Narrativa recensioni

Recensione “Epistola a Tiberio” – Renato Carlo Miradoli

Recensione a cura di Maria Marques

 “Ti scrivo, o Divo Cesare, dopo aver percorso il territorio della Giudea, della Galilea e della Samaria, da Te inviato per portare notizie sulla vicenda che mi hai descritto e sulla quale mi hai chiesto di cercare informazioni degne di nota.”

Non è semplice indagare e sottoporre a un’attenta e scrupolosa revisione le vicende in cui si trovò coinvolto il procuratore della Giudea, Ponzio Pilato, quando fece crocifiggere Gesù. Chi ha voluto la morte di Gesù di Nazareth? Quale autorità, quella romana o quella giudaica, ne ha decretata effettivamente la morte?

Questa è la curiosità che anima l’imperatore Tiberio negli ultimi anni del suo impero, siamo nell’anno 789 dalla fondazione di Roma o per semplificare nel 36 d.C. e Marco Calpurnio Pisone, legato imperiale, affronta con scrupolo questo incarico mettendo insieme tassello dopo tassello, una vicenda che è universalmente nota e che ancora oggi affascina, divide e incuriosisce.

Tutti i personaggi che Pisone incontrerà nel suo indagare, nessuno escluso, non sono riusciti a rimanere immuni dalle parole e dal comportamento di Gesù, a cominciare proprio da Ponzio Pilato che afferma “Ho fatto uccidere un innocente per assecondare la sete di sangue di una folla diabolica, quella gente maledetta che voleva la morte di un loro correligionario perché …perché non so né lo sapremo mai”, a sua moglie, Claudia Procula , allo stesso Longino che fra le lacrime afferma : “Vedi Legato quest’uomo era innocente!

Il Galileo era buono, non voleva il male: Barabba doveva occupare il suo posto…”.

In quell’intricata matassa dove tutto è detto e poi ritrattato, Pisone dovrà allargare i confini della sua indagine, lasciando Gerusalemme per ripercorrere le vie battute in vita da Gesù di Nazareth nella sua terra, incontrando i personaggi noti dei Vangeli e traendo da ognuno di essi informazioni che, a sua volta, rielabora scrivendo puntualmente all’imperatore un rapporto che va ben oltre l’indagine stessa.

Una riflessione intensa quella di Pisone, che è sì appagato dalla filosofia ma che a contatto con una realtà particolare come quella della società giudaica, permeata dal culto del Dio, uno e invisibile così lontana ed estranea a quella romana, lascia che qualche dubbio si insinui nell’ suo animo, minando certezze acquisite da tempo. Attento e intelligente, egli comprende che il rapporto che va scrivendo al suo imperatore deve trascendere il tempo presente e guardare lontano, negli anni a venire per cercare di individuare il cambiamento che questa “nuova religione” potrebbe introdurre nell’impero.

“Questi cristiani potrebbero essere un giorno il nemico che ha vinto il nostro mondo, o divo Cesare, proprio loro che predicano amore per il prossimo e la pace. In quanto Romani accetteremmo di essere morsi mille volte da un lupo che non abbiamo saputo tenere a bada, ma mai accetteremmo anche per una sola volta di essere divorati da un agnello”.

E, se il suo riflettere, si basa su fatti raccontati tra la popolazione, gli umili, gli illetterati, grande sarà il suo stupore quando scoprirà che gli avvenimenti che sta cercando di ricostruire, le parole, i gesti del Maestro, qualcuno li sta già trascrivendo perché siano diffusi, scegliendo, non a caso, la lingua greca, la lingua della sua filosofia e degli intellettuali quale lui stesso è.

Thriller e romanzo storico insieme, Epistola a Tiberio, affronta un tema che non è nuovo nella letteratura, narrato da molti e, l’autore, Carlo Miradoli, dà la sua risposta, a un mistero che da secoli affascina e divide il mondo intero.

Un romanzo epistolare in cui gli scritti indirizzati direttamente all’imperatore Tiberio, si mescolano abilmente ai dialoghi e alle descrizioni permettendo al lettore di percorrere fisicamente le strade polverose della Giudea, di apprezzare la sicurezza delle mura della fortezza Antonia, ma anche di essere attratti dal crogiolo di personalità che gravitano intorno alla vicenda. Sottesa al romanzo, una rigorosa ricostruzione storica, accompagna il lettore che, anche se non esperto del periodo, potrà coglierne le peculiarità messe abilmente in luce senza mai scadere nel didascalico.

Nei suoi scritti all’imperatore, Pisone compie un viaggio fisico e mentale, alla ricerca della verità o meglio, della “aletheia”, come la definisce spesso, scoprendo che la sua amata filosofia può arrivare a saziare l’animo umano, ma che c’è un fondo d’inquietudine che non si riesce a eliminare e, in questo suo mettersi a nudo, in questo suo confrontarsi con una realtà nuova, che intimorisce e incuriosisce, il legato assurge a paradigma di tutto il genere umano. 

Trama

“Chi ha voluto la morte di Gesù di Nazareth? Pilato, procuratore della Giudea? Il Sinedrio insieme alla folla dei giudei? Oppure, Giuda Iscariota, l’uomo che lo ha materialmente tradito? Chi inoltre ha gridato nel cortile del Litostroto all’apparire di Pilato in compagnia di Gesù: ‘Se non lo condanni fai torto a Cesare?’ Cosa è veramente accaduto in questa remota provincia dell’impero romano? La storia come noi la conosciamo ci insegna che Lucio Ponzio Pilato è colui che, pur contrario e non trovando colpa nell’accusato, ordina la materiale crocifissione di Gesù, richiesto in questo da parte dei Sinedriti, secondo i quali il Galileo aveva bestemmiato e provocato disordini al Tempio di Gerusalemme. D’altra parte, il Tetrarca della Galilea, Erode Antipa, figlio di Erode il Grande, si era rifiutato di decidere sulla questione, accampando come scusa di non essere autonomo in questioni di giustizia capitale. Ma chi allora lo ha, veramente, voluto morto? È quello che anche l’imperatore Tiberio sembra voler sapere, alcuni anni dopo gli eventi e quando le prime avvisaglie della portata storica di questo accadimento cominciano a farsi sentire anche a Roma. Nell’ultimo anno del mandato di Pilato e della vita di Tiberio stesso, un uomo di nome Marco Calpurnio Pisone, legato imperiale, dovrà svolgere un’inchiesta in terra di Giudea per scoprire cosa ci sia sotto questo mistero”.

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