoscenico di una trasformazione politica e sociale che darà il via a quella che è la nazione che tutti, oggi, conosciamo.

“Non sempre Dio manda il freddo a seconda dei panni che veste la gente”.

Trama

In una Roma senza padrone, due giovani cuori imparano ad amarsi. Luca Di Fulvio racconta il momento irripetibile della nascita di una nazione. Stato Pontificio, 1870. L’orfano Pietro è fuggito da Novara insieme alla Contessa, una donna dagli occhi color ametista e dall’eleganza innata. Marta è cresciuta viaggiando insieme ai circensi: quando era bambina, il vecchio cavallaro Melo l’ha accolta sul suo carro insieme a giocolieri, acrobati e trapezisti. I loro destini si incrociano per caso, come i loro sguardi. Quando arrivano a Roma, restano entrambi a bocca aperta: nessun posto è così bello e corrotto insieme, così marcio e così incantevole. Eppure, a meno di un decennio dall’unificazione del Regno d’Italia, la Città Eterna è una polveriera. “Roma libera” è il motto segreto che passa di bocca in bocca tra botteghe e palazzi, tra gli straccioni dei vicoli e tra i giovani aristocratici del Caffè Perilli: “Siamo tutti fratelli, tutti carne italiana”. Ma cosa significa davvero essere italiani? Cosa significa essere fratelli per due come loro, che non hanno mai avuto una casa e una famiglia? Mentre la tensione sale e le truppe del Papa sorvegliano le strade vicino a Porta Pia, Marta e Pietro dovranno farsi coraggio e decidere da che parte stare, prima che là fuori cominci la battaglia.

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