La storia in cucina Viaggio nella storia

Mangiare bene… Seimila anni fa!

Articolo a cura di Luca Vinotto

Il bell’articolo di Roberto Orsi su TSD di qualche tempo fa (4 cibi particolari e popolari nel Settecento) mi ha dato l’idea di condividere con voi alcune notizie curiose sugli usi e costumi culinari di quelle antiche popolazioni.

Tengo a precisare che ci occuperemo del periodo intercorrente tra l’affermarsi della Cultura di Uruk (3800 a.C. circa) all’impero Paleobabilonese (1700 a.C. circa). Due millenni abbondanti pieni di episodi cruciali per la storia dell’uomo, a partire dalla creazione della prima città (Uruk, 3800 a.C. circa), all’invenzione della scrittura (3100 a.C.) e delle prime conoscenze scientifiche (matematica, geometria, astronomia); senza dimenticare la costituzione del primo impero della storia ad opera di Sargon di Akkad, che descrivo nella serie di romanzi “Cronache di Akkad” di cui “l’Hurrita” è il primo volume (a seguito delle sue conquiste l’accadico diventerà la lingua più utilizzata nella regione e sono accadici i termini che utilizzo nell’articolo).

C’è da aspettarsi che una civiltà così raffinata si sia applicata anche all’arte del mangiare bene, e in effetti alcune delle ricette portate alla luce dal lavoro degli archeologi sono veramente interessanti.

La Mesopotamia, nella sua zona più meridionale (l’attuale Iraq), è sempre stata un territorio desolato. La terra sembra una monotona distesa di nulla: pochi alberi, in particolare palme da dattero, qualche arbusto secco e bruciato, un’infinità di fango e sassi.

Solo la presenza dei due fiumi che l’attraversano, in Tigri e l’Eufrate, dei loro affluenti e dei numerosi canali in cui il loro corso si divideva seimila anni fa hanno contribuito in modo determinante a creare un ambiente adatto agli insediamenti umani. Accanto ai corsi d’acqua si sviluppano ampie zone colme di vegetazione nelle quali è possibile coltivare palme e altre colture che necessitano di una grande quantità di acqua, quali il lino; appena oltre gli argini dei corsi d’acqua naturali, vi sono grandi pianure irrigabili ottimali per i cereali; ai margini di queste terre coltivabili si estende la steppa, arida ma sufficiente per la pastorizia. Completano il quadro le aree palustri, lagunari e salmastre, in prossimità della foce del Tigri e dell’Eufrate, dove si potevano facilmente ottenere canne, utilizzabili come foraggio per animali, e pesci ricchi di proteine.

È questa terra, quella che si estende oltre le mura delle città, che i sumeri chiamano Edin e i semiti Edinnu – termini che verranno ripresi dagli antichi israeliti per indicare il paradiso terrestre.

Coltivazioni odierne lungo il fiume Eufrate – Iraq. Sullo sfondo la riva occidentale, brulla e spoglia.

In sintesi, le popolazioni del Bronzo Antico in Mesopotamia possono contare su una varietà di cibi davvero notevole: cereali, soprattutto orzo (seum), utilizzato per produrre il pane (akalu), lievitato o non lievitato e la birra (ne esistono una dozzina di tipi, da quella usata per le offerte agli dèi – sikaru – a quella più a buon mercato – mazu); ortaggi, come la cipolla (shushkillum) , l’aglio (shumu) e il porro (gershanu), i piselli (halluru, consumati in grandi quantità) e la lenticchia (kakku); frutta come fico, melograno e melo e soprattutto il dattero (suluppu), talmente importante da diventare, in alcuni periodi, una vera e propria moneta di scambio al pari dell’argento. Il vino (karanu), è un prodotto d’importazione (dall’Anatolia e da Cipro), per cui rimane una bevanda per ricchi.

Tra i prodotti della pastorizia troviamo il latte (shizbu) utilizzato per il consumo fresco o per ottenere formaggi (gubnatu) o burro (ḫimētu); la carne di pecora (immeru), capra (enzu) e maiale (kurkizannu) – non quella dei bovini, utilizzati come animali da lavoro. Ovviamente fonte di carne è anche la caccia (di gazzelle, capre selvatiche, cinghiali, lepri, cervi, anatre e oche selvatiche), ma limitatamente alle aree rurali e alle classi altolocate: la popolazione delle grandi città non ha la possibilità di accedervi, e la pesca, praticata con barche e reti fisse oppure con lance, fiocine e nasse.

Caprini e bovini nell’Antica Mesopotamia: Stendardo di Ur, particolare del pannello della pace, 2500 a.C. circa, British Museum

Sulla tavola dei sumeri non mancano neppure molluschi (ishqillatu) di mare o di fiume, lumache (lummu) e insetti, la cui raccolta ha origini che risalgono alla preistoria. Tra questi ultimi un ruolo predominante spetta alle locuste (zizanu) che vengono cotte direttamente sul fuoco, infilzandole su lunghi spiedi. Sono considerate una prelibatezza degna dei re e degli dèi, a cui spesso vengono offerte.

In sintesi, le popolazioni dell’Età del Bronzo in Mesopotamia possono contare su una varietà di cibi davvero notevole e hanno le competenze tecniche per conservarli. Ma come li cucinano e quali sono le loro abitudini “a tavola”?

Vediamo com’era strutturata la loro società. In tutto il periodo che stiamo considerando, la civiltà mesopotamica ha il suo elemento fondante nella città, prima come entità indipendente (dal 3800 a.C. – nascita della prima città, Uruk – al 2334 a.C. – costituzione dell’impero sargonico) poi asservita a uno stato più vasto.

Alla sua sommità troviamo l’Ensi, capo civile e religioso al tempo stesso. Si circonda di numerosi funzionari, il cui compito è sovraintendere le “agenzie” pubbliche chiamate “Case” (E in sumero) nelle quali si volge l’attività produttiva. I prestatori d’opera (contadini, allevatori, artigiani e operai addetti alle tessiture, fonderie e opifici per la produzione di mattoni) lavorano per queste “Case” dedicandogli o la totalità del loro lavoro (“Unga”) o parte dello stesso (“Eren”). Vengono retribuiti principalmente con razioni, sufficienti al sostentamento loro e dei membri “improduttivi” delle famiglie (bambini, vecchi, malati).

È una società sofisticata e complessa che si regge su una burocrazia meticolosa ed efficiente. Ogni avvenimento viene registrato, catalogato e conservato negli archivi. In questo è straordinariamente moderna, perché è la conoscenza – cioè la capacità di raccogliere informazioni, recuperarle ed elaborarle – la chiave del potere delle classi dominanti, non la forza fisica o militare o la ricchezza in quanto tale – quest’ultima anzi ne è la conseguenza.

Questa organizzazione ha un impatto anche sul regime alimentare.

Chi viene remunerato con razioni, consuma una dieta a base di orzo (assunto come cibo e come bevanda: come vedremo l’uso – e l’abuso – della birra era ampiamente praticato e permesso), farro e di altri cereali. Si tratta di cibi poveri di vitamina A e C, che probabilmente veniva assunta con pesce e frutta, in primo luogo datteri, procacciati direttamente o tramite il piccolo commercio locale. Le immagini in nostro possesso (soprattutto sigilli cilindrici) li mostrano seduti su stuoie o su piccoli sgabelli.

Per le classi agiate dei funzionari invece ci sono i banchetti. L’ora del ritrovo non è sempre definita nei testi a nostra disposizione, e con tutta probabilità varia a seconda delle situazioni e delle necessità, ma sappiamo che un banchetto poteva durare molte ore, un giorno intero, e a volte prolungarsi anche la notte. Il luogo prescelto è solitamente la casa di un dio (un tempio), o l’area immediatamente adiacente: il cortile, o la cosiddetta “sala da pranzo” (unu).

Scene di banchetto: Stendardo di Ur, particolari del pannello della pace, 2500 a.C. circa, British Museum

Mangiare è una questione di stile, per le classi altolocate. E allora, prima di ingozzarsi è buona educazione lavarsi le mani, se non per igiene, per consacrare il cibo e le bevande che verranno consumate. Inoltre, l’usanza veniva ritenuta utile per mettere di buon umore gli invitati, considerato un elemento essenziale per la buona riuscita di un banchetto.

Il pasto si consuma seduti, su sgabelli o su sedie a schienale basso, a volte munite di braccioli. Sembra che nel periodo Uruk (3800 – 2900 a.C. circa) i piatti siano offerti ai banchettanti da servi, che li riempiono attingendo il cibo da vassoi disposti su larghe credenze; in seguito, i commensali si disporranno intorno a tavoli imbanditi. Il cibo è portato alla bocca con le mani o prendendolo con sottili focaccine d’orzo, simili alla nostra piadina o alla pita araba. Per le bevande si usano coppe o boccali, di argilla, ceramica o metallo. Una particolarità: la birra viene aspirata da piccole anfore dal collo lungo e stretto attraverso cannucce di paglia, probabilmente per evitare di bere le impurità sulla superficie della bevanda

L’atmosfera è allietata dal suono della musica, in particolare cimbali, tamburi e arpe (zagsal).

Scene di banchetto su un sigillo a cilindro: Cimitero Reale di Ur, 2550-2450 a.C.University of Pennsylvania Museum of Archaeology and Anthropology

Birra e vino sono consumati durante i pasti normali, nelle cerimonie e nelle feste, anche per i brindisi. L’ubriachezza è accettata e non ha mai una connotazione negativa, anzi! Si ritiene che l’ebrezza acuisca le capacità mentali, tant’è vero che numerose opere letterarie raccontano che gli dèi prendono le loro decisioni dopo aver mangiato e soprattutto bevuto in compagnia.

Del resto, lo stesso Erodoto, riferendosi ai Persiani, riporta che “hanno l’abitudine di discutere le questioni più serie in stato di ubriachezza. Le decisioni prese vengono riproposte il giorno seguente […]: se le approvano anche da sobri, allora le confermano, altrimenti le lasciano cadere. Se la prima decisione avviene quando sono sobri, essi la ridiscutono quando sono ubriachi.”

Erodoto forse esagera (lo fa spesso), ma certamente la socialità per i sumeri ha un ruolo fondamentale.

Del resto, un’opera letteraria sumerica, “La canzone dell’ebbrezza” recita:

il tino gakkul che ci rende allegri (fa un buon fegato),

la giara lamsare ci rallegra il cuore,

la giara ugurbal è la gloria della casa!

La giara shaggub piena di birra,

la giara amam e la giara lamsare,

il tino bunig per l’ erba officinale e il baan per l’impasto,

tutti gli splendidi vasi sono al loro posto!

[…]

[tra le] riserve da bere

mi aggiro contento

bevendo la birra felice

la birra bevo allegro,

col cuore allegro,

col cuore allegro, ed euforico,

vestito come per una regina!

Basta sostituire i riferimenti alle giare con quelli per il fiasco e la bottiglia e abbiamo un motivo che non sfigurerebbe nelle nostre migliori osterie!

Ma quella gente non apprezzava solo il buon bere. Sulla base dei resti trovati durante gli scavi archeologici e soprattutto grazie alla recente traduzione di tre tavolette di origine babilonese conservate nella Yale Babylonian Collection, siamo venuti a conoscenza di ben 25 diverse ricette, in cui troviamo gli ingredienti di cui abbiamo parlato. Risulta evidente che, sebbene a conoscenza di diverse tecniche di cottura, i mesopotamici  prediligevano minestre, zuppe, bolliti e stufati di ogni tipo. Ecco alcune di quelle antiche ricette, spesso non proprio chiarissime nei passaggi, sia perché le tavolette non sono complete sia perché scritte solo per gli “addetti ai lavori”, che probabilmente sapevano già come dosare.

Sanguinaccio

Metti in acqua delle rape, aggiungi grasso, cipolla, coriandolo e pane a pezzetti. Aggiungi quindi il sangue con porro tritato e aglio.

Zuppa di piccioni

Metti in acqua gli uccelli, aggiungi grasso, sale a piacere, pane a pezzetti, cipolla, porro e aglio e erbe aromatiche preventivamente tenute a bagno nel latte.

Zuppa di cuscuta

Metti in acqua carne salata e aggiungi una sufficiente quantità di cuscuta, cipolla e coriandolo, cumino, porro e aglio. Servire calda.

Zuppa di agnello

Metti in acqua carne d’agnello e altra carne a piacere. Aggiungi grasso, sale a piacere, pane a pezzetti, cipolla, coriandolo, cumino, porro e aglio. Servire calda.

Per finire, una delle ricette “ricostruita” con ingredienti moderni dagli studiosi della Yale Babylonian Collection. Hanno fatto da cavie e dicono sia buonissima!

Stufato di agnello babilonese con barbabietole

Ingredienti:

1 libbra di agnello a dadini

1/2 tazza di grasso di pecora fuso

1/2 cucchiaino di sale

1 bicchiere di birra

1/2 bicchiere d’acqua

1 cipolla piccola, tritata

1 tazza di rucola tritata

1 tazza di scalogno persiano o cipollotti

1/2 tazza di coriandolo fresco tritato

1 cucchiaino di cumino

1 chilo di barbabietole rosse fresche, sbucciate e tagliate a dadini

1/2 tazza di porro tritato

2 spicchi d’aglio

Per la guarnizione:

2 cucchiaini di semi di coriandolo secchi

1/2 tazza di coriandolo tritato finemente

1/2 tazza di kurrat tritato finemente o rampe/porro selvatico

Istruzioni:

Riscaldare il grasso in una pentola abbastanza larga da permettere ai dadini di agnello di spargersi in uno strato, scottare a fuoco vivo fino a quando tutta l’umidità evapora, quindi aggiungere la cipolla e continuare a cuocere finché non diventa quasi trasparente. A questo punto aggiungiamo barbabietola rossa, rucola, coriandolo, scalogno persiano e cumino fino a quando l’umidità evapora e gli ingredienti emettono un piacevole aroma. Versiamo birra, acqua e mescoliamo. Una volta a ebollizione, riduciamo la fiamma e aggiungiamo il porro e l’aglio pestati in un mortaio. Lasciamo bollire per un’ora, fino a quando la salsa si addensa; tritiamo il kurrat (tipo di porro) e il coriandolo fresco e pestiamolo un mortaio; quindi versiamo lo stufato nei piatti cospargendolo con semi di coriandolo secchi e la pasta di kurrat e coriandolo. Il piatto è pronto.

Che ne pensi di questo articolo?

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.