Recensione a cura di Luigia Amico
Lo faccio così si sentiranno in colpa! Pensava illudendosi che la morte di un ragazzo un po’ depresso e asociale avrebbe scosso la comunità ebraica di Francoforte e le coscienze dei suoi aguzzini. Vivranno nel rimorso di avermi mandato a morire!
Immanuel è un giovane ragazzo ebreo la cui vita è già segnata da angherie e violenze da parte di chi avrebbe dovuto dimostrargli amicizia e solidarietà; non vuole più vivere ed è deciso a dare un taglio alla sua solitudine e tristezza. È lì pronto ad abbandonarsi alla morte, ma un suono o meglio una melodia suonata ad un pianoforte lo strappa a quell’attimo di follia e gli restituisce la lucidità che lo aveva abbandonato. Io resisto riesce finalmente a dire.
Immanuel ascoltò quel pianoforte sconosciuto, ascoltò la musica, immaginò le dita che danzavano sullo strumento, sentì ogni nota e ne sentì l’intera melodia […] Non poteva morire senza scoprire quali altre musiche avrebbe potuto ascoltare di nascosto.
Anche Adalbert è un giovane ragazzo, è cresciuto in una famiglia di militari e rispecchia il perfetto esempio di uomo di razza ariana, ma al contrario dei seguaci del Führer, lui di glaciale ha solo la bellezza che fa da cornice ad un carattere forte ma generoso.
Per una serie di coincidenze, i due giovani si incontreranno e tra loro nascerà qualcosa che andrà ben oltre la semplice amicizia, accumunati inoltre da un’unica passione: la musica.
Tra note musicali ed incontri con il suo amato Adalbert, la vita di Immanuel sembra finalmente prendere la giusta piega, ma essere ebrei durante la dittatura nazista non può portare altro che sofferenza e dolore: il suo futuro purtroppo si macchierà delle atrocità che gli saranno inflitte durante l’internamento nel campo di concentramento di Buchenwald.
Nulla sarà più come prima perché dall’inferno si ritorna irrimediabilmente devastati, ammesso che un ritorno ci sia.
Si spostarono verso le fosse che ogni giorno dovevano creare e disfare. Come Penelope mentre aspetta il ritorno di Ulisse… Ma qui non arriverà mai nessuno, chi potrebbe salvarci?
Michela Cavaliere, con spiccata abilità narrativa, riesce a far muovere i personaggi del suo romanzo in una realtà cruda, mefistofelica come solo quella di un lager può essere. Nelle scene in cui incontriamo i due protagonisti, frutto della fantasia dell’autrice, trovano spazio figure (definirli personaggi li renderebbe troppo umani) realmente vissute nella Germania hitleriana.
Il campo di concentramento di Buchenwald, uno fra i più grandi della Germania nazista, è noto oltre che per le barbarie perpetrate, anche per aver “ospitato” una delle donne più raccapriccianti dell’epoca: Ilse Koch, meglio conosciuta tra gli internati come la “cagna di Buchenwald”.
Sadica, riprovevole, godeva nel torturare ed infliggere sofferenza ai deportati e sarà soprattutto Adalbert a fare i conti con lei, perché se Immanuel dovrà affrontare la sua vita come deportato, Adalbert indosserà la divisa delle SS. Un angelo vestito da demonio.
Non cadere nel panico, cerca di mantenere la mente attiva, sempre. Pensa, sogna, parla con te stesso, suona nella mente Liszt, Beethoven o Bach, quel che vuoi, ma non cedere a loro.
“Il faggio di Buchenwald” affronta molteplici tematiche: il racconto si apre con la disperazione di uno dei protagonisti sopraffatto dagli atti di bullismo di cui è vittima. Sono violenze fisiche e psichiche che lo destabilizzeranno a tal punto da spingerlo ad un tentativo di suicidio e questo passaggio ci ricorda purtroppo che tuttora è un argomento lontano dell’essere desueto.
L’omosessualità vissuta di nascosto, al riparo da occhi omofobi perché amare una persona dello stesso sesso era considerata una malattia che andava curata con pratiche ed esperimenti al limite del raziocinio umano o semplicemente eliminata con la morte. Oggi sicuramente gli esperimenti in questione sono stati debellati, ma quante coppie omosessuali devono ancora nascondere i loro sentimenti perché additati come diversi.
L’amore tra Immanuel ed Adalbert farà da filo conduttore al romanzo, un amore che cercherà di sopravvivere all’orrore della Shoah. In questo caso l’amore vince su tutto? Sì, ma a quale prezzo? E’ una domanda a cui risponderà l’autrice nel capitolo conclusivo di questo viaggio attraverso gli orrori consumati durante il regime nazista.
Particolare ai miei occhi è il titolo del libro… Buchenwald significa letteralmente “bosco di faggi”, ma qui si evidenzia un unico faggio, come unico è il sentimento che unisce i due protagonisti. Un seme piantato lì dove la cattiveria degli uomini ha provato a cancellare l’amore incondizionato che ha legato Immanuel ed Adalbert.
Trama
Immanuel e Adalbert. Uno ebreo, l’altro militare nazista. Si sono conosciuti in gioventù quando Immanuel, dopo mesi di violenze e abusi da parte dei suoi coetanei, ha deciso di suicidarsi. È stata la musica di Adalbert a fermarlo salvandogli la vita. Poi è arrivato il periodo più buio e Immanuel viene internato a Buchenwald. Potrà il loro amore salvarli attraversando la follia del dottor Vaernet e la crudeltà di Ilse Koch, la strega di Buchenwald?
Editore : Santelli (11 giugno 2020)
Lingua : Italiano
Copertina flessibile : 155 pagine
ISBN-10 : 8831255568
ISBN-13 : 978-8831255561
Link di acquisto cartaceo: Il faggio di Buchenwald