Viaggio nella storia

Leonardo da Vinci e il giallo della Tavola Doria

Articolo a cura di Raffaelina Di Palma

Scomparsa ormai da decenni e data per dispersa, la Tavola Daria – il dipinto raffigurante una scena della battaglia di Anghiari e da alcuni attribuito a Leonardo da Vinci, da altri a un pittore toscano del Cinquecento – è stata ritrovata in una stanza blindata di Ginevra nel maggio 2012, al termine di una lunga e complessa ricerca. Al di là dell’inestimabile valore artistico dell’opera, il suo rientro in Italia è prezioso perché consentirà di approfondire lo studio di una delle pagine più controverse della storia dell’arte del Cinquecento, quella relativa alla commessa che Pier Soderini, gonfaloniere della Repubblica fiorentina, fece a Leonardo da Vinci nel 1503. La Signoria di Firenze, infatti, aveva deciso di affidare a lui e a Michelangelo il compito di illustrare due degli episodi più gloriosi della sua storia: le vittorie conseguite sulle truppe di Filippo Maria Visconti guidate dal condottiero Niccolò Piccinino ad Anghiari il 29 giugno 1440 e sui pisani a Cascina il 28 luglio 1364. Louis Godart avanza l’ipotesi, suffragata da una minuziosa analisi iconografica, che la Tavola Daria sia l’episodio centrale del cartone preparatorio, di cui parlano le fonti cinquecentesche, eseguito da Leonardo e da alcuni collaboratori nella Sala del Papa di Santa Maria Novella, prima di trasferirsi nel Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio per realizzare l’affresco.

Louis Godart, professore di civiltà egee presso la facoltà di lettere dell’Università di Napoli Federico II, così racconta nel suo saggio, l’inizio dell’avventuroso viaggio intrapreso dagli uomini del Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale (CCTPC) per seguire le tracce della Tavola Doria; ridandoci il fascino senza tempo della ricerca che l’ha accompagnata. Gli uomini del Comando carabinieri con una telefonata gli dicono, senza rivelargli altro, di essere ad un punto cruciale nel recupero di una preziosa opera d’arte.
Louis Godart, consigliere del presidente della Repubblica per il patrimonio artistico, crede di trovarsi, ancora una volta, davanti a un capolavoro dell’arte greca, etrusca o romana. Ricorda l’emozione il giorno in cui i carabinieri lo invitano a Trastevere per andare a vedere La Tavola Doria recuperata. Quando la installano sul cavalletto il suo sguardo è subito attirato dal berretto rosso di Niccolò Piccinino: sul suo volto, ridotto a una smorfia, si legge tutto l’odio per i nemici fiorentini. Negli occhi dei cavalli si legge il terrore mentre vengono trascinati dalla pazzia degli uomini in uno scontro violento e inesorabile: il dipinto lo trascina, letteralmente, nel pieno della battaglia; le urla degli uomini si alzano dallo stridìo degli zoccoli dei cavalli, “sente” i loro nitriti che si levano dal furioso groviglio di zampe.
Con un abile intreccio Godart, ne ricostruisce la storia densa di avvenimenti e ne fa una lettura interessante e avvincente.

La Storia

Nel periodo tra il 1503 e il 1505 la Repubblica di Firenze decide di far decorare il Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio, che ospita il Gran Consiglio della Repubblica (54 metri per 23 di larghezza e 18 di altezza). A Michelangelo viene commissionata la Battaglia di Cascina, mentre Leonardo si occupa della Battaglia di Anghiari.
Nessuno dei due progetti viene terminato. Michelangelo lo lascia prima di finirlo mentre Leonardo lo abbandona dopo il fallimento dell’esecuzione del dipinto sulla parete del salone: la versione più conosciuta e più probabile dice che, Leonardo, avrebbe sperimentato la tecnica dell’encausto: antica tecnica di pittura murale a caldo, che si ottiene sciogliendo i colori nella cera fusa, ma l’esperimento fallisce e il dipinto rovinato, irrimediabilmente, viene abbandonato.

Gli albori del Quattrocento vedono prevalere in Italia cinque Stati: le Repubbliche di Firenze e di Venezia, lo Stato della Chiesa, il regno di Napoli e il Ducato di Milano.
Gian Galeazzo Visconti, primo duca di Milano aveva fatto della metropoli lombarda la Signoria più potente, riuscendo ad aggiudicarsi gran parte dell’Italia settentrionale e una discreta fetta di quella centrale, ma la sua morte provocherà lo smembramento del ducato le cui terre torneranno ai vecchi proprietari o saranno sottomesse a nuovi padroni.
I membri della famigia Visconti si dilaniano tra loro ed è la rovina, economica e monetaria, del Ducato. Segue un lungo spazio di tempo intrecciato a periodi di pace e di guerre tra ducati, che sfociano nella battaglia di Anghiari.

Il mistero della tavola Doria

La Tavola Doria

La Tavola Doria è circondata da un alone di mistero; un enigma degno di un giallo. Il dibattito su chi possa essere l’autore è stato esteso e composito. Gli esperti hanno rivolto le ricerche sulla possibile autografia leonardiana avendo diversi indizi sul più antico documento che ne fa nome: un inventario delle collezioni Doria (i suoi possessori, da cui il nome) datato al 1621; l’opera è nominata come “una battaglia di soldati a cavallo, di Leonardo da Vinci” e successivamente, nel testamento di Marco Antonio Doria del 1651, si parla di un “groppo di cavalli di Leonardo da Vinci”.
Godart fa approfondite ricerche per capire come la famiglia Doria ne sia venuta in possesso.

La famiglia genovese ha avuto un ruolo di grande interesse nell’Italia dalla fine del Quattrocento.
Giovan Carlo Doria (1576-1625) era un grande comunicatore, lo rivela il suo ricco epistolario fatto di scambi di auguri, di saluti, di accenni a vari doni. Prima del 1601 Giovan Carlo entrò in contatto con la famiglia fiorentina dei Medici con la quale instaurò un rapporto di stima e simpatia profonde. Ci sono documenti che attestano uno scambio di opere d’arte tra le due grandi famiglie: per cui è possibile che la Tavola Doria, puro prodotto dell’arte toscana, possa essere stata regalata ai Doria.
La Tavola conosciuta anche come La Battaglia dello Stendardo è un dipinto raffigurante la parte centrale della celebre opera pittorica murale della battaglia di Anghiari.
Della Tavola si erano perse le tracce dal 1939, anno in cui viene messa all’asta dalla famiglia Doria, che l’aveva in custodia dal 1621. L’opera è vincolata con decreto Reale Soprintendenza alle Gallerie di Napoli, ma nel 1940 (misteriosamente) lasciò Napoli e da allora se ne persero le tracce.

La Tavola Doria viene acquistata all’asta di Napoli dal marchese Giovanni Niccolò De Ferrari di Genova, si rese noto una seconda volta il 25 gennaio 1941. L’opera, quindi, era entrata a far parte autorevolmente del patrimonio artistico italiano.
Alla morte del marchese De Ferrari, gli eredi vendono il dipinto.
Comincia cosi il suo avventuroso viaggio, passando dalle mani di un faccendiere svizzero che lo compra illegalmente e nel 1962, lo rivende a una società tedesca di Monaco. Durante la permanenza in Germania viene malamente restaurato.
Nel 1992 entra a far parte del Tokio Fuji Art Museum che l’ha acquistato per circa 30 milioni di euro.
Il 16 settembre 1995 l’agenzia Adnkronos in un trafiletto pubblica, Leonardo: il giallo della “Tavola Doria”. E’ in Giappone.
L’articolo pubblicato dall’Adnkronos è riportato nel saggio, “La Tavola Doria”, di Louis Godart:

È finita misteriosamente in Giappone la Tavola Doria, un bozzetto a olio dei primi anni del Cinquecento che rappresenta la più importante testimonianza pittorica della Battaglia di Anghiari, il grande affresco di Leonardo in Palazzo Vecchio, a Firenze, ma perduto. Lo ha reso noto Alessandro Vezzosi, direttore del Nuovo Museo Ideale Leonardo da Vinci, che ha sede nella cittadina natale del grande artista, ricordando che l’opera scomparve da Napoli nel 1940 e che risulta esportata illegalmente. Dal 1983 l’opera è ricercata dalle autorità di polizia italiana in tutto il mondo. A rivelare a Vezzosi, uno dei maggiori esperti di Leonardo, l’ultima destinazione del quadro è stato il professor Friedrich Piel, storico dell’arte dell’Università di Salisburgo, che pochi mesi fa ha attribuito l’opera con certezza al pittore fiorentino con un imponente volume monografico pubblicato in Germania. I presunti proprietari giapponesi agiscono ancora in incognito, ha spiegato Vezzosi all’Adnkronos, perché si tratta di un quadro ricercato dalle autorità italiane e se venissero identificati rischierebbero quanto meno di essere accusati di incauto acquisto. Gli intenti dei magnati nipponici sarebbero quelli di ottenere la legalizzazione della proprietà della Tavola realizzando un accordo con l’Italia, prevedendo fra l’altro il suo deposito in un museo del nostro Paese.

Chi scrive si chiede: si può comprare a un’asta un’opera d’arte, misteriosamente scomparsa e, altrettanto misteriosamente ricomparsa e, rivenduta, senza che nessuno rivendichi questa stranezza?

I giapponesi per uscire dall’impasse decidono di rivolgersi alla Svizzera, Paese indubbiamente al centro dei commerci internazionali di arte antica, sperando di venderlo a potenziali acquirenti, ma piazzare un’opera d’arte notificata è un’impresa difficilisima.
I cacciatori delle opere d’arte rare si defilano rapidamente e questa situazione convince i giapponesi che l’unico compratore possibile sia lo Stato italiano.
Con tutti gli strumenti legali a loro disposizione i carabinieri del CCTPC entrano in azione. Inizia una trattativa tra lo Stato italiano e il Tokyo Fuji Art Museum, siglata il 12 giugno 2012.
La Tavola Doria rientra in Italia. Dal 13 giugno 2012 è conservata nel caveau del CCTPC a Trastevere.
Il giallo è risolto, ma solo in parte: adesso il capolavoro che, alcuni attribuiscono a Leonardo da Vinci e altri a un pittore toscano del cinquecento, potrà essere esaminato dai più qualificati esperti del Rinascimento.
Il ritorno in Italia del dipinto, vuol dire averlo sottratto ai collezionisti privati, ai loschi traffici di chi ne vede soltanto l’avidità di guadagno e forse servirà a squarciare, definitivamente, quel velo di mistero che ancora avvolge la Battaglia di Anghiari di Leonardo da Vinci.

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