Storia del libro

Storia del libro e della scrittura – il manoscritto medievale

Siamo giunti alla settima puntata della storia del libro e della scrittura a cura della nostra Paola Milli! Buona lettura!

La realizzazione del manoscritto medievale

Nel medioevo i libri venivano scritti e trascritti a mano dagli amanuensi che, nella maggior parte dei casi, erano monaci o religiosi.

I luoghi adibiti alla trascrizione dei codici erano gli scriptoria. Lo scriptorium era una grande sala illuminata da numerose finestre. I monaci lavoravano il più possibile vicino a queste per avere luce a disposizione. Gli strumenti di lavoro erano: stilus, penna, calamo, raschietto, atrametaio e inchiostro. Lo stilus – bastoncino piatto nella parte superiore e acuto nella parte inferiore che veniva utilizzata per graffiare il foglio – era usato per le rigature.

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Per scrivere veniva utilizzata la penna, solitamente di volatile sgrassata e intagliata in modo più o meno aguzzo all’estremità.

Il calamo era ricavato dalle canne vegetali che veniva intagliato. Con penna e calamo c’era anche il raschietto utile per cancellare gli errori.

L’atrametaio era un vasetto che conteneva l’inchiostro nel quale veniva intinta la penna. L’inchiostro si ricavava dalla combinazione di alcuni elementi: nero fumo ricavato dalla cenere, metallo, gomma, noce di galla (prodotta dalla puntura di vari insetti sul tronco, sulle foglie o sulle radici di alcune piante), solventi.

I colori si ottenevano con l’aggiunta di minerali tritati mescolati ai solventi e venivano usati per le miniature.

Righelli e punteruoli servivano per tracciare linee dritte sul foglio come base per la scrittura.

Il lavoro si svolgeva su un leggio con piano inclinato.

Copiare un codice era spesso un lavoro di squadra: il primo ad intervenire era colui che doveva tracciare le righe sul foglio di pergamena o di carta. Queste dovevano essere sottilissime ma abbastanza evidenti da poter procedere dritti con la scrittura e lasciare spazi destinati alle miniature. La riga veniva tracciata con sottili punte di inchiostro marrone per la rigatura ad inchiostro, o con uno stilus appuntito per la rigatura a secco. Fino alla metà del XIII secolo circa non si scriveva mai sopra la prima riga.

In seguito si svolgeva l’operazione di scrittura vera e propria. Il risultato doveva essere preciso, nitido e chiaro.

Gli studiosi hanno identificato tre tipi di scrittura libraria tra le più utilizzate nei secoli: la carolina, la gotica, l’umanistica.

La carolina, utilizzata tra il IX e il XIII secolo, venne riformata da Carlo Magno nei territori dell’impero. Era una scrittura maiuscola con lettere staccate e chiare, interlinea ampia e poche abbreviazioni.

La gotica, tipica del basso medioevo, era caratterizzata da moduli ridotti, lettere schiacciate, interlinea ridotta e molte abbreviazioni. Seguiva due regole: quella delle curve contrapposte secondo cui due lettere curve si sovrapponevano; e la regola della R uncinata, in cui la R dopo una lettera con curva discendente si attaccava a questa con una specie di uncino.

La scrittura umanistica, usata nella prima parte del XV secolo, fu inventata da Poggio Bracciolini. Si ispirava alla carolina con ampia interlinea, lettere distanziate, maiuscole e titoli che imitavano la scrittura epigrafica. Non usava abbreviazioni.

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Successivamente alla scrittura si interveniva per il disegno di miniature e illustrazioni. Spesso chi le eseguiva non era colui che aveva scritto, ma un miniaturista specializzato che talvolta era anche pittore.

Le iniziali miniate dava risalto all’organizzazione logica del testo.

Le immagini vere e proprie erano usate come abbellimento ma anche come traduzione visiva del contenuto scritto. Le illustrazioni furono progressivamente inserite nei margini fino ad occupare l’intera pagina.

La facciata di un manoscritto poteva essere scritta ad unica colonna con margini molto ampi per annotare osservazioni (in genere libri umanistici); oppure a due colonne con uno spazio bianco centrale (era il caso dei testi sacri e dei Padri della chiesa); o a due colonne e due moduli di scrittura con il testo centrale attorniato da un commento scritto con carattere più piccolo.

I quattro margini della pagina erano: il margine interno o bianco di cucitura, il margine di testa o bianco di testa, il margine esterno, il margine di piede o bianco di piede. I margini evitavano che dita e mani coprissero o rovinassero la scrittura.

Il nome dell’autore e il titolo venivano abitualmente scritti alla fine del codice in una sezione chiamata colophon. Non esisteva il frontespizio.

L’identificazione dell’opera era data dall’incipit evidenziato dalla lettera più grande o dall’inchiostro rosso.

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I fascicoli scritti dovevano infine essere rilegati. La legatura veniva effettuata a partire dalla verifica dell’ordine dei fascicoli. Seguiva la cucitura di questi che erano fissati a un elemento interno, detto nervo, in pelle o pergamena, al quale venivano uniti i piatti.

Il dorso era arrotondato e incollato per rinforzare la cucitura. Venivano posati i fogli di guardia, si rifilavano i fascicoli e si posavano i capitelli, ornamenti che nascondevano i fili della cucitura. I piatti e il dorso potevano essere ricoperti di pergamena o di pelle.

Talvolta i piatti erano di legno più o meno ornato con fregi o borchie. Il manoscritto poteva essere tenuto chiuso da fermagli applicati ai piatti.

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