Narrativa recensioni

Lo scudo e il giglio -Alessandro Spalletta

Recensione a cura di Anna Cancellieri

Montaperti: un nome che evoca una delle più famose e cruente battaglie fra guelfi e ghibellini. In questo romanzo la viviamo attraverso gli occhi di due personaggi molto diversi fra loro, sia per appartenenza politica che per carattere. La cosa interessante è che, pur essendo realmente esistiti, sono personaggi storici minori dei quali si sa così poco che l’autore ha avuto mano libera nel definirne con efficacia i moti dell’animo e l’evoluzione. Fra i due, a completare il quadro, non può mancare una presenza femminile piuttosto fuori dagli schemi.

Attorno a loro si muovono personaggi di ben altro peso e di dantesca memoria, fra cui Farinata degli Uberti, Umberto Aldobrandini, Bocca degli Abati.

In realtà la battaglia occupa solo l’ultima parte del romanzo, preceduta dall’ineluttabile sequenza di eventi sui quali l’autore ha costruito con sapienza un verosimile intreccio.

Di parte guelfa è Abate degli Abati di Malia, giovane visconte di un piccolo feudo in provincia di Grosseto. Lo vediamo dapprima codardo, alle prese con un’istintiva ripugnanza per le insensate atrocità della guerra.

Sarebbe rimasto volentieri a casa sua, in pace, a vivere una quieta vita sulle verdi colline che si affacciavano sulla Maremma. Desiderava trovare una buona donna da amare, una moglie capace di dargli dei bei figli.
Al massimo se ne sarebbe andato a caccia. Nulla più.
Il cielo però se ne infischiava dei suoi desideri.

Ma la volontà di mostrarsi all’altezza delle aspettative del suo signore, a cui è legato da un debito di gratitudine, gli fa vincere le sue paure e conquistare una sempre maggiore fiducia in se stesso. Combatte per necessità e con onore, senza rinnegare mai la sua indole pacifica.

Tutto bruciava, finché non rimaneva altro che ceneri fumanti. E uomini morti.
«È davvero necessario tutto questo?», domandò Abate, a disagio.
«È la guerra, Abate», ribatté il Rosso, laconico.
«Noi non abbiamo rubato né ucciso, né tantomeno dato alle fiamme villaggi e poderi.»

Di tutt’altra pasta è il suo antagonista, il cavaliere tedesco Gualtieri di Astimberg. Alto, prestante, con occhi azzurri e lunghi capelli biondi, è la vera incarnazione del cavaliere da favola. Non è difficile capire che un simile personaggio possa colpire la fantasia di una fanciulla avvezza a nutrirsi di poemi epici, ma cosa c’è realmente dietro una così dorata apparenza? Gualtieri è un guerriero imbattibile, con una micidiale abilità nell’usare qualsiasi arma, ma non ha coltivato l’amore per le lettere, né per le arti, e sa a malapena leggere. Ha un legame quasi simbiotico con il suo possente destriero, ma non capisce niente di donne e prova un qualche interesse solo per quelle dei bordelli, sulle quali può sfogare la sua prorompente vitalità. Una vera macchina da guerra, dunque, che sa e vuole fare una cosa sola: combattere.

“Benedictus Dominus, adiutor meus, qui docet manus meas ad proelium et digitos meos ad bellum.”
Ogni uomo che avesse mai avuto a che fare con il mestiere delle armi conosceva il significato di quella salmodia.
“Benedetto sia il Signore, mia roccia, che addestra le mie mani alla guerra, le mie dita alla battaglia.”
Aveva addestrato le sue mani alla guerra, le sue dita alla battaglia. Nient’altro sapeva fare. Nient’altro gli riusciva.

Viene spontaneo chiedersi: se al cavaliere manca la guerra, cosa gli rimane? È proprio la condizione di cui si duole Gualtieri, da anni al servizio di re Manfredi di Svevia senza mai avere avuto modo di mostrare il suo valore. Anni di noia mortale, in cui l’unico passatempo eccitante è il gioco dei dadi, che fin troppo spesso gli costa il suo già magro soldo. I cavalieri, è noto, si arricchiscono solo in guerra, grazie al bottino razziato e al riscatto dei prigionieri.

Ed ecco che viene inviato da Manfredi a difendere la ghibellina Siena, insieme ad altre centinaia di cavalieri suoi pari. È l’occasione della sua vita, il momento supremo in cui potrà coprirsi di gloria. Una gloria che, come vedremo, ha molto più a che fare con una pura e semplice operazione di macelleria ripetuta all’infinito…

Infine non può mancare il punto di vista della ragazza, intraprendente erede di una ricca famiglia di mercanti. Che altro se non limpido buon senso femminile?

Beatrice si sentiva impotente. Perché diamine gli uomini si ritrovano sempre a voler combattere? Per l’oro o per la ricchezza, forse; ma ce ne sarebbe stata in abbondanza per tutti, senza l’avidità di pochi. Lei stessa avrebbe volentieri dato tutto ciò che aveva pur di risparmiare alle persone che amava e a sé stessa il massacro che stava per andare in scena… Che senso aveva tutto questo? Che cosa avrebbe potuto fare lei di fronte a una tale, immensa follia?

Anche se sappiamo tutti come andò a finire, l’abilità dell’autore riesce a tenerci con il fiato sospeso attraverso lo snodarsi dei concitati capitoli dedicati allo scontro finale. Dal terrore dei senesi alla vista dello sterminato esercito fiorentino, si passa alle ore notturne funestate da scaramucce e prodigi, e poi al terrificante impatto dei cavalieri contro lo schieramento serrato dei fanti, per finire con il tradimento e l’orribile massacro

“che fece l’Arbia colorata in rosso” (Dante, Inferno, Canto X, 85)

Trama
Un uomo è costretto ad assistere impotente alla rovina della sua casa. Il sangue dei suoi cari viene versato, le sue ragioni di vita rinnegate. Sotto le ceneri di questa tragedia, avidità, interessi, ideali e vendetta covano come brace ardente. Uno scontro secolare è pronto ad accendersi di nuovo.
La guerra incombe. L’Italia intera è pronta a bruciare.
Il giovane Abate degli Abati del Malia si ritrova a vivere il suo peggiore incubo. È un uomo pacifico, ma non c’è spazio per la pace nella Toscana del XIII secolo. Al fianco del suo intrepido signore, è costretto dall’onore a sfidare i demoni del passato e fare la sua parte.
Dopo aver varcato le Alpi, verso le terre di Manfredi di Svevia, Gualtieri di Astimberg è irrequieto e focoso come un cavallo selvaggio. Brama denaro e gloria e farà di tutto per ottenere entrambe. Riuscirà a incidere il suo nome nella Storia?
Beatrice Gambacorti è una giovane damigella che sogna ad occhi aperti, ma la vita è più vera delle pagine dei libri che legge. Niente è come sembra. Partirà per un’avventura che la porterà indietro nel tempo, verso terre lontane mai dimenticate. Dovrà scoprire la sua forza per sopravvivere.
Tre strade che si incontrano.
I sentieri del destino si intrecciano.
Il crocevia si trova tra il bene e il male, ai piedi di un colle, poche miglia a est di Siena…

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