Narrativa recensioni

Teodora. I demoni del potere – Mariangela Galatea Vaglio

Recensione a cura di Claudio Musso

L’epoca protobizantina ci apre le sue quinte su due città, su due mondi e, al contempo, su due modi di stare al mondo, che si scrutano a distanza con fastidio, come le figlie di Re Lear. Ora, benché orfane di quell’Impero Romano unito nel nome di Costantino, sentono il peso di un’eredità da portare avanti. Ad Occidente c’è Ravenna, la capitale del regno romano-ostrogoto, immersa nel lattiginoso biancore della nebbia, costruita nel bel mezzo di una palude e punteggiata da palazzi lussuosi, in un aspro contrasto che rispecchia la personalità dei fondatori. Vive in un perenne stato di attesa questa enclave ariana, fredda e controllata che subisce il mare. Ad Oriente c’è Costantinopoli, cristiana, sfacciata e opulenta, reverente e sarcastica, che invece il mare lo abbraccia e lo fa suo. Da lei ci si può aspettare di tutto, come vedere salire al trono una sua concittadina, cresciuta fra le gabbie del circo e le assi sconnesse dei teatri di periferia. Nel frattempo le due metà dell’impero si sorvegliano, a volte si cercano come nel mito raccontato nel Simposio di Platone, ma prevalgono sempre le ragioni del Potere: Costantinopoli si considera La capitale che può e deve intervenire sulla ‘maglia rotta della rete’, per dirla alla Montale, e ricucirla, se riottosa, all’interno della sua autorità.

Theodora (basilica San Vitale, Ravenna)

Il secondo libro che Galatea Vaglio dedica a Teodora edito da Piemme si nutre delle microstorie che prendono vita da entrambe le sponde del mondo romano e della passione della storica che divulga e si diverte nel farlo, con un andirivieni continuo tra i vari capitoli. Elementi che lo rendono un romanzo corale capace di restituire, con prosa compiaciuta e intensa, numerose voci (non solo quelle soliste) croniste di un’epoca che siamo purtroppo abituati ad ascoltare con orecchie moderne perdendone il timbro autentico.

Il profilo di Teodora prorompe nelle pagine e risulta molto più sfaccettato, ricco di anse e di ansie tutte da scoprire, rispetto al malevolo Procopio o alla ieraticità del mosaico di San Vitale. Il testo è continuamente pervaso dalla domanda su cui ancora molti oggi si interrogano: chi fu realmente questa donna singolare e anomala che sembra uscita dal mondo delle fiabe? Tuttavia accanto a lei o, in molti casi, contro di lei, si muovono altre figure che vogliono lasciare il proprio segno sulla strada della grande Storia. La sensazione del lettore è quella dell’ebbrezza e della curiosità dei primi esploratori che approdano in nuove terre i cui abitanti hanno molto da raccontare. E tra i primi che incontriamo c’è naturalmente Teodora, ora una patrizia, mentre osserva la nuova sé stessa e il proprio ieri. Con quell’ippodromo, luogo di infanzia, di acclamazione e di res nova moliri:

In lontananza indovina la massa scura dell’ippodromo, che pare un grosso gigante assopito. Anche al buio riconosce ogni anfratto dell’edificio, ogni ombra. È cresciuta giocando fra quelle arcate, nascondendosi nei corridoi, spiando di nascosto le corse dei carri, le lotte tra gli animali e le competizioni degli aurighi. Lì, bambina, ha incontrato per la prima volta Giustiniano, allora giovane scapricciato amico invitato alle corse da uno dei nipoti dell’allora imperatore. Nessuno, nemmeno lei, avrebbe mai pensato che un giorno avrebbe osservato l’ippodromo in lontananza, dal giardino di una villa patrizia, come compagna di quel giovane, divenuto l’uomo più potente dell’impero. Non è una presenza minacciosa, il circo, ma un baluardo, una certezza cui appoggiarsi. La calma, come se lui e tutta la città le infondessero la loro forza.

Amalasunta – Artenova per progetto di Street Art a Marta e Valentano 

Il romanzo presta particolare attenzione anche al passaggio generazionale. C’è infatti la ‘vecchia guardia’, Teodorico e Giustino, due soldati fieri del proprio vissuto, oramai al crepuscolo, uno corroso dall’artrite, l’altro da una vischiosa oscurità, e i loro eredi, altrettanto fieri ma portatori del nuovo, la figlia Amalasunta e il nipote Giustiniano.

Tuttavia per potere arredare il futuro alla prima manca l’appoggio interno perché accerchiata da un potente partito filogotico che vorrebbe correre da solo e non per conto di Costantinopoli, sfiorando il sogno dell’indipendentismo, al secondo l’appoggio esterno, la sintonia con il popolo perché non lo conosce e ne prova addirittura timore. Mentre Teodora, che di Giustiniano è stata la concubina, prima di diventare imperatrice consorte, deve affrontare un anello che lega il suo uomo ad Amalasunta.

Ma ora vedere lì quell’anello mina ogni sua certezza in merito. Le sembra quasi di avvertire la presenza fisica nella stanza di colei a cui Giustiniano lo ha donato, quella principessa gota, Amalasunta, che pare avere avuto accesso a parti dell’animo di Giustiniano da cui lei è sempre stata tenuta fuori. Teodora allunga la mano, tocca l’anello, ne percorre con il dito il contorno, guarda il sigillo incastonato che riporta incise all’interno le lettere IUS. Come tutti i sigilli ha il valore di una firma, la firma dell’uomo più potente dell’impero.

Figlia della povertà di Costantinopoli, costretta sin da giovane a ballare nuda su un palco o a vendere il proprio corpo per sopravvivere, questa donna è sempre stata artefice del proprio destino e non sente l’obbligo di giustificare la sua scalata, anzi: ne va fiera. E se può tirare fuori la parte migliore negli altri, quella fattiva, o giocare sporco non si tira indietro. Per lei Giustiniano non è solo una sua conquista ma una sua creatura e non c’è anello che tenga.

A lui ha mostrato la vita vera, ad essere meno intellettuale da salotto e ad abbeverare la sete della sua anima perché è l’unica ad averlo letto profondamente. Ha insegnato infatti al demone instancabile che lavora giorno e notte nella cancelleria imperiale, indispensabile per governare un impero, ad entrare in sintonia con il popolo, a parlargli, anche per interposta persona, con autorevolezza e non con sofismi. In altre parole: ad affrontarlo. Di conseguenza il ruolo di Teodora, che di Costantinopoli è la figlia prediletta, è decisivo perché fiuta i cambiamenti di umore della folla da cui proviene, li sa interpretare, anticipare, assecondare e, come tutte le persone che arrivano dal nulla sa riconoscere quelli che non hanno nulla da perdere. Come sa suggerire a chi comanda interi eserciti che il mondo non va sempre preso di petto.

Mentre Teodora è riuscita a crearsi una sua corte di fedelissimi dentro quella ufficiale, come sono gli umori nell’altra metà del cielo di Roma? Amalasunta è una regnante profondamente sola. Sembra quasi una Maria Stuarda che abbandona la corona di diamanti per quella di spine. Come figlia ed erede di Teodorico, ha lo stesso carattere fiero e determinato cui aggiunge una prudenza circospetta squisitamente femminile perché in fondo ha nemici ovunque.

Se è vero che Teodorico l’ha messa al mondo, è stato Severino Boezio a spiegarglielo in latino. E se il padre si immedesima in Bellerofonte che vince la chimera e salva il mondo, ora è il suo Occidente ad essere il mostro da abbattere. Ma è da Ravenna che ci arriva un messaggio prezioso composto da parole che Vaglio ha scritto due anni fa e che oggi suonano nella loro urgenza:

Se solo per una volta si riuscissero a superare tutti i malintesi, gli equivoci, le ambiguità e le mille pastoie che le piccole e grandi ambizioni personali frappongono, quel sostrato comune riemergerebbe, e forse davvero si potrebbe ricostruire un impero unito e coeso, senza ricorrere alla violenza, all’imposizione di leggi assurde, persino a furbi matrimoni dinastici come quello proposto da Amalasunta, come ambiguo collante. Se si tornasse ad avere fiducia, gli uni negli altri, senza prevenzioni, senza sospetti, accettando senza pregiudizi anche le differenze fra loro, di origine, di mentalità, persino di credo. Che cos’è la vita se non questo accettarsi l’un l’altro?

Ironia della sorte, l’accettazione ravennate della diversità come valore trova nella corte di Costantinopoli un suo esito felice: perché i due sovrani non potrebbero essere più diversi, hanno imparato l’uno dall’altro e la loro sintonia è talmente forte da spezzare qualsiasi avversità. Teodora sa che Giustiniano non ammette debolezze negli altri perché non ne concede a sé stesso.

 XXXII Ravenna Festival – ‘Teodora. Scalata al cielo in cinque movimenti’, opera da camera di Opera di Mauro Montalbetti © Foto di scena Marco Borrelli. 

È nella natura del politico. Ma quel difficile equilibrio sulla corda tesa le dà il brivido che la sua natura reclama, che la porta a salire sul palco di chi comanda non per pura ambizione ma per dare un suo contributo per le fortune e il futuro della corte. Con questi pensieri la Serenissima Augusta scrive la sua storia e si avvia all’incoronazione mentre:

Deve sforzarsi, e sforzarsi davvero, per trattenere il sorriso sarcastico che le sale alle labbra, il sorriso di sfida e di vittoria che si meriterebbero quegli ipocriti, quei sepolcri imbiancati. Fin dall’infanzia le hanno ripetuto che lei era feccia, e che il suo destino era quello di servire e ingoiare le umiliazioni e le offese che loro le facevano, perché il suo posto nel mondo era il fango e il loro il palazzo reale. E invece ora lei è fra di loro, anzi, destinata a essere sopra di loro, a innalzarsi sulle loro miserie, ad annichilire la loro boria e la loro alterigia. Se i generali possono celebrare i trionfi dopo le campagne militari sui nemici, lei, adesso incedendo lungo la navata, sta celebrando il suo. Perché ora loro sono quelli che erano destinati a essere fin dall’inizio del mondo, e cioè nulla, e lei ciò che ha meritato: l’imperatrice.

Editore‏: ‎Piemme (15 febbraio 2022)
Copertina rigida: 375pagine
ISBN-10‏: ‎8856680025
ISBN-13: ‎978-8856680027
Link di acquisto cartaceo: TEODORA. I demoni del potere
Link d’acquisto e-book: TEODORA. I demoni del potere

Trama

«Non credo esista un uomo in grado di compiere un simile miracolo». Uno scintillio di ironia si accende negli occhi della principessa: «Un uomo no, hai ragione. Ci sono miracoli, amico mio, che possono riuscire solo a una donna». Costantinopoli, 524 d.C. È stata la spogliarellista più famosa di Costantinopoli, ora vuole il trono. Teodora ha sempre saputo di essere destinata a grandi cose. Ex attrice di infimo rango, cresciuta al circo e adorata dal pubblico per i suoi spettacoli senza veli, è riuscita a farsi nominare patrizia e ora è la concubina di Giustiniano, il nipote dell’imperatore Giustino e il ministro più potente dell’impero romano d’Oriente. Ma la corte le è contro: tutti sognano per Giustiniano una moglie davvero nobile e dal passato meno imbarazzante. E anche lo scenario internazionale non le è favorevole: la crisi del regno di Teodorico in Italia sconvolge l’intero Mediterraneo e scatena in Giustiniano la voglia di riportare sotto il controllo di Costantinopoli l’Occidente, anche attraverso un matrimonio di convenienza con una principessa gota. Ma Teodora non è nata per rinunciare: è indomita e scaltra, e non permetterà a nessuno di portarle via l’uomo che ama e lo status sociale che ha raggiunto. Quindi a testa alta, al fianco di Giustiniano, dimostrando il carattere di una vera imperatrice, attraversa sommosse popolari, crisi diplomatiche e intrighi di corte: sa quando tacere, quando parlare, e quando imbracciare le armi. Il suo sodalizio con Giustiniano diviene indissolubile e consentirà a entrambi di esercitare il potere assoluto sul mondo. Uniti, a dispetto di tutto e di tutti. Mariangela Galatea Vaglio ci regala il ritratto di una donna unica, dalla vita straordinaria, trasmettendoci la sua grandezza.

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