Narrativa recensioni

La lunga attesa dell’angelo – Melania Mazzucco

Recensione a cura di Valentina Ferrari

Non pretendo di essere capito, ognuno di noi è l’enigma di se stesso. Mi tengo il mistero delle mie azioni, dei miei vizi, delle mie doti. Non voglio giustificarmi e nemmeno essere assolto – né potrei, aver vissuto è già una colpa imperdonabile. Voglio solo ricordare – e ricordando vivere e far vivere ancora. Non ti tacerò niente – né lo tacerò a me stesso.

È con queste parole che Jacomo Robusti, detto il Tintoretto, apre un lungo monologo in cui, al termine della propria esistenza, si confessa a Dio. La rievocazione degli eventi della vita dell’artista, narrata da lui stesso in prima persona, è scandita dal trascorrere dei suoi ultimi quindici giorni, passati in preda alla febbre e nell’attesa che la figlia più amata, trasformatasi in un angelo, lo porti via con sé.

Numerosi sono gli eventi e gli affetti che il Tintoretto rievoca, a partire dall’incontro con Cornelia e dalla nascita della primogenita Marietta, cui, fin da piccola, era legatissimo; facciamo quindi la conoscenza della moglie Faustina, figlia di un amico e sua promessa sposa fin da bambina; a seguire il padre tintore e i primi passi come pittore, mossi nelle botteghe di diversi maestri.

Senza contratto, senza salario, senza nome. I maestri che avevano tanto lavoro e poca fama mi hanno accolto. Mi hanno insegnato tutto quello che sapevano.

Madonna dell’Orto (Venice) – Presentation at the temple of the Virgin (1552-1553) by Tintoretto

Ampio spazio ha la descrizione del rapporto, al limite dell’incestuoso, con la figlia primogenita Marietta, che l’autrice immagina omaggiata dal padre nella tela “Presentazione di Maria al Tempio”, conservata nella chiesa della Madonna dell’Orto, e la cui riproduzione, non a caso, è stata posta in copertina all’edizione Einaudi 2021.

Fin da bambina, Marietta affiancava il padre nella bottega vestendosi da maschietto e apprendendo l’arte della pittura, ma rimanendo sempre ai margini del ben più noto genitore, nonostante dimostrasse talento e i suoi ritratti, una volta divenuta la sua arte più matura, fossero richiesti da corti importanti come quella imperiale o quella spagnola. In questo senso, di grande forza e impatto è un’immagine che ci dice come Marietta si sia annullata nel padre, come donna e come pittrice, manifestandogli un amore totale e assoluto.

Una sera sorpresi Marietta inginocchiata sulla tela. (…) Soffiava delicatamente la polvera della matita sulle trafitture del foglio. Lo premeva con le palme delle mani perché aderisse perfettamente alla tela. (…) Sai una cosa? aggiunse senza guardarmi, se nascessi un’altra volta, non vorrei essere una regina né un principe, vorrei essere una tela. Per essere toccata così. (…) Se solo potessi accoglierti in questo modo, disse, e tu rimanessi impresso su di me.

Accanto a Marietta, troviamo altre due figlie, costrette giovanissime alla monacazione presso il Convento di Sant’Anna.

Le mie monache stavano in piedi dietro la grata (…). Due gocce d’inchiostro. Identiche. Invece sono così diverse – se solo avessi trovato il tempo di conoscerle.” 

Le mie figlie non usciranno più da Sant’Anna. Non vedranno mai più altro che la cella coi muri bianchi, il chiostro, il refettorio, il giardino, l’orto, le compagne, le stesse facce giorno dopo giorno finché la morte ne fa sparire una (…).”

Nel proprio monologo-confessione, Tintoretto rievoca anche i figli maschi: Zuane, o Giovan Battista, e la sua morte prematura; Marco, il più irresponsabile e privo di alcun talento pittorico, che lasciò la casa paterna per intraprendere la carriera di attore.

I ricordi del pittore sono pervasi dal rimpianto e dal senso di colpa legati soprattutto ai rapporti incrinati con i figli e alla loro assenza, o scelta consapevolmente dagli stessi, come nel caso di Marco, o voluta dal padre, come successe per le figlie monache, o ancora decretata inesorabilmente da Dio, come per Zuane prima e per Marietta poi.

Così alla fine li ho persi tutti, Signore. (…) Eravamo così numerosi, sono rimasto solo con mia moglie – e il mio buon Dominico. E non doveva essere questo. Come ho potuto lasciarli andare? Uno dopo l’altro … Leggeri come foglie. Indifesi come foglie. Le ragazze! Dove sono le ragazze?

A rimanergli accanto, rinunciando alla propria vocazione poetica pur di dipingere con il padre, è un unico figlio, Dominico, nel quale il pittore riponeva tutte le speranze di sopravvivenza del proprio lavoro.

Io ripongo nel mio buon Dominico tutte le mie speranze che il mio nome possa sopravvivermi – che possa toccare il nuovo secolo e, in esso, durare.

Oltre ai membri di una numerosa famiglia, il Tintoretto ricorda alcuni “maestri”, in particolare Tiziano, dando un certo spazio alla rievocazione della rivalità che li ha contrapposti e al momento della sua morte, attesa dal Tintoretto pazientemente.

Mi ha combattuto con un accanimento che lo disonora. Quando ero un ragazzino, rifiutandomi. Quando ero un oscuro mestierante, disprezzandomi. Quando cominciavo a emergere, alienandomi i miei protettori e costringendoli a rinnegarmi. (…) Non mi vergogno di affermare di aver atteso la sua morte con la pazienza che i mercanti dicono sia virtù dei cinesi (…). E Tiziano era morto. Dunque, aveva portato con sé la sua immotivata invidia, la sua ostilità implacabile, la sua meschina e superflua gelosia per me.

Di grande interesse storico sono le pagine dedicate al ricordo dell’epidemia di peste che colpì Venezia nel 1575, malattia di cui si ammalò la stessa Marietta, curata amorevolmente dal padre.

I morti sparivano – li portavano via col favore della notte. I parenti venivano messi in isolamento: sigillati nelle loro case se ricchi, condotti alla quarantena al lazzaretto se poveri o privi di conoscenze fra le autorità.

Dalle memorie del protagonista, emerge chiaramente come il morbo che serpeggiava in città incrinasse i rapporti tra le persone, contribuendo al formarsi di un clima di sospetto e di paura.

 Non parlavamo più con gli estranei. Sospettavamo dei nostri amici, dei nostri parenti. Ci incontravamo e tiravamo dritto, senza fermarci, ci rinnegavamo come traditori. Ognuno di noi poteva essere il sicario dell’altro.

Nel corso della narrazione, l’autrice, facendolo rievocare in prima persona dal suo protagonista, ci descrive il percorso artistico di un pittore estremamente prolifico: le opere dipinte per il Palazzo Ducale, i teleri della Chiesa della Madonna dell’Orto, le tele per la Scuola grande di San Rocco, i dipinti per chiese veneziane e privati cittadini, le opere realizzate alla corte dei Gonzaga… un lascito artistico rimasto, perlopiù, nella città in cui Tintoretto è nato, ha vissuto e lavorato, non essendo egli stato un pittore “da museo”.

A rendere peculiare e di pregio il lavoro di Melania Mazzucco è una notevole abilità narrativa, unita ad una capacità non indifferente di penetrazione psicologica e ad un lavoro importante di ricerca documentaria, condotta in città e negli archivi di Stato, delle parrocchie e del Patriarcato (decifrando carte arse dal fuoco o stinte dall’acqua della laguna), allo scopo di ricostruire la biografia di Jacomo, quella meno nota di Marietta e degli altri membri della famiglia Robusti, così da strapparli al silenzio che li aveva inghiottiti. Come ci racconta nella postfazione all’edizione 2021, l’autrice predilige “l’eccentrico, il rimosso dalla cultura ufficiale o dominante, (…) le figure dimenticate, che però ai loro tempi avevano goduto di qualche fama.”

Non stupisce quindi che, accanto a “La lunga attesa dell’angelo”, trovino spazio la sua ultima fatica letteraria, “L’architettrice” (2019), di cui potete leggere i commenti dei nostri lettori qui, biografia storica di Plautilla Bricci, prima architetto donna della storia ma purtroppo “naufragata e dispersa”, e, tornando indietro di qualche anno, “Lei, così amata” (2000), opera dedicata ad Annemarie Schwarzenbach, scrittrice, fotografa e viaggiatrice svizzera, protagonista della storia culturale europea degli anni Trenta, eclissata dalla memoria e riscoperta solo di recente.

Trama

Uomo ribelle e ambizioso, pittore inquieto e geniale, Jacomo Robusti detto il Tintoretto ha vissuto solo per dipingere e per la sua arte ha sacrificato tutto (reputazione, guadagni, piaceri), allontanando uno a uno – con la sola eccezione del remissivo Dominico – tutti i figli: le femmine in monastero, via da casa i maschi insofferenti alla sua tirannia. Finendo per perdere anche la prediletta figlia naturale, Marietta, educata contro le convenzioni della società per fare di lei la sua creazione piú riuscita: una musicista, una pittrice, una donna libera. Trascinandoci nella Venezia di fine Cinquecento, fastosa e cosmopolita, minacciata dai turchi e devastata dalla peste, Melania G. Mazzucco ci restituisce il quadro di un mondo al culmine del suo splendore eppure presago del declino, e regala ai lettori l’appassionante racconto di un amore totale, assoluto.

Editore: ‎ Einaudi; New edizione (16 marzo 2021)
Copertina flessibile: ‎ 480 pagine
ISBN-10: ‎ 8806249142
ISBN-13: ‎ 978-8806249144
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