Curiosità

Perché si è persa la tradizione del Kimono?

I terremoti, secondo il folklore giapponese, sarebbero causati dai movimenti della coda di un enorme pescegatto che vive nel fango sottoterra, Namazu o Ōnamazu, quando sfugge al controllo del dio Takemikazuchi o Kashima. Però, nonostante il suo potere devastatore, è venerato come yonaoshi daimyojin,  divinità della riparazione del mondo.

Il popolo giapponese, infatti, crede che niente sia  del tutto negativo, neppure le catastrofi come i terremoti che, essendo un fenomeno della natura, ha il suo motivo di essere: “riparare il mondo” per portarlo verso una maggiore stabilità. E così avvenne per quello del 1° settembre 1923 che contribuì all’occidentalizzazione degli abiti nipponici focalizzando la poca praticità dell’abito giapponese, il kimono, in situazioni di pericolo.

Fu un terremoto di magnitudo 7.9 che devastò la regione del Kantō nell’isola giapponese di Honshū, radendo al suolo buona parte delle città di Tokyo, Yokohama e Kawasaki. Uno tsunami con onde alte sei metri provocò la morte di 300 persone a Kamakura e la sua intensità fu tale da riuscire a spostare di alcune decine di centimetri l’enorme statua del Buddha della città, una delle più famose del Giappone. Un altro tsunami con onde ancora più alte spazzò via decine di villaggi, provocando colate di fango, allagamenti e danni irreparabili alle infrastrutture.

Il peggior disastro naturale registrato nella storia del Giappone: si stima che l’energia prodotta dal sisma fosse pari a quattrocento bombe atomiche.

I danni peggiori, tuttavia, furono quelli provocati dagli incendi che si svilupparono proprio a causa del terremoto: il vento forte favorì la diffusione delle fiamme partite dal gas fuoriuscito dalle condutture rotte, che provocò numerosi incendi soprattutto nelle aree densamente popolate di Tokyo dove le case erano costruite interamente in legno.

Ci furono più di 100mila vittime, 570mila case distrutte e quasi due milioni di sfollati.

La maggioranza delle vittime furono quelli che non riuscirono a scappare perché troppo fragili o perché intrappolati nelle case o, nel caso delle donne, perché rallentate dal kimono e dagli altissimi sandali.

Le calamità naturali esulano dal controllo dell’uomo, che di fronte alla propria impotenza trova spiegazioni al limite tra razionalità e superstizione. Il terremoto del Kantō non fece eccezione, la causa fu attribuita al cattivo atteggiamento della società giapponese che dal 1868 in poi, cioè nel periodo Meiji, si era mostrata progressivamente più aperta all’Occidente e lontana dalla tradizione.

Eppure, fu proprio il tradizionale abito giapponese, l’abito stretto e i sandali in legno (geta), a causare la morte di moltissime donne, impedendo loro di scappare e salvarsi. Come nell’ incendio del negozio di Shirokiya a Nihonbashi nel 1932. Anche in questo caso la maggior parte delle vittime furono donne a cui il kimono impedì di sottrarsi alla morte. Si racconta che alcune di loro, durante l’incendio, si rifiutarono di gettarsi nelle reti di salvataggio per pudore: il salto dalle finestre avrebbe mostrato il corpo compromettendo la loro dignità.

Paradossalmente, furono proprio queste tragedie a “riparare il mondo”, accelerando la transizione sociale e culturale del Giappone: prende piede, infatti, la convinzione che il kimono fosse ormai troppo pericoloso per lo stile di vita moderno.

Verso la metà del XX secolo la maggior parte delle donne lavoratrici e una minoranza di casalinghe adottarono abiti occidentali, considerati più pratici e meno costosi e lo stesso kimono cambia linea e integra nuovi materiali e fantasie importate dall’Occidente.

Oggi i kimono vengono indossati solamente durante i matrimoni, i funerali, le cerimonie del tè ed i matsuri, ma non è difficile vedere persone nella vita di tutti giorni girare in kimono, soprattutto se più anziane e magari in città come Kyoto, simboleggiando la resilienza e la tenacia del popolo giapponese.

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