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Lettera dal Polo Nord…

Cari lettori di TSD, oggi ho ricevuto una lettura molto particolare, del tutto inaspettata e che, ve lo confesso, mi ha fatto sentire molto in colpa. Voglio condividerla con voi. Guardate un po’ chi mi scrive?

Gent.le Roberto Orsi
sono stato a lungo incerto se scriverLe questa lettera o meno, indeciso su come avesse potuto prendere le mie parole, ma alla fine ho pensato che era giusto tentare, certo di avere la Sua attenzione.

Seguo da un po’ il suo giornale on line, oh non si stupisca: sono vecchio, ma per la mia “professione” devo essere al passo coi tempi. Dicevo, la seguo, i suoi articoli mi tengono compagnia nelle sere nevose e nelle estati per me di riposo, e aspettavo, aspettavo… aspettavo che Lei e i suoi collaboratori mi dedicaste attenzione, mi celebraste in qualche modo. Ho visto passare sulle sue pagine grandi geni del tempo che fu, condottieri, re, conti dai canini aguzzi, pizze, gelati, palazzi e grandi e piccoli libri, ma non un accenno a me e alla mia Storia.
E così, ogni giorno mi confidavo con le mie renne e dicevo loro “arriverà il mio momento”. Loro mi guardavano, ma poi Donder (per voi italiani, Saltarello), l’unica tra le mie renne in grado di riprodurre voci umane, maschili e femminili, mi rispondeva: “temo che l’Orsi ti abbia proprio dimenticato”.

No no, non poteva essere, l’Orsi con la sua passione per il Sacro Graal non può affatto ignorare che a causa della santa coppa le mie spoglie furono trafugate, persino il Sommo Poeta Dante mi ha citato nel suo Purgatorio, vuoi che non si parli di me sull’accreditato giornale storico? E così ogni sera, seduto sulla mia sedia a dondolo, digitavo www.thrillerstoriciedintorni.it, convinto che sarei stato in prima pagina, ma ogni sera chiudevo il suo giornale un po’ più mesto. Mi son detto che forse se avessi mantenuto la tiara anziché il cappello a punta bordato di pelliccia, avrei avuto la Sua attenzione già da tempo.

Forse Lei pensa che la mia giubba rossa sia una invenzione della Coca-Cola, che la mia proverbiale bontà e il mio dispensare doni siano una leggenda, che il mio essere rappresentato iconograficamente come uno stivale non abbia alcun fondamento storico, che io, Santa Claus, sia solo una invenzione fiabesca.

H0H 0H0, caro Orsi, magari non passo attraverso i comignoli, ma sono più storico di ciò che pensa, non sarò thriller, ma nei dintorni mi merito un posto.

Permette, allora, che le racconti la mia Storia?

Non voglio tediarla partendo dai tempi dell’età classica, dai miei legami con Poseidone, dio del mare, che era un dispensatore di doni, o dal fatto che il mio nome dopo la canonizzazione derivi da quello del dio greco Nickar, anch’egli ritenuto nell’antichità un dio molto generoso. Potrei sembrare un vecchio borioso che, poiché in là con gli anni, vuole darsi arie accostandosi persino a un dio.

E sempre al mio legame con una divinità si deve uno dei simboli con cui da voi sono rappresentati: lo stivale. Eh sì, perché prima della conversione al Cristianesimo, nel folklore dei popoli germanici era viva la presenza del dio Wotan (forse a voi è più noto col nome di Odino) che ogni anno, in occasione del solstizio invernale conduceva con altri dei ed eroi una grande battuta di caccia. I bambini lasciavano così i propri stivali nei pressi del caminetto, riempiti di carote e paglia per nutrire con cui dare conforto al cavallo volante del dio. Wotan, grato dei doni, lasciava in cambio regali e dolciumi.

Ma la sto tediando con credenze, leggende e folklore, Lei vuole la Storia, lo so, e allora andiamo a quella.

La mia vera storia inizia nel IV secolo in Turchia, quando io, San Nicola, sono divenuto vescovo di Myra. Lì sono morto, e le mie spoglie vennero conservate nella cattedrale fino all’inizio dell’anno 1000, quando dei cavalieri italiani rubarono la mia salma e la portarono a Bari, il cui patrono è appunto San Nicola.

Ero solito fare regali ai poveri… si ricorda soprattutto un gesto particolarmente nobile: regalai la dote alle tre figlie di un cristiano povero ma devoto, evitando loro l’obbligo di darsi alla prostituzione.

Questo cristiano, un nobiluomo caduto in miseria, soffriva e lamentava e si disperava di ciò, così, mosso a pietà dai suoi lamenti, decisi di lanciare attraverso la finestra tre sacchi di monete in tre notti. Le prime due notti tutto andò per il verso giusto ma, durante la terza, la finestra venne chiusa dalla governante. Deciso a perseverare nell’impresa, mi arrampicai sul tetto e calai attraverso il comignolo il sacco di denari, che andarono a finire in una delle calze appese ad asciugare proprio sul camino. È questo che ricorda Dante nel suo Purgatorio:

Esso parlava ancor de la larghezza
che fece Niccolò alle pulcelle,
per condurre ad onor lor giovinezza.

(Purgatorio, canto XX vv. 31.33)

E per questo, in ricordo del mio impegno per salvare queste ragazze dalla prostituzione che nel 1130 sono stato rappresentato sulle monete normanne.

Di me, si è detto anche che calavo cibo nei camini delle famiglie meno abbienti. Ma poiché non ero così ricco da poter comprare doni e cibo per tutti, ricchi e poveri si è messa in mezzo la voce che io fossi in possesso del Santo Graal, ecco perché trafugarono le mie spoglie dalla Turchia (e ovviamente, sebbene non fosse stato ritrovato il mitico calice, le mie reliquie non sono mai più tornate indietro).

È da qui, da questa mia volontà di rimanere anonimo che deriva la tradizione di lasciare di nascosto dei doni sotto l’albero nella notte di Natale… lo sapeva, dottor Orsi?

E così ogni nazione europea ha ideato un mio “sostituto”: in Inghilterra, per esempio, sono un vecchio con la barba, che mantiene un vago aspetto sacro, per cui il mio mantello vescovile è mutato in un lungo abito verde scuro e la mitra trasformata in cappuccio, sempre verde, con il pon-pon bianco.

L’abito rosso, invece, quello con cui soprattutto voi nel meraviglioso Bel Paese mi conoscete, non è stata una invenzione della Coca-Cola, come le dicevo: ha origine a Boston nel 1885, a seguito dell’illustrazione di alcune cartoline di Natale opera del tipografo Louis Prang. Vero è, però che la campagna pubblicitaria iniziata dalla nota bibita nel 1939 ha reso quell’abito celebre in tutto il mondo facendolo diventare la mia divisa ufficiale.

Nel corso dei secoli, il mio aspetto ha subito diversi cambiamenti. I primi sono avvenuti per necessità, a causa della Riforma protestante del XVI secolo, quando i santi non erano visti di buon occhio ma nessuno voleva perdere la tradizione dei regali nella notte del 24 dicembre.

Ed è sempre a causa della Riforma protestante che mi sono visto cambiare il nome: da “San Nicola” all’olandese Sinter Klass e da qui il mito e il nome di Santa Claus nelle varie accezioni e lingue. I suoi abiti sono simili a quelli di un vescovo: porta la Mitra rossa con una croce dorata disegnata sopra e un Pastorale (ancora richiamo a San Nicola). Sinterklaas arriva su un cavallo bianco con il quale vola sui tetti e i suoi aiutanti scendono attraverso i comignoli per lasciare doni ai bambini.

Non sono sempre stato ciccione, sa? Ero snello… la barba bianca l’ho sempre avuta, ma la pancia no… anche quella mi hanno aggiunto…

La mia immagine soffice e tonda nasce nel 1860, quando il Presidente americano Abraham Lincoln, come arma di guerra psicologica nei confronti della Germania, chiese al caricaturista americano Thomas Nast di ridicolizzare l’immagine del me tedesco: Nast mi ingrassò, enfatizzò le mie curve con una cinta nera in vita e decise che ero certamente nato al Polo Nord, e che dovevo avere le guance rubizze.


Neanche una slitta avevo, sa? Quella me la mettono sempre nella caricatura, per smitizzare la famosa Station Wagon.

Oh caro Orsi, pure le renne sono un acquisto recente, sa?

Il vero me faceva portare il fardello dei doni ad un asinello, mentre in Svezia sono accompagnato da un gruppo di caprioli.  Ma nell’Ottocento, alcuni scrittori decisero che delle renne sarebbero state più pittoresche del vecchio asinello.

La prima volta fu nell’illustrazione di un libro, con una sola renna, poi Clement Clarke Moore (ma l’attribuzione della poesia è ancora molto controversa)  scrisse una poesia per i suoi figli “Una visita di San Nicola”, ma più nota come “La Notte di Natale” (the Nigh before Christmas), pubblicata sul Sentinel il 23 dicembre 1823 in cui indicava il nome di tutte le otto renne di Babbo Natale di cui ora Lei e i lettori del suo giornale imparerete i nomi a memoria, vero?

Preferite i nomi inglesi – Dascher, Dancer, Prancer, Vixen, Comet, Cupid, Donder e Blitzen -, o quelli italiani – Fulmine, Ballerina, Donnola, Freccia, Cometa, Cupido, Salterello e Donato-. La nona renna, aggiuntasi solo nel 1939, è Rudolph dal naso rosso, inventata a scopo pubblicitario dalla catena americana Montgomery Ward.

Oh cielo, che sbadato, la vecchaia mi stava facendo dimenticare dei miei elfi o gnomi o folletti… come li chiamate voi? Ebbene, qualcuno, nel tentativo di gettare fango sulla mia Santa immagine,  andava dicendo che mi facevo accompagnare dallo gnomo Peter il Nero, che puniva i bambini ancora svegli. Suvvia, le pare che un Sant’uomo come me potesse mai accompagnarsi a tali loschi figuri? I miei gnomi sono abili costruttori di giocattoli, Peter il Nero è solo una storia non avallata da fonti (e so che Lei ci tiene molto alla realtà comprovata dai documenti).

Oh caro il mio Orsi, come vede, sono molto storico, o forse è la Storia che mi ha dato consistenza, la leggenda ha fatto il resto, insieme hanno creato il mio mito, il mito di Babbo Natale.

Non si preoccupi, non rivendicherò l’indole del me tedesco, quella secondo cui facevo la lista dei buoni e dei cattivi – per questa Sua dimenticanza l’avrei messa sicuramente tra i cattivi – e lei troverà lo stesso un pacchetto sotto l’albero… però, che dice, lei mi trova un posto nel suo Thriller Storici e Dintorni?

Intanto che ci pensa, auguro a Lei e a tutta la sua comunità, un Santo Natale

Che ne pensi di questo articolo?

4 Replies to “Lettera dal Polo Nord…

  1. Che dire, per la prima volta dopo tanto tanto tempo, vorrei restare sveglia la notte di Natale nel caso questo Babbo “così storico” decidesse di calarsi davvero dal mio camino. E se magari, avesse pure voglia di fare due chiacchiere, potrei fargli un paio di domandine alle quali ancora non ho trovato risposta né negli archivi storici, né nei libri più antichi! Nel caso lei, caro Babbo Natale, decidesse di leggere i commenti su questa pagina, la prego di scusare anche me, per non aver preso in considerazione il fatto di consultarla direttamente per i miei dubbi. Ah, dimenticavo: questa lettera è geniale! Buon Natale a tutti!

     
  2. Babbo Natale, io non ti dimentico mai. E che tu sia storico o meno…cosa importa? Ti aspettiamo Babbo, mi raccomando, gel e mascherina, ma passa. Mai come quest’anno abbiamo bisogno di sogni.

    PS: il buon Roberto non potrebbe mai stare nella lista dei cattivi e se tu ce lo avessi infilato a forza, il suo nome sarebbe trasmigrato attratto dall’altra lista.

     
  3. In questo periodo, come per incanto, ritorno bambina. A scuola, la maestra ci aiutava a compilare la lettera di auguri che dedicavamo ai nostri genitori: nella quale promettevamo, puntualmente, di essere più bravi e più buoni. Ricordo quella carta da lettere adornata con il disegno che rappresentava la Natività con sopra la scritta “Buon Natale” disegnata con la porporina. Quei luccichini avevano un fascino particolare ai miei occhi di bambina: com’ero felice di dedicare quei piccoli pensieri a mamma e a papà. Ricordo il calore che c’era nei nostri cuori, la gioia di dividere quello che avevamo tra noi fratelli. E’ come se guardassi una scena illuminata da un mago con il tocco della sua bacchetta magica: i miei Natali di bambina li ho vissuti proprio così; magicamente! Molto più belli oggi perché illuminati dai ricordi.

     

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