Eresie ed inquisizione Il Medioevo Senza categoria Viaggio nella storia

Verso “Il nome della rosa” – la serie #4 – L’eresia

Questa sera, 11 marzo, seguiremo sul nostro divano la seconda puntata della serie “Il nome della rosa” su Rai 1! A lungo si è dibattuto sul contenuto storico in cui si cala il capolavoro di Umberto Eco. E prima di vederlo rappresentato in televisione, leggiamo come ce lo racconta ancora Fabio Cosio in questo suo articolo dedicato all’eresia!Se avete iniziato a seguirci solo ora, di seguito trovate i link agli altri articoli Eresia deriva dal latino haerĕsis e significa “scelta”, ma il senso che assume per la Chiesa è quello di “opposto alla verità della Chiesa”. Fondamentalmente si tratta della completa assenza della libertà di pensiero e di opinione, alla necessità di imporre un pensiero unico e universale, indiscutibile. Se per l’uomo moderno si tratta di un pensiero inaccettabile (di fatto una nuova eresia), per l’uomo medievale si tratta di un attacco all’ordine costituito direttamente da Dio e un rischio per la società stessa. La società medievale si riconosceva pienamente in quello che era il disegno divino, sostenuto fortemente dalla Chiesa partendo dalla Bibbia e dalle parole dei padri. Ogni situazione sociale era giustificata da qualche specifico passo delle sacre scritture. Come per tutto, entrare nei dettagli significa mettere sul piatto della bilancia centinaia se non migliaia di motivazioni diverse: c’erano i veri fedeli, sicuri che la verità divina dovesse guidare il mondo, c’era chi interpretava a suo favore un determinato passaggio per tornaconto personale. Ma come abbiamo visto le idee, la cultura, evolvono. La circolazione delle persone porta nuove teorie che si mescolano a quelle esistenti trasformandosi in qualcosa di diverso, destinato a mutare ancora nel tempo con l’aggiunta di nuovi contributi. Difficile da accettare per una società che, ormai da secoli, attendeva la “nuova venuta”. Una cultura religiosa che cercava di restare immutata così come l’aveva lasciata Gesù Cristo in attesa del suo ritorno. E dove c’è l’aspetto religioso c’è anche l’aspetto politico/economico. Le posizioni di potere all’interno della Chiesa erano appannaggio delle famiglie più ricche, che da esse ne ricavavano notevoli vantaggi economici, Re e nobili erano in quella posizione perché “voluti dal Signore”. Pipino per primo e Carlo Magno poi erano diventati imperatori grazie alla volontà del papa che li aveva unti con il Crisma, l’olio sacro. Mettere in dubbio la Chiesa e di conseguenza la volontà di Dio era un passo pericoloso verso la più assoluta anarchia. Ma per quanto ci si sforzi, le idee non si possono fermare. Vediamo con un esempio in che modo si sviluppano ed evolvono: la cristianità intorno all’anno mille è ampia. Va dall’area bizantina con capitale Costantinopoli, che da secoli conserva la cultura cristiana originaria, a tutta l’Europa conquistata e cristianizzata da Carlo Magno. Ma esistono le zone di confine. È così che nell’est le idee delle religioni orientali “inquinano” il pensiero cristiano. È il secolo VII quando un gruppo di asceti armeni si fa influenzare dalle teorie dualiste del bene e del male dei loro vicini asiatici. Verranno chiamati Pauliciani. Perseguitati e sconfitti dall’impero bizantino, vengono infine catturati e deportati in massa per essere utilizzati come “carne da macello” nell’esercito di Costantinopoli impegnato a contrastare le invasioni bulgare. Ma qualcuno sopravvive e diventa stanziale. Così, alcuni anni dopo, proprio nei paesi dell’est Europa, Bulgaria, Romania, Serbia, i pauliciani armeni si evolvono e diventano i Bogomili. Rifiutano quasi completamente l’antico testamento; considerano mistificatori i padri della chiesa che hanno scelto solo quattro vangeli e considerano validi anche quelli apocrifi. Rifiutano la carne e tutti i derivati. Anche la procreazione è da evitare: serve solo a creare un’altra “prigione per lo spirito”. Dopo l’anno mille il commercio prospera, la gente viaggia e insieme a loro le informazioni. È così che ritroviamo i Bogomili in Francia, dove un “vescovo” bogomilo partecipa al primo concilio cataro nel 1167, come a dimostrare il supporto alla loro espansione. I catari, come abbiamo visto, sono oggetto della prima crociata di cristiani contro altri cristiani, iniziata nel 1209. Ma i catari non sono solo in Francia, si estendono anche nel nord Italia, ci sono tracce a Firenze. A seconda di piccole variazioni geografiche o teologiche possono assumere nomi diversi. Per convenzione, la fine dell’eresia catara in Italia si pone nel 1279 quando l’intera comunità lombarda sopravvissuta all’assedio di Sirmione, venne condannata ad un rogo collettivo all’interno dell’arena di Verona. Per restare nel clima de Il nome della rosa, possiamo classificare i catari e tutte le varie branchie dualistiche come fa Bernardo Gui nel suo Practica Officii Inquisitionis Hereticae Pravitatis: sono i Manichei. Negli stessi anni, intorno al 1170, Pietro Valdo, un ricco uomo di Lione, decide di abbandonare tutti suoi averi e di dedicarsi alla vita pura e santa come fu quella degli apostoli. Di cultura non troppo elevata, commissionò la traduzione dei vangeli in lingua volgare trovando subito molti adepti. A partire dal nome del loro fondatore presero il nome di valdesi, ma anche “poveri di Lione”. I valdesi non esitavano a criticare la Chiesa e i suoi prelati, accusati di accumular ricchezze ignorando le anime del popolo. Vietavano ogni tipo di giuramento, ma era concesso testimoniare il falso se la propria parola poteva mettere in pericolo altri fratelli. Consideravano qualsiasi giudizio una prerogativa del solo Dio, pertanto non riconoscono alcun giudice o sentenza. Difendono la tesi secondo cui ogni uomo o donna, purché giusti, possono esercitare il sacerdozio. I valdesi, perseguitati dall’inquisizione come ogni altro movimento ereticale, riusciranno a sopravvivere nei secoli, unendosi poi alla riforma protestante nel 1523. Ghettizzati per tre secoli nelle valli del pinerolese (in provincia di Torino), otterranno i pieni diritti nel 1848. Ad oggi in Italia ci sono circa 24000 fedeli della chiesa valdese. Numerosa anche la presenza in America Latina a seguito delle migrazioni italiane degli ultimi secoli. I Valdesi nel medioevo facevano parte dei movimenti pauperistici (così vengono chiamate tutte le congregazioni che si ispirano alla povertà degli evangelisti), che erano molti. Alcuni sono scomparsi nelle pieghe della storia, altri sono confluiti uno nell’altro, altri hanno avuto un basso numero di adepti, altri moltitudini. Uno dei casi più di successo è quello che Bernardo Gui definisce degli “pseudo apostoli”, passati alla storia come apostolici e, in seguito, dolciniani. Essi in realtà non usarono mai simili nomi: si facevano chiamare “i poveri di Cristo” o “Minimi”, per distinguersi dai francescani, conosciuti come Minori. Il movimento degli apostolici nasce a Parma nel 1260 da Gherardino Segarelli. Ma lasciamo narrare come inizia la storia nelle parole di un uomo dell’epoca, gran detrattore degli apostolici ma anche loro principale testimone: Salimbene da Adam, che così esordisce nella sua Chronica: “Durante il mio soggiorno nel convento dei frati Minori di Parma, quando già ero sacerdote e predicatore, si presentò un giovane del luogo, di famiglia di basso rango, illetterato e laico, idiota e stolto, di nome Ghirardino Segalello e chiese di essere ammesso nell’ordine. Costui, non essendo stato esaudito, se ne stava tutto il giorno, quando gli era possibile, nella chiesa dei frati a meditare ciò che poi, nella sua stupidità, mise in atto. Tutt’intorno al lampadario della fraterna comunità del beato Francesco c’erano dipinti gli apostoli con i sandali ai piedi ed i mantelli tirati indietro sulle spalle […] Se ne stava lì in contemplazione quando, finalmente decisosi, lasciatosi crescere barba e capelli, si rivestì dei sandali e della corda dei frati Minori, perché chiunque voglia fondare una nuova congregazione prende sempre qualcosa dal beato Francesco. Si fece un vestito di bigello e un mantello bianco di stamigna robusta […]. Venduta una piccola casa e intascatone il ricavato, si mise sopra la pietra da cui un tempo i podestà di Parma solevano arringare il popolo. Il sacchetto di denari che possedeva non lo distribuì ai poveri […] ma chiamati a sé dei poco di buono che se ne stavano a giocare sulla piazza, gettò loro il denaro dicendo: “chi lo vuole se lo prenda e se lo tenga”. Così inizia la storia degli apostolici, i futuri dolciniani.
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