Narrativa recensioni

Recensione di “Rondini d’inverno” – Maurizio De Giovanni

Recensione a cura di Roberto Orsi

«Mi dispiace, brigadie’. Mi dispiace di aver sparato al commissario Ricciardi»

“Rondini d’inverno” è il decimo romanzo della serie del Commissario Ricciardi, fortunato personaggio nato dalla penna e dall’estro letterario di Maurizio De Giovanni. Giunti a questo decimo libro e alla decima recensione potrebbe sembrare sempre più complicato trovare qualcosa da dire su questa serie. Eppure, non è così. In ogni romanzo si trova più di uno spunto di riflessione.

Il sottotitolo “Sipario per il Commissario Ricciardi”, unito alla prima citazione che ho riportato (attenzione non si tratta di spoiler, questa frase si trova a pagina otto del romanzo, nel prologo), accendono l’attenzione su questo nuovo capitolo della serie fin dal principio. Sembrerebbe giunta la fine per il tenebroso commissario della Regia Questura di Napoli? L’autore lascia il lettore in sospeso lungo tutto il racconto. Nel prologo citato e in alcuni intermezzi sapientemente inseriti nella narrazione, si assiste a una sorta di confessione di un protagonista anonimo nei confronti del brigadiere Maione. Chi ha sparato al commissario Ricciardi? In che senso? E quando è successo?

“Forse la colpa, alla fine, non è mia. La colpa secondo me è dei sogni. I sogni sono infami, brigadie’. Sono subdoli e traditori, i sogni. Ti convincono che la realtà, in fondo, non è del tutto vera, che si può cambiare, che si può migliorare. I sogni ti creano qualcosa nella testa e ti fregano, perché poi senza i sogni non riesci a campare più.”

Il sipario è anche quello del teatro Splendor il luogo della tragedia su cui Ricciardi e Maione indagano in questa nuova avventura.

Michelangelo Gelmi, impegnato sul palcoscenico del varietà, la sera del 28 dicembre, uccide a sangue freddo la moglie e compagna di teatro Fedora Marra. Lo sparo è previsto dal copione. Ogni sera si ripete alla fine della rappresentazione, ovviamente con l’arma caricata a salve. Ma questa volta è diverso: la morte dell’attrice appare da subito troppo naturale e realistica; la macchia di sangue che si sparge sotto il suo torace non dà adito a dubbi. Il proiettile, questa volta, è vero. Gelmi ha sparato alla moglie proprio alla fine della rappresentazione, davanti a un pubblico sconvolto.

Teatro San Carlo di Napoli

Come è potuto accadere? L’attore si dichiara subito innocente: ha materialmente sparato quel colpo, ma non avrebbe mai voluto. Qualcuno, secondo lui, ha voluto incastrarlo.

Il caso sembra banale e risolvibile in poche mosse: a maggior ragione quando negli abiti di scena di Fedora Marra viene ritrovato un biglietto d’amore, probabilmente indirizzato a una terza persona, il suo amante. I due non coltivavano più un amore profondo, e forse non lo avevano mai fatto. Il loro era un rapporto principalmente di convenienza, per la loro carriera di attori e gli ingaggi che i teatri della città di Napoli potevano garantire.

“L’amore e la fame” sono i due moventi principali negli omicidi, il commissario lo ha sempre sostenuto: anche in questo caso sembra proprio l’amore, trasfigurato in gelosia, ad aver mosso la mano dell’assassino.

Ma Ricciardi è convinto che la soluzione, come sempre, non sia così lampante. Crede nella disperazione di Gelmi e nel suo professarsi innocente.  Il “dono” del commissario, o la “maledizione” come la vede lui, torna prepotente. Lo spirito di Fedora ripete ossessivamente “Amore della mia vita, Amore della mia vita, Amore della mia vita”.

“Un astro in ascesa, Fedora. Un sole al tramonto, Michelangelo. Le rispettive carriere li stavano allontanando, e ora la morte li aveva separati per sempre.”

In una Napoli che ha smesso di essere sferzata da vento e pioggia, nei giorni tra Natale e Capodanno, aleggia un clima quasi primaverile intervallato da una nebbia spessa, un manto che tutto ricopre e avvolge. I sogni ingannano, avvelenano, confondono. La nebbia nasconde la verità, ma non la cambia. Sogni e nebbia. Due elementi che si rincorrono nella narrazione. Due patine diverse, onirica l’una, materiale l’altra, ma capaci di modificare la nostra percezione.

Anche nella sua indagine Ricciardi sembra velato da una nebbia che non vuole sollevarsi. Come se la soluzione fosse a portata di mano, ma non visibile.

Lo stesso succede per i suoi sentimenti. Il rapporto con Enrica sembra essere giunto alla svolta decisiva. Livia non rinuncia alle sue mire verso il bel tenebroso commissario, ancora tallonata dall’enigmatico Falco, per il quale svolge ormai il ruolo di spia.  Infine, Bianca la Contessa Palmieri di Roccaspina, sempre più rapita nei sentimenti per il Luigi Alfredo Ricciardi.

“Rondini d’inverno” è il terzo romanzo della serie delle canzoni napoletane. In questo caso le note che aleggiano sulla storia sono quelle di “Rundinella”. Ancora una volta è l’anonimo Maestro di musica, negli intermezzi tra un capitolo e l’altro, a dispensare le sue perle di saggezza e gli insegnamenti di vita a un giovane che si reca da lui per attingere quanto più possibile della sua Arte.

“Una canzone è una storia presa dalla vita, non s’inventa a tavolino per metterla in un romanzo; può anche non finire e narrare di un unico istante; sono attimi importanti che per l’autore, per la sua vita, contano più di ogni altra cosa.”

In questo libro l’indagine torna al centro della narrazione mentre il tormento di Ricciardi, a cui abbiamo assistito nei romanzi precedenti, sembra fare un passo indietro, come se avesse trovato una via di fuga lasciando una certa serenità al commissario. Una serenità che non riesce, però, a esprimersi nella sua completezza: la maledizione di Ricciardi è un ostacolo per lui insormontabile, non può aprire il suo cuore del tutto.

In parallelo all’indagine principale, una questione privata impegna Maione e il dottor Modo: Lina, la prostituta cara al dottore, viene portata in ospedale dopo un pestaggio che l’ha ridotta in fin di vita.

Lo stile di questo capitolo ricorda molto i primi libri della serie. La vena ironica di De Giovanni, riversata su Maione, Modo e lo stesso Ricciardi fa capolino in diversi passaggi che strappano più di un sorriso al lettore. Le storie dei personaggi si intrecciano ancora una volta: l’amore di un padre per la figlia, l’amore di un uomo per una donna, l’amore di una madre o di un’amante. I personaggi della serie risultano ormai necessari, definiti e famigliari. Ecco la grande qualità dell’autore: ancora una volta ha parlato di tutti noi attraverso la forza dei protagonisti.

Trama

Il Natale è appena trascorso e la città si prepara al Capodanno quando, sul palcoscenico di un teatro di varietà, il grande attore Michelangelo Gelmi spara con la pistola contro la moglie, Fedora Marra. Nulla di strano, succede tutte le sere, ogni volta che i due recitano nella canzone sceneggiata: solo che dentro il caricatore, quel 28 dicembre, tra i proiettili a salve ce n’è uno vero. Gelmi giura di non aver mai avuto intenzione di uccidere Fedora, ma in pochi gli credono. Il caso sembrerebbe già risolto, eppure Ricciardi non è convinto. Cosí, mentre il fedele Maione aiuta il dottor Modo in una questione privata, il commissario – la cui vita sentimentale pare giunta a una svolta decisiva – si dedica con pazienza a ricostruire la vicenda. Un mistero reso ancora piú oscuro da una strana nebbia calata all’improvviso e che riserverà un ultimo, drammatico colpo di coda.

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