Narrativa recensioni

Recensione di “Libero scorre il fiume” – Eleanor Shearer

Recensione a cura di Serena Colombo

Una corsa verso la libertà: definerei così questo libro pubblicato di recente da Nord.
Ma se dovessi definire la “libertà” in sé, avrei qualche difficoltà. E la lettura di questo libro mi rendeva, pagina dopo pagina, sempre più difficile fissare una definizione univoca. L’unica certezza era che

Ogni libertà ha un prezzo.

Non inteso in senso economico, ma di vite umane, di affetti, di persone, di pensiero, di movimento. Ogni libertà che incontravo, pagina dopo pagina, aveva dei limiti, non era mai totale. E soprattutto, era il frutto di sacrifici, della natura più disparata.

“Libero scorre il fiume” racconta di una fuga, quella di Rachel, dalla piantagione di Providence, all’indomani della promulgazione dell’Emancipation Act: un decreto emanato dal re che sanciva la fine dello schiavismo e, di conseguenza, rendeva liberi gli schiavi. Ma

“Libertà” era solo un nuovo nome per definire la stessa vita di sempre.

Perché lo schiavismo non finisce con l’Emancipation Act, lo schiavismo era così grande e radicato che continuava a perpetrare il suo potere anche dopo. E non c’era altra via che fuggire. E questo fa Rachel: fugge dal suo padrone, dalle piantagioni di canna da zucchero, dalle frustate, dalla pelle che ancora stenta a non sanguinare, dalla violenza di figli strappati dalle mani, dal grembo, e venduti chissà a chi. Figli dei quali si chiede costantemente dove saranno, cosa saranno diventati, e di cui teme la morte.
Ma quindi

È questa la libertà? Foresta deserta. Fuga, terrore che prende lo stomaco. Era questo, ciò che avevano sempre desiderato?

Rachel se lo chiede, ma non si dà una risposta, non ne ha il tempo. Lei cerca solo i suoi 5 figli. La sua volontà in questo è talmente dura che diventa feroce, spietata, pronta ad attraversare tutto: fiumi, foreste, oceano, uomini. Tutto, pur di mettere pace a questo suo bisogno, più forte del bisogno di libertà. Percorre strade, si sfinisce, macina distanze incalcolabili. Ma ogni strada che finiva, e in fondo alla quale spesso non trovava nulla, o poco più di una traccia, per lei era solo un inizio.

Incontra popolazioni indiane, si unisce a loro nella foresta, incontra altri fuggitivi come lei, a cui si sente accomunata da uno stesso destino. E uno dopo l’altro insegue i suoi demoni, piange i suoi lutti, scava un solco nel suo cuore, ricuce le sue ferite; trova libertà diverse da quelle che aveva pensato di trovare, si scontra con desideri altri, con altri concetti di libertà, con bianchi ancora padroni e bianchi “buoni”; con il desiderio dell’uomo di aiutare e con quello di comandare. Si troverà al cospetto di ribellioni, e di vite che non sono quello che aveva pensato, con cuori sanguinanti ma decisi a conquistarsi la propria libertà.

Impara, Rachel, impara a leggere le facce, a vederci i dispiaceri e le speranze. 

Ci vedo le cose che la persona vuole di più. Anche dietro occhi spenti e pieni di tristezza io trovo sempre una fiammella.

Attraversa città come Bridgetown

il vero monumento all’uomo bianco. Lì non cresceva nulla. Guardandosi intorno, Rachel vedeva solo persone, e le enormi case che avevano costruito. A differenza delle piantagioni, la città non era stata progettata per non avere nascondigli. In quella città, ci si veniva per perdersi.

Ed è da quella città, rifugio di fuggitivi in cui era facile diventare anonimi, che comincia la sua ricerca. I suoi figli potevano essere lì, come potevano essere ovunque.
E la sua ricerca la porterà a rivedere un’altra piantagione, altre scene di frustate, che stavolta le fanno più male, le sente ancor più addosso, anche se la pelle che si lacera non è la sua. Che la fanno piombare nel passato, quello verso il quale tutti rivolgono il proprio sguardo, quello che nessuno pensa possa essere diverso dal futuro. E le fanno avere l’impressione di essere ritornata al punto di inizio. Un punto in cui la fuga torna a essere il suo progetto.

Com’è possibile che ti tocca scappare, anche da libero?

“Libero scorre il fiume” è un libro doloroso, che racconta il dolore, ma anche la resistenza, la forza che può dare il senso e la voglia e il coraggio di provare a ricomporre ciò che ci è stato strappato con violenza; la storia delle donne caraibiche che partivano alla ricerca dei loro figli perduti; è la storia della schiavitù, di capisquadri bianchi liberi solo in apparenza, solo fin quando hanno un nero da battere; è la storia della nascita di tanti pregiudizi razziali. È un libro che fa male leggere, ma un male necessario a comprendere che la Storia, spesso, fa male conoscerla!
Non è forse un libro originalissimo, e che ha nella parte centrale una certa fase di stanca, dopo un inizio molto ben promettente, ma è un libro che ha un giusto equilibrio tra avventura e riflessioni e domande.

Pro: Un libro che, nonostante l’argomento, si lascia leggere con piacevolezza.

Contro: Qualche momento, nella parte centrale, in cui il ritmo cade, dove forse l’autrice si dilunga un po’ troppo in descrizioni non proprio necessarie e funzionali.

Citazione preferita:
Quando il ruscello dell’infanzia si allarga fino a diventare un fiume, la corrente della vita adulta scava a fondo nel terreno, e il suo corso non si altera facilmente, però a volte una lieve pressione può portare a prendere direzioni inaspettate.

Trama
È questa la libertà? si chiede Rachel, mentre corre in una foresta immersa nel buio, sola, atterrita, esausta. Sta scappando dalla piantagione in cui ha trascorso tutta la sua esistenza, da un lavoro sfibrante, da un padrone brutale. Lo stesso padrone che, quella mattina del 1834, ha annunciato la fine della schiavitù, per poi aggiungere che tutti loro avrebbero dovuto prestare servizio come apprendisti per altri sei anni. Una beffa atroce. In quell’istante, qualcosa in Rachel si è spezzato. Perché dentro di lei ci sono cinque anime, cinque volti che nessuna fatica e nessun dolore sono riusciti a cancellare: i cinque figli che, nel corso del tempo, le sono stati strappati via, spinti verso una sorte che lei ignora. Sono vivi, sono morti? Sono schiavi come lei oppure sono liberi? Se li incontrasse, la riconoscerebbero? Eccola, la vera libertà. Trovare i suoi figli. È un viaggio difficile, quello in cui s’imbarca Rachel. La strada è lunga e piena di pericoli, le informazioni spesso inaffidabili, come le persone che di volta in volta si offrono di aiutarla. Eppure lei andrà avanti finché le storie dei suoi figli, come le acque di un fiume, non si saranno fuse con la sua, a creare un’unica, grande storia, quella di una famiglia. Solo allora, per la prima volta nella sua vita, Rachel potrà sentirsi completa. Dai campi di Barbados all’affollato mercato di Bridgetown, dalla Guyana Britannica alle foreste di Trinidad, in queste pagine intime e dolorose si snoda un viaggio pieno di speranza, un inno alla forza dei legami familiari e all’amore infinito di una madre.

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