Narrativa recensioni

Inferno 1860. Un noir napoletano – Marco Lapegna

Sinossi

Nella rovente estate napoletana del 1860, mentre Garibaldi con il suo esercito di volontari risale la penisola e l’amministrazione del Regno delle Due Sicilie è in completo disfacimento, l’ispettore di primo rango della polizia borbonica Gaetano Casagrande è incaricato di indagare su un delicato caso di duplice omicidio: una anziana venditrice ambulante di umile aspetto e la moglie di un giudice appartenente all’alta aristocrazia napoletana sono ritrovate assassinate assieme nello stesso appartamento. Intrecciando l’indagine poliziesca con gli eventi storici realmente accaduti, l’intento dell’autore è costruire un romanzo noir raccontando al tempo stesso la vita quotidiana di Napoli nei quattro mesi decisivi nel processo di unificazione dell’Italia. Una città tumultuosa e piena di vita, popolata da guardie pigre e svogliate, immigrati pugliesi in cerca di una vita migliore, spie del regno di Sardegna, piccoli ladruncoli, preti impegnati in omelie reazionarie e avvocati liberali. Una terra in bilico tra un passato pieno di contraddizioni e un futuro ricco di incognite, eternamente sospesa tra l’attesa remissiva di un aiuto esterno e il desiderio di partecipare in prima persona.

Recensione a cura di Laura Pitzalis

Inferno 1860” un titolo che sintetizza in due parole il romanzo di Marco Lapegna: inferno inteso come caldo estivo, il caldo asfissiante, intenso, afoso di quell’estate napoletana del 1860 in cui si dipana il racconto.

“I giorni centrali di agosto furono i più caldi di quell’estate infernale. La sera una coltre umida saliva dal mare e toglieva il respiro, senza offrire ristoro al termine di giornate infinite dominate dal sole rovente. Non pioveva da mesi e le strade non lastricate diventavano piste polverose. […] Gli abitanti dei bassi avevano trasferito la loro vita per strada, dove donne sfatte passavano il giorno sedute a chiacchierare tra loro, nella vana attesa di una lieve brezza che non sarebbe arrivata. A nulla valeva alzare la gonna fin sopra le ginocchia e allentare i lacci della camicia mostrando intimità di solito ben nascoste”.

Inferno riferito al periodo irrequieto per il Regno delle due Sicilie, in particolare Napoli, un lasso di tempo che va dallo sbarco di Garibaldi a Marsala al suo arrivo a Napoli. Un periodo particolare che rappresenta uno spartiacque nel processo di unificazione dello Stato italiano.

A Napoli, una città sospesa tra un passato di contraddizioni e un futuro colmo d’incognite, la situazione è abbastanza turbolenta e delicata. Dal maggio 1848, quando il re Ferdinando aveva sciolto il Parlamento avviando una feroce repressione contro gli oppositori politici, l’unica preoccupazione dei vertici della polizia è dare la caccia, controllando, pedinando, schedando e arrestando chiunque abbia idee liberali, mentre tutte le altre situazioni che riguardano l’ordine pubblico sono passate in mano alla camorra. Se poi aggiungiamo, l’inesperienza e la giovane età del re Francesco II e il fatto che si era da sei mesi senza governo, si può capire come tutta l’amministrazione fosse precipitata nel caos più completo. E va da sé che anche il timore da parte del popolo verso le forze dell’ordine si trasformasse in intolleranza e , causa la disorganizzazione, corruzione e improvvisazione che regnava a tutti i livelli nella polizia, derisione da parte dei giornali satirici.

“Hai idea di quello che fa la maggior parte delle guardie nei commissariati? Chiude un occhio sugli orari di apertura delle cantine e in cambio pretende da bere senza pagare. Sono ubriachi già prima di mezzogiorno. Altri approfittano dei controlli nei bordelli per estorcere prestazioni alle ragazze o somme di denaro. Ma non solo nei bassi ranghi: lo schifo è a tutti i livelli. Sai cosa è stato scoperto due mesi fa nel commissariato del Pendino? Che il commissario in persona inventava false denunzie e poi ricattava i poveri accusati estorcendo denaro. Capisci? Come se fossimo tornati all’epoca dell’Inquisizione”.

Vi è quindi un’atmosfera di sfiducia, di disistima verso le istituzioni. I liberali e i democratici si uniscono ai delinquenti per creare disordini e disagi atti a rovesciare la monarchia. Neppure la promulgazione della Costituzione riesce ad avvicinare il popolo al re: non c’è più fiducia dopo che, quella emanata dal Re Ferdinando nel 1848, era stata poi revocata e seguita da persecuzioni contro chi si era esposto.

Un periodo di caos dove non si capisce chi governa, dove anche tra i liberali le idee sono confuse: chi è per l’unità d’Italia e un’insurrezione immediata, chi vuole aspettare Garibaldi e chi vuole una repubblica che s’ispiri a Mazzini.

Tutte queste ideologie, l’autore le propone attraverso le opinioni dei personaggi, che espongono senza sentenziare, senza cioè farne prevalere una in particolare: sarà il lettore a fare sua l’opinione che crede.

Marco Lapegna scrive la Storia non descrivendo i fatti, ma facendo parlare i vari protagonisti con la loro quotidianità, con le loro attese, le loro ansie , le loro paure per il nuovo che avanza, che non capiscono cosa e chi rappresenta. Per poi constatare che alla fine per il popolo cambierà poco o nulla.

Davvero il vento della promessa di libertà e di giustizia sociale, che risaliva la penisola assieme ai volontari di Garibaldi, avrebbe eliminato la miseria e la fame dalle strade di Napoli? Oppure saremmo diventati solamente una colonia del Regno di Sardegna, un serbatoio di risorse e manodopera per le industrie che sorgevano come funghi in Piemonte? Le notizie delle repressioni nel sangue dei contadini siciliani che reclamavano le terre, lasciavano presagire che, a parte il casato dei regnanti, per il popolo tutto sembrava dovesse rimanere inalterato

E qui l’autore mi sembra molto “gattopardiano”, (“se vogliamo che tutto rimanga com’ è, bisogna che tutto cambi”dice Tancredi nel “ Gattopardo), facendoci trovare una Napoli un po’ rassegnata a subire dominazioni, governi, politicismi, nella convinzione che le cose cambino … Cambieranno sì ma solo in apparenza perché in sostanza nulla cambia.

Con uno stile chiaro, semplice e spontaneo, per niente artificioso ma non trasandato, Marco Lapegna è riuscito a costruire un affresco di una Napoli in bilico durante il processo di unificazione dell’Italia, con una vita reale che si muove a più livelli sociali: c’e la grande aristocrazia, c’è la borghesia, ci sono i ceti popolari … e come un regista scrupoloso e possente mi accompagna per i vicoli, le strade, le piazze, le case.

Io leggo e contemporaneamente vivo realmente la scena: vengo sommersa in piazza Mercato dalla folla accorsa ad assistere ai festeggiamenti per la Madonna del Carmine e devo farmi largo a spintoni tra la calca e i venditori ambulanti di spighe bollite, cocomerai e acquafrescai. Mi trovo travolta da una gran moltitudine di persone, uomini in abiti eleganti o da lavoro, donne con bambini al seguito, scugnizzi scalzi, ma anche militari borbonici nella divisa azzurra, tutti festanti che, sventolando la bandiera tricolore, vogliono vedere “ ‘o Generale”. E lo vedo: la leggendaria camicia rossa, i capelli e la barba fulvi che saluta la folla festante. Sono immersa in un tripudio di gioia e festa.

Il sottotitolo del libro dice: un noir napoletano, ma per me il racconto noir, che ha la struttura del giallo classico, nel senso che c’è un duplice omicidio, c’è un commissario che svolge l’indagine e che infine scopre l’assassino, è un po’ defilata, non è il fulcro del romanzo ma una componente che serve per descrivere una città, un popolo, la Storia.

Il protagonista è l’ispettore di primo grado Gaetano Casagrande e anche l’IO NARRANTE. Trovo ottima la scelta dell’autore di scegliere la tecnica narrativa in prima persona perché in questo modo riesce a catapultare il lettore nel mondo del romanzo facendogli sentire le emozioni del protagonista e facendogli vivere gli avvenimenti attraverso i suoi occhi, rendendo così il racconto immediato, ritmato ed emozionale.

A lui sono state assegnate l’indagini del duplice omicidio, in apparenza senza senso, avvenuto in casa di un giudice appartenente all’alta aristocrazia napoletana, indagini che risultano difficili perché ostacolate da omertà, soprusi, ed eventi storici.

Un personaggio riuscitissimo e l’autore è stato bravissimo a mostrarne il travaglio interno.

Persona onesta, leale, fedele e umanissima vuole portare avanti la sua visione morale, combattendo contro un sistema corrotto, dove finire in carcere anche se innocenti è molto comune. Una speranza di giustizia , di rispetto, puntando l’attenzione su ciò che è giusto o sbagliato senza pregiudizi o schieramenti. Crede fino all’ultimo che si possano cambiare le cose dall’interno con l’esempio e alla fine si troverà nella parte sbagliata della storia.

Ma, nonostante i tradimenti ricevuti per anni da parte dei tanti colleghi che avevano screditato le forze dell’ordine, e le continue delusioni da parte dei superiori nell’organizzazione del lavoro, non ultima quella di avermi rinchiuso in ufficio polveroso a visionare documenti e rapporti, mi sentivo ancora legato al giuramento di fedeltà fatto al re”.

Tutti i personaggi sono ben definiti e ben caratterizzati nelle loro particolarità psicologiche ed emotive. Due in particolare mi hanno colpito perché sono la rappresentazione della speranza di un mondo migliore: Patrizia e Rafeluccio.

Patrizia è una bambina, immigrata pugliese, che per aiutare la mamma malata vende fiorellini gialli, che raccoglie nei campi. Casagrande, inizialmente disorientato dalla sua presenza anche se incuriosito, stringe con lei, non senza fatica, un rapporto di reciproca fiducia. Patrizia sarà importante per l’ispettore non solo fisicamente aiutandolo in un momento drammatico, ma anche dandogli la possibilità sostenendola di, non dico risolvere, ma porre rimedio all’arroganza e repressione dei suoi colleghi verso le persone più deboli, più umili, gli ultimi.

Rafeluccio è il suo unico figlio, un ventenne pieno di speranze per un futuro migliore, intenzionato, nonostante il padre non sia d’accordo, a intraprendere la carriera di poliziotto. Sarà lui , con la sua decisione di unirsi ai volontari di Garibaldi, a indurre il padre a vedere le sue opinioni da un altro punto di vista.

Intense le pagine riguardanti il dialogo tra padre e figlio , dopo che quest’ultimo comunica la sua partenza ai genitori.

“Papà, non ve ne rendete conto? Guardate voi, per esempio! Volevate fare l’ispettore o il commissario di polizia per aiutare i deboli contro i soprusi dei malviventi. Avete sempre fatto il vostro dovere, siete sempre stato fedele alle istituzioni e vi ritrovate dentro un ufficio polveroso a fare il passacarte, mentre i vecchi delinquenti camorristi spadroneggiano in città. Le cose non cambiano da sole. Papà, avete sempre criticato l’organizzazione e la corruzione della polizia, ma cosa avete fatto per farle cambiare?»

Smise per un attimo di preparare la sacca e mi guardò fisso negli occhi.

«Papà, io parto anche per voi. Per fare in modo che il lavoro e l’impegno delle persone oneste venga riconosciuto. Questa dinastia non l’ha mai fatto».

Fu come ricevere un pugno nello stomaco e le mie ultime certezze saltarono definitivamente per aria”.

Un ottimo romanzo che non solo ci parla di Storia ma approfondisce alcuni temi importanti come i diritti delle donne, oltre a proporci alcune “chicche” della tradizione popolare napoletana: “A festa d’ ‘a Maronna ‘o Càrmene; parte del canto “Quanno nascette ninno” di Sant’Alfonso Maria de Liguori, scritto nel XVII secolo e “Confessione ’e Taniello” scritto da Raffaele Petra, marchese di Caccavone, ottimo epigrammista, poeta ingegnoso, acuto e pungente.

Un romanzo che può essere letto su vari piani e che quindi consiglio a tutti i lettori, gli appassionati di gialli, quelli interessati alla Storia e quelli innamorati di Napoli, dei suoi luoghi, della sua gente.

Copertina flessibile : 400 pagine

ISBN-13 : 978-8869503993

ISBN-10 : 8869503992

Editore : Rogiosi (2 luglio 2020)

Lingua: Italiano

Link d’acquisto cartaceo: Inferno 1860

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