Narrativa recensioni

Raffaello. La verità perduta – Francesco Fioretti

Trama
Roma, 1519. Ci sono voluti anni di fatiche e compromessi, ma ora lui, Raffaello da Urbino, è per tutti un maestro, “il” maestro, in realtà, da quando Michelangelo e Leonardo sono partiti. La Città Eterna, però, si è rivelata un nido di serpi, e dietro i sorrisi non vi è che invidia. Da quando poi papa Leone X lo ha nominato sovrintendente all’archeologia romana, le cose sono andate peggiorando. Roma nasconde tesori che spetterebbero al papato, ma molti di questi si trovano sui terreni delle famiglie nobili più influenti, che mai vi rinuncerebbero. Così, stritolato tra un papa forestiero e le famiglie che vuole ingraziarsi, Raffaello decide di disegnare una mappa della Roma imperiale. La caducità degli interessi dei singoli sarà con il tempo scalzata da un oggetto imperituro. E, nel frattempo, dedica tutto se stesso alla pittura, alla “Trasfigurazione”, e alla donna che ama, Margherita, la Fornarina, sua musa e amante. Pochi mesi dopo, però, Raffaello, il banchiere Chigi e il cardinal Bibbiena, suoi amici e mecenati, muoiono in circostanze misteriose. Una vita disordinata, nella versione ufficiale, ma per Pietro Aretino, brillante poeta e amico, spirito libero costretto al soldo di padroni a volte indegni, e per Margherita, le morti sono opera della stessa mano assassina. E per trovarla dovranno disseppellire una rete di invidie, antichi misteri e patti segreti tra i più impensabili alleati. A cinquecento anni dalla morte di Raffaello, Francesco Fioretti ce ne regala un ritratto, non solo il maestro ricercatissimo e osannato, ma anche la vittima di quello stesso potere che lo rese uno dei più grandi interpreti del Rinascimento, cuspide tra il mondo del bello come manifestazione di Dio e dell’uomo e un’epoca di repressione e penitenza.

Recensione a cura di Roberto Orsi

Dagli antichi volevano imparare la sensualità dello spirito, la spiritualità dei sensi. Avevano l’impressione che fosse questo il segreto che li aveva resi così grandi: l’umiltà con cui avevano appreso dai greci vinti l’arte della grazia, la formula magica della bellezza, che è il divino quando si manifesta nella materia attraverso la proporzione dei corpi e l’armoniosa misura dei paesaggi o delle prospettive.

La morte del grande maestro Raffaello è tutt’oggi un mistero irrisolto. Nel nostro blog ne abbiamo parlato in questo articolo, nella nostra rubrica de “I misteri della Storia”.
Francesco Fioretti si insinua in questa particolare piega degli eventi in una Roma della prima metà del 1500, proprio all’indomani della tragica morte di Raffaello e dei suoi amici Agostino Chigi e il cardinal Bibbiena. Nonostante l’opinione pubblica e i potenti del tempo volessero nascondere i motivi della morte sotto un tappeto di semplicistiche ragioni di salute (“non stava bene di suo e le esagerazioni di una vita sregolata lo hanno stroncato…”), Pietro Aretino non si dà pace. Non è convinto di quanto si sostiene in città: i tre amici e mecenati sono morti avvelenati. Ma cosa potevano avere in comune da condurli a tal fine? A quale nemico comune avevano dato fastidio a tal guisa da ricavarne unicamente una morte prematura?

L’autore in questo nuovo romanzo, dopo averci abituati ai segreti della Divina Commedia (“Il libro segreto di Dante” è stato il romanzo scelto per la lettura condivisa di marzo del nostro gruppo Facebook), fa un salto in avanti di due secoli circa in quel palcoscenico suggestivo e meraviglioso che è stato il rinascimento italiano. Come un crogiuolo di eventi e personaggi, pescare al suo interno restituisce così tante possibilità di intrighi, complotti, arte, seduzioni, malignità, splendore e magnificenza.
Uno splendore che risalta quando nel libro vengono descritte le opere del maestro Raffaello e dei grandi artisti dell’epoca che gravitavano nell’orbita pontificia sotto grandi mecenati come papa Leone X nato Giovanni di Lorenzo de’ Medici, secondogenito del Magnifico e di Clarice Orsini. Un papa che diede grande lustro alla città eterna, seguendo le orme del padre che rese intramontabile la stagione artistica di Firenze della fine del ‘400.
Anche sulla morte di Papa Leone X aleggia lo spettro della congiura e dell’avvelenamento. Sorte che quindi condivide con Raffaello, così beneamato alla corte pontificia per i servigi resi: una semplice coincidenza o una macchinazione di individui pronti a tutto, anche a sfidare la giustizia divina?
L’arte di Raffaello e le sue creazioni fanno da corollario a un romanzo che regala quell’atmosfera così riconoscibile del rinascimento italiano. Siamo in quella stagione preludio di una dominazione spagnola che ebbe l’apice nel secolo successivo, ancora lontani dalla nostra identità nazionale raggiunta solo a metà del XIX secolo, almeno sulle cartine geografiche.
Anni di lotte interne, di intrighi e voltafaccia. accordi e leghe che potevano garantire il successo o la disfatta di una famiglia, una dinastia o addirittura un singolo stato.
Fioretti è bravissimo nel muoversi in questo ambiente. In quella Roma che riscopriva i miti classici, ispirata da geni del calibro di Raffaello e Michelangelo, due fra i più importanti esponenti del neoplatonismo, spesso anche in competizione tra loro. Le loro botteghe hanno fatto scuola e la loro rivalità artistica ha fatto storia.

La poesia e la pittura si somigliano. Ed entrambe parlano di te che le guardi o le ascolti. Perché tu sei ora nel posto in cui all’inizio erano loro, un posto che chiami “realtà” e che è meno reale della scena che adesso stai osservando con attenzione: perché tu te ne vai, tu passi, mentre il pittore e il poeta restano là, implacabili a guardarti e indicarti per sempre.

Una stagione di fermento artistico incredibile con personaggi del calibro di Papa Leone X di cui già si è anticipato e di Giulio II, suo predecessore. Fu proprio quest’ultimo, al secolo Giuliano della Rovere, a portare Raffaello a Roma nel 1508 dopo essere stato colpito dalle produzioni dell’artista urbinate. A lui vennero affidati gli affreschi di quattro stanze dei palazzi vaticani tra cui la Stanza della Segnatura che ancora oggi regala una visione mozzafiato. Nel ciclo di affreschi di Raffaello in questa stanza il tema iconografico è quello della cultura umanistica e neoclassica. Si riscoprono e si esaltano le categorie neoplatoniche del Vero, del Bello, del Bene e del Giusto (categorie in cui non a caso è suddiviso il romanzo stesso) con affreschi incredibili quali “La scuola di Atene”, dove i grandi personaggi dell’epoca classica sono raffigurati con le sembianze dei grandi artisti del Rinascimento, o ancora come “La disputa del Sacramento”.
Un periodo di grande apertura del mondo ecclesiastico romano, dove alle figure sacre della cristianità si affiancavano quelle neoclassiche di dei pagani. La riscoperta del classicismo di cui abbiamo parlato già altre volte sul blog, quella filosofica neoplatonica che deve i suoi natali a Firenze nell’accademia voluta da Cosimo de Medici.
Un’apertura che presto venne osteggiata da quei cardinali più integralisti e conservativi, a partire da quel Lutero che intraprese una sorta di crociata contro la stessa Chiesa corrotta e perduta.
Raffaello rivive nell’indagine avanzata dall’amico Pietro Aretino, desideroso di fare luce su una vicenda dai tanti lati oscuri e dalle tinte fosche, in una storia dove le maldicenze sono verità scomode. L’Aretino segue diverse piste per trovare una soluzione definitiva e rendere pace e giustizia all’anima degli amici con cui aveva condiviso tanto. Quasi un tributo dovuto non solo alle persone che aveva apprezzato nelle avventure romane, ma anche alla stessa stagione vissuta insieme. Un’epoca che sta volgendo al termine, incalzata da una riforma ecclesiastica originata dai clerici e pensatori del nord Europa.
“Raffaello. La verità perduta” è un romanzo storico che si traveste da giallo. Dove l’indagine dell’Aretino dona lustro e memoria a un grande artista che lo renderà immortale agli occhi dei posteri.

Copertina rigida: 288 pagine
Editore: Piemme (26 maggio 2020)
Collana: Storica
Lingua: Italiano
ISBN-10: 885667517X
ISBN-13: 978-8856675177
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