Cari lettori di Thriller Storici e Dintorni, oggi è un giorno particolare, un giorno per ricordare tutte le vittime dell’Olocausto. Quest’anno abbiamo deciso di celebrarlo attarverso un’intervista a un autore, nonché amico di TSD, che ha scritto un libro dal titolo “La Lista – Gli ebrei di Napoli e la Shoah”.
Siamo in compagnia di Vincenzo Cortese a cui abbiamo rivolto qualche domanda.
Ciao Vincenzo e grazie per aver accettato questa intervista. Partiamo subito.
Il tuo nuovo libro racconta la storia di quarantadue ebrei di Napoli che al momento della liberazione della città dal regime nazifascista, quando iniziano le deportazioni verso i lager di sterminio, si trovavano lontani dalla città. Come è nata l’idea di raccontare queste storie?
Il libro nacque subito dopo il primo lockdown un po’ per caso. Fu una delle mie prime “libere uscite”. Mi trovo a Napoli e all’ingresso della metropolitana di Piazza Bovio. Mentre aspettavo che mi servissero una pizza al banco nel ristorante ad angolo, notai un insolito luccichio ai piedi del portone del palazzo accanto al locale. Avvicinandomi, verificai che si trattava di nove pietre d’inciampo. Non riuscii a staccarmi da quelle date e quei nomi. Tra quelle nove persone c’erano anche due neonati. Da lì parti tutto, da quelle stolpersteine. Sapevo che Napoli non ne aveva, almeno fino a prima della pandemia, poi ho scoperto che erano state deposte a gennaio 2020 poco prima che scoppiasse tutto ‘sto putiferio. Allora stavo lavorando alla revisione di un altro libro, ma lo misi da parte per dedicarmi a questo nuovo progetto. Lo avvertii come un dovere.
Napoli si liberò dei tedeschi appena prima che iniziassero le deportazioni, quindi i pochi ebrei della comunità di Napoli che furono deportati vennero catturati al di fuori dalla Campania.
Sì. Furono coloro che si ritrovarono entro i confini della Repubblica Sociale, dove entrò in vigore l’Ordine di Polizia n. 5 siglato dal Ministro Guido Buffarini Guidi. Molti dei deportati napoletani erano sfollati o al confino per via delle leggi razziali. Alcune famiglie si trovavano oltre regione anche solo per sfuggire ai pesanti bombardamenti subiti dalla città di Napoli fino ai primi di settembre del 1943. La maggior parte degli appartenenti alla comunità ebraica, però, restò a Napoli o nel cosidetto Regno del Sud, nonostante tutto, e sfuggì al triste primato che toccò alla città di Trieste.
Furono le Quattro Giornate a modificare i piani di Hitler, perché era proprio Napoli la prima città italiana designata per iniziare “i trasferimenti” verso i Lager.
Proprio così. Era già stato tutto pianificato con scrupolo teutonico qualche mese prima e la faccenda doveva essere liquidata nelle ore a ridosso della smobilitazione definitiva, prima che arrivassero gli angloamericani i quali, dopo lo sbarco in Sicilia, ormai premevano da sud.
La Lista era pronta, stilata con cura e vi erano elencati nomi, indirizzi e occupazioni degli interessati, ottocentotrentacinque persone in tutto. Era custodita in Prefettura e il comando Tedesco avrebbe potuto richiederne copia al momento opportuno ma, quando la situazione si aggravò e i nazisti iniziarono a esagerare con i furti (non chiamiamole requisizioni), i servizi di lavoro obbligatorio, i rastrellamenti coatti e le fucilazioni di militari italiani sbandati o resistenti, la popolazione napoletana insorse.
A partire dal 27 di settembre del 1943, non si capì più nulla. Erano scoppiate le Quattro Giornate.
È molto importante perpetuare il ricordo di quanto avvenuto nel secolo scorso, ovviamente non solo nella giornata odierna dedicata alla memoria. Quanto è difficile ridare voce e dignità a queste persone?
Non è stato facile ricostruire le storie di ciascuno. In un caso non sono riuscito a recuperare neanche le date di cattura e di morte della persona deportata. Ma la difficoltà più grande è quella emotiva. Gli stessi sopravvissuti hanno taciuto per anni prima di iniziare a raccontare la propria esperienza. Molti non ci sono riusciti e hanno portato il loro segreto nella tomba, le loro storie sono rimaste e rimarranno sconosciute.
È stata un’esperienza coinvolgente per me, da sempre sensibile all’argomento. Già al cospetto delle nove pietre d’inciampo, l’emozione fu fortissima e si amplificò durante il lavoro di ricerca. Affrontare la Shoah non è stata un’impresa agevole. È un po’ come entrare fisicamente nelle vite interrotte di tutte quelle persone. La stessa sensazione, credo, si provi nel visitare luoghi come Auschwitz, intrisi di un’aura indelebile di sofferenza. Chi ci è stato potrà confermarlo.
Quale taglio hai voluto dare al tuo racconto?
Siamo assuefatti, purtroppo, alle scene dei campi, con i prigionieri ridotti a cenci la cui residua umanità non traspare neanche dagli sguardi vuoti e persi. Per quanto mi riguarda, ho cercato di ricostruire il loro percorsi riportando quante più notizie mi è stato possibile racimolare. Il punto di partenza è stata una lista di nomi sulla quale erano riportate solo le età di ciascuno e il luogo di nascita. Seguendo il filo della memoria, ho ricostruito con un dettaglio maggiore gli eventi che hanno portato ciascuna di queste persone a condividere il destino di altri milioni di ebrei. Ma non mi sono accontentato e ho voluto spingere oltre le mie ricerche. Era mia intenzione scoprire chi fossero, quali le loro aspirazioni, i progetti di vita. Ho così verificato che ognuno ha affrontato a modo suo quel calvario, col proprio bagaglio di vita, unico e irripetibile.
Ho aggiunto anche delle foto. Visi sorridenti ripresi quando ancora nessuno si aspettava quello che poi sarebbe accaduto. Foto che sono state opportunamente uniformate e, in alcuni casi, restaurate, in modo da comporre una sorta di album di famiglia in maniera da poter definitivamente ridare un volto e un’anima a chi è stato ridotto dalla Storia a mero elemento di una statistica.
Su che tipo di documentazione hai lavorato per ricostruire le loro storie?
Devo ringraziare in modo particolare il lavoro di recupero e archiviazione del CDEC (Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea). Grazie al loro archivio virtuale sono così arrivato a ottenere notizie essenziali al prosieguo delle ricerche, condotte racimolando testimonianze dirette e indirette.
Anche molte delle foto, che accompagnano le storie che ho raccontato, sono tratte dall’archivio del “Progetto Memoria” sempre a cura del Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea – Dipartimento Cultura Comunità Ebraica di Roma.
C’è una storia che ti ha colpito di più, tra le quarantadue raccontate?
Tutte le vicende che ho raccontato mi hanno lasciato un solco nel cuore. In particolare non dimenticherò mai il momento in cui, percorrendo la città in cerca delle tracce dei protagonisti delle storie, mi recai a Via Morghen, dove si trova ancora l’abitazione di Sergio de Simone, uno dei bambini di cui ho approfondito la storia nei particolari più tragici. La sua vicenda mi ha colpito al punto da non riuscire a trattenere le lacrime al cospetto di una striminzita targa (parzialmente occultata dai rampicanti) che lo ricordava. Questa era posta di fronte al cancello d’ingresso della villetta, immaginai il momento in cui il piccolo se la lasciò alle spalle quando, in compagnia di sua madre, lasciò Napoli per raggiungere i suoi parenti presso Fiume.
Napoli e il fascismo, Napoli e le deportazioni: ce ne parli?
Napoli non fu né più né meno fascista del resto d’Italia. Nel 1938, gli ebrei italiani e stranieri residenti a Napoli, secondo il censimento governativo “razzista” e le stime delle Comunità israelitiche, erano settecentoquattordici.
Così come nel resto del Regno, in molti si prodigarono, tra forze dell’Ordine, Prefetti e civili delatori, per far rispettare le leggi razziali, così come fu assecondate, seppur con le peculiarità che ci contraddistinguono, la retorica e la propaganda del regime. Con la promulgazione di tali leggi, le prospettive andavano ben oltre l’ottusa intenzione di liberarsi di un presunto inquinamento genetico. Si trattava della più concreta possibilità di requisire beni e attività economiche alle famiglie ebree. E questo è un fatto.
A fronte di ciò, tuttavia, dobbiamo dire che ci furono altrettanti a Napoli, tra gli appartenenti alle forze dell’Ordine, nelle Prefetture e nella popolazione civile, che non barattarono la propria coscienza con opportunità e avidità. Anche questo è un fatto e si avrà modo di constatarlo nel corso della lettura del libro.
La stampa propagandistica, perfino nei fumetti destinati ai bambini, iniziò a rappresentare gli ebrei in forme grottesche, truffaldine e maligne. Ciò ebbe presa anche nell’accogliente popolazione della mia città, ben disposta all’accettazione dell’altro per via delle dominazioni e delle contaminazioni che si sono avvicendate nel corso della sua lunga Storia. Le leggi e la propaganda fasciste furono in grado di anestetizzare perfino questo retaggio. Tutto ciò, c’era da aspettarselo, sfociò in episodi di bullismo e intolleranza nei confronti della minoranza ebraica.
Non potremo mai sapere come avrebbe reagito la popolazione messa di fronte all’arresto e alla deportazione degli ebrei napoletani. Utilizzare l’evento delle Quattro Giornate per affermare che i Napoletani non permisero ai tedeschi di deportare i propri concittadini ebrei è solo retorica. Fu il caso, seppur legato a un atto così glorioso come le Quattro Giornate, a impedirlo.
“La memoria rende liberi”: cosa significa per te questa frase?
È una delle più belle ed efficaci parafrasi che abbia mai letto. Ha donato dignità all’ignobile ipocrisia nazista del “Arbeit macht frei” all’ingresso dei loro Lager.
Oggi siamo di fronte a una recrudescenza di quelle stesse ideologie associata alla medesima sottovalutazione e supponenza che portarono, nel secolo scorso, all’immensità della Shoah.
Sono tanti gli olocausti contemporanei che lasciano indifferente la coscienza collettiva. Il Mediterraneo è un cimitero sommerso, l’Africa è un continente devastato sa fame, stragi e guerre fratricide. L’Europa stessa è si sta avviando lungo una deriva in cui governi democratici lasciano il campo all’autoritarismo sovranista. Tutti abbiamo assistito al vergognoso assalto al Congresso della più famosa democrazia del pianeta. Mai come oggi, sopratutto le nuove generazioni, devono perciò essere messe di fronte alla verità della “memoria”.
Consigliaci due letture sull’argomento della Shoah
Lo sto rileggendo in questi giorni. “Se questo è un uomo”. Nel leggere le righe di Levi, mi trovo spesso a pensare che, oggi, a testimoniare quei drammi sono rimasti solo i bambini di allora e, quando anche l’ultimo se ne sarà andato, resterà solo la volontà di ciascuno di noi per consultare gli scritti e i documenti, per metterci di fronte a quanto in basso possa cadere la specie umana.
La scrittura aulica e cruda con cui Levi ci impone a recitare come una preghiera i suoi versi finché l’uomo continuerà a dar voce ai suoi istinti più vili.
Un altro titolo interessante è proprio “La memoria rende liberi” di Enrico Mentana e Liliana Segre. Il libro trasmette con efficacia narrativa tutto il senso di “stupore” di una ragazzina di fronte alla disumanità più estrema e inspiegabile.
Ringraziamo Vincenzo Cortese per essere stato con noi e a voi lettori, se volete, lasciamo i riferimenti del libro “La lista. Gli ebrei di Napoli e la Shoah”
ASIN: B08N3R7DMM
Editore: Independently published (8 novembre 2020)
Copertina flessibile: 125 pagine
ISBN-13: 979-8560584948
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