Narrativa recensioni

La Malasorte – Renata Stoisa

Trama
Cavour è morto da poco, il governo cerca di mediare tra coloro che vorrebbero considerare briganti e assassini i soldati del Regno delle due Sicilie e coloro che li vorrebbero soldati del nuovo Regno d’Italia. Nella Torino postunitaria le fazioni politiche e la stampa si schierano su opposti fronti riguardo all’Offensiva contro il brigantaggio. Nell’ambito di tale iniziativa, il generale Cialdini è incaricato di incorporare nell’esercito Regio i prigionieri del dissolto esercito borbonico dopo l’annessione del Regno delle due Sicilie all’Italia. In questo clima ha inizio il racconto. L’assassinio di un aristocratico sabaudo è l’occasione per accusare del delitto un ufficiale borbonico prigioniero nel Campo di San Maurizio Canavese. Si vuole, in questo modo, assecondare quella parte dell’opinione pubblica che contrasta la politica governativa e nel contempo salvare il colpevole, uomo potente dell’amministrazione sabauda. In un momento storico di cambiamento epocale, in cui grandi ideali e miserie umane si intrecciano, uomini e donne appartenenti a mondi diversi sono costretti ad affrontare la nuova realtà.

Recensione a cura di Laura Pitzalis
La Malasorte, titolo non fu più esaustivo. Malasorte vuol dire una cosa molto diversa dalla fortuna, non è semplicemente l’altra faccia, la sfortuna con davanti una s e basta. La malasorte te la vai a cercare oppure è una disgrazia. Nel romanzo di Renata Stoisa i protagonisti, chi per un verso chi per un altro, ne sono colpiti e i loro piani e le loro vite prendono destini diversi da quelli voluti.
Siamo nel 1861, l’Italia smetteva di essere una semplice penisola formata da sette differenti stati e diventava un paese unitario raccolto sotto uno stesso stendardo nazionale. Finalmente unita, quindi, ma solo sulla carta: troppe differenze tra nord e sud, ma anche tra sud e sud, che inevitabilmente permangono in un Paese giovane caratterizzato da tante storie quanti sono i suoi innumerevoli dialetti. E poi la questione meridionale: le condizioni di estrema povertà e l’aumento delle tasse portarono a rivolte contro lo Stato e alla nascita del brigantaggio, una vera e propria guerriglia portata avanti da contadini e ragazzi renitenti alla leva.
In questa situazione politica si svolge il romanzo della Stoisa che, prendendo spunto dall’omicidio di un aristocratico torinese, ci porta in un’Italia degli opposti: i “belli e buoni”, con i vertici militari e l’aristocrazia sabauda che cercano di recuperare i reietti, gli emarginati, i vinti; e i “brutti, rozzi e cattivi” con la corte perdente dei Borbone e i briganti del meridione.
Un’Italia dove, pur di salvare il loro prestigio, conseguire i loro scopi e giustificare i mezzi per riuscirci, si arriva a incolpare d’omicidio una persona innocente, portando come unica prova il fatto di appartenere ai “vinti”, a quelli “brutti, rozzi e cattivi” per intenderci, e supportando l’accusa non con fatti ma con supposizioni basate su delle loro convinzioni, che, non messe in discussione, sono assunte come verità assoluta. E poi la soluzione d’archiviare il caso come “omicidio politico”, farebbe comodo a tutti: in un momento d’instabilità del governo in seguito alla morte di Cavour, gettare ulteriore discredito sui borboni avrebbe distolto l’opinione pubblica da questioni ben più gravi.
Il caso potrebbe essere così chiuso senza problemi ma … sorge un problema! Il Commissario del Tribunale Militare, il “Povero Antonio”, titolare delle indagini, ha le prove dell’innocenza dell’accusato e non ci sta ad avallare questa falsa accusa.

Il Commissario di una cosa era certo: quel Salvatore Pinto era innocente. Perché lo volessero incolpare dell’omicidio del Signor Conte, restava un mistero. – Non devo risolvere misteri – pensò – devo scagionare quel disgraziato.

Che fare? Semplice si toglie di mezzo. Come? Con una “calunnia”: “La calunnia è un venticello, un’auretta assai gentile che insensibile, sottile, leggermente, dolcemente incomincia a sussurrar.”
Così canta Don Basilio nel “Barbiere di Siviglia “ di Rossini, e, infatti, questo venticello leggero, che lentamente s’insinua nella mente delle persone e poco a poco si propaga, per poi esplodere come un temporale o un terremoto, riesce nel suo intento e come un effetto domino, non solo distrugge la reputazione del “Povero Antonio”, ma da il “la” ad una serie di avvenimenti che formano l’ossatura del romanzo.
Ecco Renata Stoisa nel suo romanzo ci descrive questo mondo, e lo fa studiando e analizzando la società dell’ Italia postunitaria attraverso i personaggi del libro, senza abbellimenti, descrivendone la vita come veramente è.
I personaggi, la loro personalità, i loro atteggiamenti, e i loro pensieri non sono descritti o spiegati, ma rappresentati e comunicati attraverso le loro azioni e i loro comportamenti.

Il Canonico muoveva la testa a destra e a sinistra nel suo gesto abituale, che gli era valso il soprannome di Pendolo. […] percorreva il corridoio della canonica dondolando il capo e i pensieri sembravano scendere dal cervello allo stomaco e poi incominciavano a ruotare, a sbattere, e lo stomaco bruciava, oh come bruciava

La scrittura è attenta a fornirci immagini dei luoghi per una piena percezione del paesaggio, l’autrice, infatti, è bravissima a trasmetterci una grande varietà di esperienze sensoriali: noi vediamo le varie sfumature dei colori e sentiamo i vari odori dell’ambiente che ci circonda; percepiamo il calore del sole, il freddo della notte ma anche l’ansia, la paura, il dolore, la gioia, la sensazione di benessere. Noi non solo leggiamo ma sentiamo, odoriamo, vediamo e proviamo emozioni.

Salvatore Pinto ogni mattina incontrava odori sconosciuti: d’erba bagnata, di animali al pascolo, di camini accesi, di erbe essiccate, di formaggi. Imparava a riconoscere colori nuovi: un verde rinvigorito dalla pioggia, un rosso di bacche lucide. Udiva suoni diversi: quello continuo del torrente, quello mattutino degli uccelli.

“La Malasorte” è un romanzo storico. La Stoisa ci rende partecipi degli avvenimenti storici non esponendo lei i fatti, ma facendoli raccontare dai suoi personaggi: nei salotti delle nobildonne torinesi, dove tra un pettegolezzo e l’altro, tra un pasticcino e un buon bicchiere di vino si parla della morte di Cavour, si parla del Re Vittorio Emanuele II, si discute di ministri e ministeri; oppure nella corte dei Borbone in esilio a Roma, dalla regina Maria Sofia e l’ex ufficiale dell’esercito borbone, Salvatore Pinto, che ci rivelano il contenuto della corrispondenza della regina Maria Carolina, moglie di Ferdinando IV re di Napoli e primo re delle Due Sicilie.
Grazie quindi a dei dialoghi diretti che rendono la narrazione fluida, chiara, mai noiosa o ripetitiva, abbiamo uno spaccato della storia Italiana del periodo in cui si prepara, si proclama e si attua L’Unità d’Italia.
Un romanzo che mi ha catturato non solo per la capacità dell’autrice di farci “partecipare” alla storia, ma anche per l’aspetto “veristico” della narrazione: i personaggi non si distinguono per coraggio o paura, per bontà o malvagità, al contrario sembrano essere delle persone comuni, abbastanza limitate e rassegnate. Si percepisce il loro malessere, la loro insoddisfazione personale sia nell’atteggiamento superficiale e sofisticato delle nobildonne, sia nella vita cruda e degradante delle persone umili e semplici, fatta di una continua lotta per l’esistenza e per la sopravvivenza.
Vi consiglio di leggerlo.

Copertina flessibile: 168 pagine
Editore: Echos Edizioni (1 maggio 2019)
Collana: Latitudini
Lingua: Italiano
ISBN-10: 8895463277
ISBN-13: 978-8895463278
Link di acquisto cartaceo: La Malasorte

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