Viaggio nella storia

8 Marzo: storia dell’emancipazione femminile

A cura di Raffaelina Di Palma

Femminismo – Maschilismo: lotta perenne e continua fin dall’alba dei tempi; un rapporto tormentato e sofferto quasi a voler sopraffare o l’uno o l’altro, a volte, con l’arma potente dell’ironia, a volte, con l’arma molto più pericolosa del rancore e della rabbia.

Donna, sesso debole? Una “favola” inventata e messa in atto da una sciocca e secolare letteratura rosa. È stata sempre lei, la donna, ripudiata e demonizzata dalla cultura patriarcale.

La nascita degli dei e delle dee dell’antica Grecia deriva da eventi storici. È una mitologia patriarcale che esalta Zeus e gli eroi, riflette lo scontro e l’assoggettamento di popoli le cui religioni erano fondate sulla madre da parte di invasori con divinità e teologie fondate sul padre.

Se risaliamo fino a venticinquemila anni fa, prima della comparsa delle religioni maschili, la vecchia Europa era una cultura matrifocale di popolazioni stanziali pacifiche, amanti delle arti, della terra , legate al mare che adoravano la Grande Dea.

Dati ricavati da reperti provenienti da luoghi di sepoltura mostrano come la vecchia Europa fosse stratificata, equalitaria, distrutta da un’invasione di popoli indo-europei seminomadi che usavano il cavallo e provenivano  dalle lontane regioni del nord e dell’est. Questi invasori avevano una cultura patrifocale, un’ideologia orientata verso il cielo, erano mobili, bellicosi e indifferenti all’arte.

Carl Jung, con gli studi sugli archetipi dell’inconscio collettivo è stato uno dei primi ad arrivare alla conclusione dell’esistenza di una polarità alternativa, maschile/femminile, che negava a uomini e donne di conseguire la totalità e lasciava inevitabilmente le donne all’estremità meno gratificante.

La storia della donna è composita e non priva di contraddizioni. Nelle società arcaiche la sua maturità sessuale implicava lo sposalizio con la luna, comportava il crescere e il calare con le fasi lunari. Gli antichi sapevano che essa è legata al calendario della natura, non può sottrarsi a questo appuntamento; lei non è libera.

La femminilità biologica non le dà nessuna scelta se non quella dell’accettazione; la profondità storica non le permette una fuga dal ciclo naturale, non lo fa, perchè la donna “è quel ciclo”. La natura l’aggioga al ritmo inflessibile della legge della procreazione; che essa lo desideri o no.

Demetra: dea delle messi, nutrice e madre; presiedeva all’abbondanza dei raccolti. I romani la conoscevano come Cerere, da cui la parola cereale. Demetra, meter, sembra significare “ madre,” ma non è affatto chiaro a che  cosa si riferisca il de o il più antico da . Veniva venerata come una dea madre, in particolare  madre delle messi e della fanciulla  Persefone (la romana Proserpina).

Poichè la donna è ancestralmente legata al ruolo di  madre è stato quasi obbligatorio fare un accenno a questa dea in particolare; essa rappresenta il simbolo dell’istinto materno e la maternità è il ruolo più importante della sua vita.

Nell’arte occidentale, come la Madonna col bambino, corrisponde a un’immagine interiore che la tocca profondamente. Demetra è l’archetipo della madre: a livello biologico rappresenta l’istinto materno; quell’archetipo che spinge la donna a essere nutrice generosa e disinteressata nel curare e accudire gli altri.

Questo suo bisogno non si limita alla maternità in senso stretto, una forza prepotente la spinge verso questo ruolo. Il tema della maternità è senz’alcun dubbio il cuore della contraddizione per le prime generazioni che hanno sperimentato i primi passi sulla strada dell’emancipazione. Non è un caso che tante di queste  donne, per la carriera professionale, abbiano dovuto rinunciare ai figli e alla famiglia: un muro, legislativo e culturale, ha fatto di lei “l’angelo del focolare” relegandola tra le quattro pareti domestiche. La necessità  di sgretolare questi mattoni ha richiesto anni e anni di dolorose lotte.

Sul contributo  dato dalla donna alla crescita  della nazione alla sua formazione, politica e sociale, è evidente, è calato  un velo di silenzio e di indifferenza.

Entrando  nel mondo del lavoro spesso,  ha preferito soluzioni  “soft”, territori meno battuti e per questo più innovativi; dove c’era bisogno  di  rimboccarsi le maniche.

La testimonianza del cammino della donna a partire dal  Risorgimento racconta non soltanto l’emancipazione di alcune , ma una maggiore  libertà per tutte, contribuendo  alla costruzione del tessuto sociale di una nazione. Storicamente, la sua comparsa sulla scena pubblica, costituisce la grande novità  della società  a partire dalla seconda metà dell’ottocento. La sua storia è anche la storia della modernizzazione di ogni singolo paese: processo  di cui essa è stata oggetto e soggetto al tempo stesso.

La presenza femminile nella storia è complessa e composita sotto molti aspetti, non si può tradurre  in modo lineare fatta di parità di diritti, ampliamento delle libertà e partecipazione alla vita pubblica.

Volendo dare conto di tutti gli aspetti della partecipazione femminile alla storia bisogna considerare non solo il ruolo pubblico, i traguardi, le conquiste sul piano della parità; l’esempio di quella presenza di confine tra privato e pubblico le fasi più conflittuali del passaggio alla modernità sono spesso legate alla trasgressione femminile.

La legge 194  emanata nel 1978, fu considerata un passo in avanti molto importante per la liberalizzazione della donna  poiché le dava la possibilità di abortire: l’aborto, comunque, rimane un dramma nella sua vita che le procura sofferenza interiore e solitudine, si porterà addosso il rimorso per averlo fatto cominciando a contare il trascorrere degli anni ; adesso quel “figlio” avrebbe un anno… ne avrebbe due…tre … e così via… questa non la possiamo chiamare libertà.

In Europa, durante il periodo dei roghi, (1450-1750) che comprende: l’Era della Riforma Protestante, della Controriforma e della Guerra dei trent’anni, lo sterminio di donne definite streghe o accusate di stregoneria hanno cancellato dai libri di storia quei quattro secoli che precedettero l’Illuminismo, contribuendo all’amnesia collettiva e individuale femminile.

La donna ha perso la sapienza istintiva che le apparteneva per diritto ereditario biologico nei millenni precedenti lo sviluppo della civiltà patriarcale e della dominazione maschile. La sua concezione di essere donna e il suo intuito possono sembrare un vantaggio, in realtà non viene incoraggiata a esprimersi secondo la sua conoscenza se ciò può  determinare conflitti con l’ambiente in cui vive.

Riprendere davvero possesso di sé e stabilire in sé il proprio centro, è un’impresa monumentale, che richiede anni di lavoro: difficile e assiduo. Non è con la concezione del femminismo che si vincono la battaglie, è  inutile e dannoso: sarebbe il ribaltamento del maschilismo. Dopo anni di lotte essa non ha ancora idea di come riprendere possesso  dell’autorità che le è  stata rubata per essere proiettata sull’uomo, che in qualsiasi situazione viene considerato l’esperto.

Il femminismo viene fatto a pezzi e  sparpagliato sulla terra. Le donne sono state isolate l’una dall’altra e non hanno avuto la percezione di un centro di autorità dentro loro stesse. Il seme del “femminino”  diventa il centro di impulso viscerale e istintuale che nella donna diventa spiritualità, intuito, profondo  senso della vita: diventa parte integrante del processo evolutivo della terra.

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