Recensione a cura di Maria Marques
Verso sud devo andare!Se il sole tramonta a ovest, il sud è davanti a me. Tieni il sole alla tua destra e va avanti va avanti va avanti. Mi sono perso!
Il ragazzo disperso durante una forte nevicata è il sedicenne Hans Stucky, il capostipite di quella famiglia che brillerà a Venezia di cui saranno considerati i Principi, citati nel titolo del romanzo. Tre generazioni si susseguono con Hans, Giovanni e Giancarlo Stucky, imprenditori svizzeri il cui nome si legherà strettamente alla città, in primis alle sue vicende economiche ma anche alla storia, tra la metà dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento.
La tradizione svizzera imponeva che tutti gli adolescenti maschi della sua classe sociale partissero per un viaggio di formazione. Non era certo il gran tour dei nobili, ma sicuramente un buon modo per imparare un mestiere e soprattutto per imparare a stare al mondo, che quella era la cosa più difficile.
Persa la via maestra, mentre la notte incombe, Hans troverà provvidenzialmente rifugio in una casa di poveri contadini ridotti alla fame e, prenderà una decisione che cambierà la sua vita: ”non avrebbe mai affamato nessuno. E per garantire il pane sicuro a tutti quanti doveva fare il mugnaio.” Nel 1831 lasciata la Svizzera, Hans raggiunse Frauenfeld, dove esistevano mulini all’avanguardia e, dopo aver appreso tutto il possibile, decide di scendere in Italia giungendo infine a Venezia. Da quel momento in poi sembra che tutto quello che gli Stucky tocchino diventi ricchezza. Il figlio di Hans, Giovanni sarà colui che farà costruire, nella Giudecca, il mulino più grande e all’avanguardia d’Europa con cui s’imporrà dapprima localmente e infine anche a livello internazione conquistando fama e ricchezze, tanto che potrà acquistare un palazzo degno della posizione ormai consolidata, uno tra i più bei palazzi di Venezia, Palazzo Grassi. Il volume di affari prodotto dal mulino si riversa sulla città, creando posti di lavoro per moltissimi operai, che godono di benefici impensabili per l’epoca e, incrementando i traffici mercantili nel porto. Giovanni sembra avere davvero tutto, una moglie di nobili natali, figlie cui farà concludere matrimoni vantaggiosi e un maschio cui tramandare non solo il cognome ma anche l’azienda di famiglia. Gli Stucky non sono solo imprenditori, il loro nome si lega alla politica e alla vita culturale di Venezia. Una fortuna inarrestabile che si scontra con la cronaca: il 21 maggio 1910 Giovanni sarà ucciso proprio da un suo ex dipendente, Vincenzo Bruniera.
Il figlio, Giancarlo, si troverà così a guidare l’azienda di famiglia, dove tutto parla delle fortune del padre con cui non ha mai stretto un vero rapporto, ma si dovrà anche scontrare con tempi e congiunture storiche ed economiche diverse. Con lo scoppio della I guerra mondiale, le importazioni di grano vanno lentamente diminuendo prediligendo altri porti e gli anni successivi non sono migliori. L’ottenimento della cittadinanza italiana nel 1923 non permetterà a Giancarlo di ottenere i risarcimenti per i danni di guerra, poiché antecedenti al provvedimento. Da lì in poi sarà una parabola, amara e discendente di un patrimonio e di un uomo che non riesce ad arginare la catastrofe. Le banche inizieranno a chiudere i finanziamenti e, proprio gli amici, di cui Giancarlo si fidava e che sperava potessero perorare la sua causa con Mussolini, si riveleranno più interessati ad azzannare, sottocosto, il suo patrimonio che ad aiutarlo.
Accanto alla parabola degli Stucky, narrata in terza persona, un altro personaggio narra in prima persona la sua avventura umana. Vincenzo Bruniera, l’assassino di Giovanni Stucky, in carcere immagina un uditorio cui narrare la sua vita simile a quella di altri contadini veneti, costretti a lasciare le terre per non morire di fame e a tentare fortuna in America, per finire sfruttati brutalmente. Tra le luci, lo sfarzo e l’opulenza degli Stucky, la vicenda di Bruniera è desolante nella sua miseria e preludio agli eventi che travolgeranno Giancarlo.
Capite ora com’era per noi Venezia, Illustrissimo Signor Presidente? Sì, certo, era magia, sogno incanto. Ma era soprattutto cibo, sicurezza, strade senza fango, lampioni a gas accesi alla sera, l’acqua corrente, ma quella vera, non come da noi, che l’acqua corrente arrivava solo quando pioveva. E, cosa più importante di tutto, medicine per guarire da tutte le malattie.
L’autrice, Antonella Benvenuto, racconta la vicenda degli Stucky, cogliendo i vari protagonisti, non lungo l’arco della loro intera esistenza, ma nei momenti più significativi e, questa scelta stilistica non pregiudica per nulla la descrizione dei personaggi che emergono a tutto tondo, nella loro complessità, e rende molto più fluida la narrazione. Descrivendo abilmente Venezia e il suo mondo dorato di salotti, ricevimenti, di serate all’opera in cui si concludono affari, si stringono contatti, ma anche la disperazione delle famiglie contadine e quella di un uomo che dall’avere tutto arriverà al nulla, l’autrice riesce a dipingere un quadro storico che dal 1848 arriva sino alla morte nel 1941 dell’ultimo Stucky. Al centro di tutto, oltre le famiglie, si staglia Venezia nobile algida e beffarda che non fa sconti a nessuno.
“Uno dei cavalli di San Marco stava per essere calato lungo la facciata d’oro della Basilica. A reggere il peso dell’animale era un sistema di carrucole, corde e pulegge che, nella vita reale, proprio Giancarlo aveva progettato e fatto costruire per salvare i monumenti di Venezia dai bombardamenti della guerra.
Il romanzo, poiché trattasi di romanzo, pur con qualche concessione che non inficia la veridicità degli avvenimenti e di cui l’autrice da compiuta spiegazione nelle note in appendice, inserisce anche un elemento di fantasia che riesce a chiudere la saga di questa famiglia con quel tassello che nella storia reale, manca.
Trama
La saga della dinastia Stucky, che divenne la famiglia più ricca di Venezia, ruota attorno alla figura di Giovanni Stucky, assassinato brutalmente nel 1910 e al quale la città riservò un funerale degno di un capo di Stato. Uomo intelligente e visionario di nazionalità svizzera guardò al Nord Europa con un chiaro obiettivo: costruire a Venezia il molino più grande e all’avanguardia tra quelli esistenti, inaugurando così una produzione che mai si era vista prima e conquistando i mercati internazionali. Fu un’ascesa inarrestabile. Gli anni della Belle Époque fecero da sfondo ai loro successi e riconoscimenti: Venezia attirava il bel mondo, con il Lido che si stava affermando come la località balneare più esclusiva e la Mostra Internazionale d’Arte che catalizzava gli artisti più in voga. Amati e invidiati, da alcuni odiati nell’ombra, gli Stucky dettavano il passo. A interrompere quest’aurea danza, lo scoppio della Prima e Seconda guerra mondiale. Fu il figlio Giancarlo a dover gestire gli affari in tempo di guerra. Dandy e amante dell’arte, come una splendida farfalla infilzata con uno spillo nella teca di un collezionista, si ritroverà intrappolato in una vita che forse non era la sua e, per colpa di una congiuntura storica sfavorevole e dei rapaci interessi di persone a lui vicine, sarà divorato senza pietà. Resta oggi, a memoria, un edificio imponente dall’architettura gotica che dalla Giudecca osserva Venezia, muto testimone del coraggio, dell’ingegno, della capacità imprenditoriale, della determinazione e dell’umanità che animarono questa famiglia.