Narrativa recensioni

Le donne dell’Acquasanta – Francesca Maccani

Recensione a cura di Serena Colombo

Francesca Maccani ci introduce fin dalle prime battute nel mondo delle sigaraie, della Manifattura Tabacchi della Palermo di fine Ottocento.
Il primo capitolo è subito un affondo sensoriale nell’aroma del tabacco, nella formazione di un sigaro e nelle dinamiche lavorative di una Manifattura.
È il marzo del 1897, che in Sicilia significa già sapore d’estate, e Rosa e Franca, protagoniste di cui un prologo ci aveva già fatto assaporare le fattezze e i caratteri, profondamente diversi, lavorano al confezionamento di sigari pregiati, quelli destinati alla clientela del nord del continente.

Per la lavorazione del tabacco qui all’Acquasanta servivano le donne. Il travagghio era sempre stato cosa di maschi, con le reti da pesca o nei campi, ma con la nuova fabbrica era diventato di colpo mestiere per le donne

Sono fortunate, loro, hanno un compito di riguardo, non sono esposte ai miasmi delle vasche di lavaggio del tabacco, non stanno sempre con le mani nell’acqua, eppure a Franca brucia la gola, tossisce un po’ troppo.

L’Acquasanta era la cerniera che univa le altre due borgate (ndr, Arenella e Vergine Maria) a Palermo. Lì sorgevano i cantieri navali e la struttura della Manifattura, un edificio isolato che quasi due secoli prima aveva ospitato per mesi e mesi i malati di peste. Era destino che da quel posto uscissero male cose, peste, malattie e fumo

Fuori dalla Manifattura, sembra che il mondo, la città, la borgata, siano vissuti solo dai nobili, quegli stessi che o del tabacco erano proprietari o ne godevano.

I ricchi si arricchivano e ai poveri, meschini, la povertà camminava appresso. Pareva che Palermo fosse divisa in due mondi che non si potevano incontrare mai.

E invece si incontreranno, eccome: la povertà e la disperazione portano a gesti estremi, la fame e la miseria trovano nei ricchi la loro soluzione, anche se per questo si è costretti a rinunciare alla propria dignità e alla vita stessa.
Fuori dalla Manifattura, i ricchi possono comprare tutto ciò che vogliono, possono infierire e ferire pur di conquistare per sé e per i propri amati serenità, dignità e vite umane.

Dentro alla manifattura, le tabacchine, con le loro cuffie bianche e chine sui loro banchi o sulle vasche di bagno del tabacco, con le mani macchiate di quel marrone che non andrà mai via, sono amiche, sono solidali, si aiutano, si coprono a vicenda, si spalleggiano. Ma come in ogni cesto di buoni frutti ce n’è sempre uno marcio, anche all’Acquasanta c’è chi ha nel nome inciso il suo essere: Bastiana, la spiona, colei che con la sua lingua e il suo atteggiamento diventa bastone non di supporto ma di intimidazione; Bastiana la krumira, diremmo in tempi più moderni. Ma ciò che le rende in fin dei conti uguali è che sono donne in un ingranaggio maschile che, per un verso o per un altro, le stritola, le osserva, le desidera, le usa, le tiene in pugno.
Che siano mariti, padroni, capireparto.

Non per tutte le tabacchine la giornata finiva fuori dal cancello di ferro della Manifattura: per alcune si aprivano altre gabbie che tutti conoscevano, ma di cui nessuno parlava.

E i problemi iniziano quando uno dei caporeparto, Ninni, si incapriccia di Franca, la più ribelle delle donne della Manifattura, e forse è proprio questo che la attira; per lui, abituato a prendersi ciò che vuole e come lo vuole, che come tutti – o quasi – gli uomini del ceto alto dell’epoca ha la doppia vita, rispettabile una e godereccia e di bassi istinti l’altra, Franca rappresenta la sfida: lei che non sottosta a nessuno, lei che il mondo maschile lo vuole sovvertire, lei che Ninni non può avere lasciandole 1 soldo sul comodino dopo averla avuta, lei diventa la sua ossessione.

Franca ha altro per la testa: le condizioni lavorative delle sigaraie all’Acquasanta, la cui paga, seppur buona, è sempre bassa commisurata ai soprusi che devono subire. Ma i picciuli a quelle donne servono e per essi sono disposte pure a lasciare i bambini, o a portarseli all’Acquasanta, ambiente di sicuro non sano per i neonati, rischiando così che loro si ammalino e che per questo non prendano più soldi.
Franca ha la soluzione: far mettere nella fabbrica un baliatico, un asilo dove i bambini possano stare protetti e accuditi e dove le madri possano raggiungerli per allattarli.
Niente di tutto ciò esiste nel Regno, un progetto utopico e per il quale, manco a dirlo, ha bisogno di un uomo, un sindacalista che già aveva aiutato i lavoratori di Florio – quel Florio balzato alla conoscenza dei lettori grazie ad altri romanzi di nota fama e gradimento – a ottenere condizioni più umane e paghe più adeguate.

Ogni lotta, però, ha le sue conseguenze, ogni battaglia lascia sul campo vinti e vincitori, e feriti. E Franca sarà quella che porterà su di sé le ferite più profonde di questa battaglia, le conseguenze più dure che le costeranno caro, soprattutto sul piano personale. Perché in ogni grande vittoria c’è sempre una parte di sconfitta.

Le donne dell’Acquasanta è il romanzo dell’amicizia, dell’altruismo, della dignità, della lotta per i diritti altrui prima che propri.  È il romanzo della rabbia, della vergogna che mette radici in chi non ha colpe né motivi per provarne mentre non attecchisce in chi ne avrebbe fertilizzante perché prosperasse. È una storia di riscatto, di buoni sentimenti, di forza delle donne, ma non solo. È un buon romanzo e un romanzo buono, (ma non buonista) in cui i buoni esistono, anche laddove non ci si aspetterebbe. È un romanzo di personaggi secondari che secondari non sono; è un romanzo di Storia a ogni pagina.

Il finale del libro fa pensare che forse possa esserci un seguito? I presupposti ci sarebbero, quasi come se l’autrice abbia voluto lasciarsi una porta socchiusa a continuare una storia che, al contrario di un sigaro, non finisce in fumo nel tempo di una boccata. E se, invece, un seguito non dovesse esserci, allora di questo libro, proprio come di un buon sigaro, si sarà assaporato l’aroma, lo si sarà gustato in un momento del quale trattenere per un po’ il gusto.

La storia dell’amicizia tra Franca e Rosa, la lotta di Franca per far innestare il baliatico alla Manifattura, potrebbero ricordare altri due personaggi letterari molto noti: Lenù e Lila dell’Amica geniale di Elena Ferrante, in particolare il terzo volume della serie. Le somiglianze, tuttavia, finiscono qui, o forse no, perché le storie delle donne che si ribellano allo strapotere maschile potrebbero essere tutte uguali perché la Storia alla fine, si ripete, è ciclica, l’uomo dimentica in fretta e torna a fare gli stessi errori per i quali ci vogliono le stesse soluzioni.

Di sicuro c’è che la storia de “Le donne dell’Acquasanta” non si dimentica e le storie di chi, uomini o donne che siano, lottano per condizioni lavorative e umane migliori, sono sempre da portare alla ribalta.

Pro: la narrazione, ben ritmata; i personaggi, ben resi; l’invenzione ben bilanciata con la parte storica; la Palermo con i suoi usi e tradizioni, quasi fisicamente presente; i sensi, allertati da uno stile fluido ma incisivo.

Contro: un uso del dialetto assai diffuso e a tratti molto stretto, poco comprensibile per un non siciliano, che non sempre piace a un lettore; un uso di termini tecnici del processo di lavorazione del tabacco e confezionamento dei sigari non molto ben esplicitato (che induce il lettore dinamico a cercare nel dizionario i vari lemmi, ma costringe il lettore pigro a stare alla finestra).

Un libro da rileggere? Forse

Editore: Rizzoli (7 giugno 2022)
Copertina flessibile: 320 pagine
ISBN-10: 8817163309
ISBN-13: 978-8817163309
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Trama
Palermo, 1897. Lavorano in coppia, in sincrono perfetto, Franca e Rosa: le dita sottili ed esperte arrotolano foglie di tabacco da mattina a sera. Amiche da sempre, le due ragazze sono cresciute insieme in un borgo di pescatori spalmato ai lembi della città, accanto alla Manifattura Tabacchi dell’Acquasanta. Diverse come il sole e la luna, impetuosa Franca e timida Rosa, respirano tutto il giorno l’aria greve della fabbrica, sotto lo sguardo predatorio dei padroni. Anche fuori da lì, il mondo delle sigaraie è governato dagli uomini – mariti, padri, fratelli: il lusso delle ville del centro lo possono solo sognare, e se lo conoscono, è perché si sono vendute ai signori che le abitano per arrotondare la misera paga da tabacchine. Perderla è impensabile, e per questo le madri sono costrette a tenersi i figli neonati legati dietro la schiena, mentre faticano chine sui sigari. Ma all’ennesimo sopruso, Franca decide che è ora di alzare la testa e lottare per un diritto che alle femmine sembra negato: la dignità. Così, insieme a Rosa e Salvo, un sindacalista che ha il suo stesso spirito indomito e appassionato, combatterà per aprire un baliatico all’interno della Manifattura, uno dei primi asili per i figli delle lavoranti in una fabbrica nel Regno. E scoprirà il prezzo da pagare per difendere le proprie idee e il proprio amore. Una storia vera, di riscatto e amicizia, che illumina una battaglia pionieristica e ancora sconosciuta, sullo sfondo di una Palermo che non finisce mai di incantarci.

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