1519-2019 Leonardo Da Vinci Viaggio nella storia

Leonardo e Freud: un falso mito – Seconda parte

Continua il nostro viaggio nel (falso?) mito della omosessualità di Leonardo da Vinci. Nel precedente articolo abbiamo visto da dove tutto abbia avuto origine, e la analisi di Freud sul genio del Rinascimento. Ma ci sono anche altre fonti che hanno avvalorato questa tesi. Vediamole.

Articolo a cura di Claudia Renzi

Altra fonte che pare avvalorare l’ipotesi di un Leonardo gay è Giovan Paolo Lomazzo. Nella biblioteca del British Museum è custodito un suo manoscritto intitolato Libro dei sogni, databile al 1560 circa[16]. In esso, scritto sulla falsariga dei Dialoghi dei morti di Luciano, Leonardo è attore di due dialoghi, uno con Giovio (il suo primo biografo, che lo conosceva personalmente) e Fidia. Lomazzo mette in bocca a Leonardo, nel dialogo con Fidia, un elogio dell’omosessualità, facendogli dire che in questo senso si era “servito” di Salai, per poi fare però anche un elogio della donna. Nel dialogo con Giovio, Leonardo confessa invece di aver perso la testa per una ragazza milanese di nome Drusilla, il cui rifiuto l’avrebbe indotto a fuggire a Venezia. C’è da dire, però, che Lomazzo non ha mai conosciuto Leonardo, e sebbene incontrò Melzi – uno dei suoi più cari allievi, nonché erede di tutti i suoi quaderni – e, forse, tramite lui, può aver avuto accesso ad alcuni appunti del maestro, come fonte resta inaffidabile. Come si è visto, la leggenda che il suo allievo Gian Giacomo Caprotti, meglio noto come Salai[17], fosse il suo amante, risale a Lomazzo; tuttavia si è tentato di avvalorarla sostenendo l’autenticità del celebre scarabocchio nel Codice Atlantico, dove compare un membro accostato ad un orifizio e la scritta Salai a lato, che altro non è che un falso storico[18].

Vero è che Leonardo elenca fra i suoi libri il Manganello[19], opera stampata due volte nel corso del Cinquecento, di anonimo milanese che dice di essersi ispirato a Giovenale (Satira VI) e al Corbaccio per una violenta satira contro le donne, ma vero è pure che se un uomo è misogino – ammesso mai che Leonardo lo fosse – non significa affatto che sia gay. Anzi, altrove Leonardo sembra criticare apertamente l’omosessualità:

Lussuria: il palpistrello per la sua insfrenata lussuria non osserva alcuno universale [“canonico”] modo di lussuria, anzi maschio con maschio, femmina con femmina, così come a caso si trovano insieme usano il lor coito[20].

Non mancano invece riferimenti inequivocabilmente eterosessuali nei manoscritti e disegni del maestro, che non è certo per interposta persona che descrive l’atto sessuale[21] fra uomo e donna, arrivando ad esaltare il membro virile come ministro dell’umana spezie[22].

Nel Codice Atlantico[23] Leonardo parla del sogno, terra di mezzo dove anche le fantasie più inconfessabili possono trovare sfogo, dicendo che lì:

Parlerai con gli animali di qualunque spezie e quelli con teco in linguaggio umano [parleranno], vedratti cadere da grandi alture[24] sanza tuo danno, i torrenti t’accompagneranno e mist[eranno te] col lor rapido corso, userai carna[lmente c]on madre e sorelle, [us]erai colli animali (…).

Questo aspetto dell’eterosessualità probabilmente turbava Leonardo, e l’interpretazione che ne ha dato Carlo Pedretti è plausibile:

È chiaro che l’istinto eterosessuale è di tale forza da risolversi paradossalmente in un’omosessualità dominata dall’immagine apollinea dell’ermafrodito, unione armoniosa dei sessi. Di qui l’inevitabile condizione di auto-mimesi che dà adito al narcisismo e quindi alla masturbazione[25].

Ritengo tuttavia che la parola “omosessualità” possa essere tranquillamente sostituita con “sessualità”.

Proprio Pedretti negli anni ’80 riportò all’attenzione degli studiosi una notizia passata fino ad allora ignorata: Leonardo aveva scritto in un suo taccuino, attualmente perduto, della sua frequentazione con una cortigiana detta Cremona. La notizia fu resa nota per primo dal pittore Giuseppe Bossi, autore della monumentale e per molti versi insuperata monografia sul Cenacolo, del 1810, nei suoi Scritti sulle Arti[26]. Bossi riferiva di una nota autografa di Leonardo, tratta probabilmente da un quaderno allora conservato nell’Ambrosiana di Milano, poi perduto o non ricollocato al suo posto dopo le sottrazioni napoleoniche[27]. Dove Leonardo abbia conosciuto e frequentato questa Cremona non è dato sapere: forse Roma[28], dove giunse nel 1513 al seguito di Giuliano de’ Medici, fratello di Leone X. Della vita romana di Leonardo, tra il 1513 e il 1516 (anno di morte di Giuliano), non si sa niente tranne le scarne informazioni sul contrasto coi collaboratori vetrai tedeschi e un accenno al primo insorgere della malattia che lo porterà alla paralisi della “destra”, annotate in bozze di lettere al protettore; ma nel Codice Atlantico[29] è riportata, subito dopo la spesa di soldi 20 per un crocefisso, l’enigmatica annotazione: Per dire la ventura soldi 6. La “ventura” a Firenze era un modo garbato per chiamare “quello che rende uno più prete che monaca”, e dunque la frase vorrebbe dire andare in un bordello, a cui si fa riferimento anche in un un’altra annotazione in forma di facezia (evidentemente anch’essa ignota a Freud), dove il prezzo per la prestazione è di soldi 5[30]. Le cortigiane indossavano parrucche, e una complicata parrucca è quella di Leda e delle figure femminili ritratte in alcuni degli ultimi disegni del maestro, oggi a Windsor (n. 12508 e 12577). Nel Cinquecento nessuna donna rispettabile avrebbe posato senza vestiti per un pittore e, in mancanza di una moglie, una cortigiana poteva essere l’ideale per ritrarre il corpo femminile dal vivo. Leonardo infatti raccomandava di non fare uomini con membra femminili (e viceversa). Una frase che indirettamente critica le nerborute, seppur sensuali, “donne” di Michelangelo, che si accontentava di usare i suoi allievi come modelli anche per i soggetti femminili[31].

Ogni volta che Leonardo scrive di pulsioni sessuali si riferisce chiaramente e senza ambiguità alla donna. Nel Codice Arundel si legge che:

L’omo ha desiderio d’intendere se la femmina è cedibile alla dimandata lussuria, e intendendo di sì, e come ella ha desiderio dell’omo, elli la richiede e mette in opra il suo desiderio, e intender no’l po’ se non confessa, e confessando fotte[32].

Nel Libro di Pittura, capitolo 23, si legge:

(…) tu possi rivedere tu amante con la tua amata, nelli prati fioriti, sotto le dolci ombre delle verdeggianti piante.

Gli ultimi disegni dell’anziano Leonardo sembrano dominati dalle donne[33] e, non a caso, pare che la sua ultima opera fosse un Ratto di Proserpina[34].

Il fatto che Leonardo non si sia sposato e non abbia avuto figli non significa, ovviamente, che non lo abbia mai ipotizzato: la pseudo-lettera al fratellastro Domenico appena divenuto padre[35], che pare deprecare la paternità, è, in realtà, come chiarito da tempo, solo un esercizio retorico sulla base del Libro delle Trecento Novelle di Franco Sacchetti[36]. Anzi, Leonardo aveva un concetto tanto sacro della vita da considerarla inequivocabilmente divina:

In effetto l’omo non si varia dalli animali se non nell’accidentale, col quale esso si mostra esser cosa divina perché dove la natura finisce il produrre le sue spezie, l’omo quivi comincia, colle cose naturali, a fare, coll’aiuto di essa natura, infinite spezie le quali, non essendo necessarie a chi ben si corregge come fanno li animali, a essi animali non è disposizion cercarne[37].

Altrove scrive:

E tu omo che consideri in questa mia fatica l’opere mirabili della natura, se giudicherai esser cosa nefanda distruggerla, or pensa esser cosa nefandissima il torre la vita all’omo, del quale, se questa sua composizione ti pare di meraviglioso artifizio, pensa questa esser nulla rispetto all’anima che in tale architettura abita; e veramente, quale essa si sia, è cosa divina, sì che lasciala abitare nella sua opera a suo beneplacito, e non volere che la tua ira o malignità distrugga una tanta vita[38].

Altrove è nominato Dio stesso, laddove Leonardo critica chi ha la presunzione di trarre conclusioni affrettate e superficiali:

Poi vogliono caratare la mente di Dio nella quale s’include l’universo, caratando e minuzando quella in infinite parti come se l’avessimo a notomizzare[39].

La frase ideale per rispondere a Freud & Co.

[16] Pubblicato nel 1973.

[17] Il soprannome deriva da un demone nel Morgante di Pulci.

[18] Codice Atlantico, c. 133v. Nello stesso foglio compare anche il disegno di una bicicletta, anch’esso apocrifo.

[19] Al n. 98 nell’elenco nel Codice Madrid II, cc. 2v-3r.

[20] Codice H, c. 12r.

[21] Fra i più celebri disegni c’è il Windsor 19097v, in cui Leonardo mostra in sezione sagittale anatomica l’unione di un uomo e una donna. Un articolo di Rudolf Reitler del 1917 (Eine anatomisch-künstlerische Fehlleistung Leonardos da Vinci, Int. Z. Psychoanal., IV, p. 205), citato da Freud nella riedizione del 1919 del suo saggio, ricostruì in maniera arbitraria e sbagliata la posizione dei piedi per concludere che Leonardo non aveva avuto esperienze sessuali con donne! Freud, non conoscendo l’originale, accettò l’interpretazione di Reitler.

[22] Windsor, 19030r.

[23] Codice Atlantico, c. 393r.

[24] S. Freud, op. cit., p. 78 sostiene che il desiderio umano di volare sarebbe un’aspirazione ad esser capaci di prestazioni sessuali, quando invece altro non è che desiderio di libertà.

[25] Pedretti 2008, p. 487.

[26] Per Bossi, che possedeva tutti i disegni di Leonardo ora a Venezia, vedi Roberto P. Ciardi 1982.

[27] Da escludersi comunque il Codice Trivulzio, poiché già noto a Bossi. Forse il quaderno da cui è tratta la citazione è segnalato correttamente tra le carte dello stesso Bossi, ancora inedite, conservate alla Biblioteca Ambrosiana. Nel 1795 Napoleone sottrasse dall’Ambrosiana ben 12 codici di Leonardo, oggi all’Istituto di Francia. Nel 1815, in seguito alla sconfitta di Waterloo, un consesso internazionale impose alla Francia di restituire i beni sottratti ad altri paesi, ma solo il Codice Atlantico fu restituito all’Ambrosiana, mentre gli altri 11 rimasero in Francia.

[28] Pedretti 2008, p. 483.

[29] Codice Atlantico, c. 319v.

[30] Ms. C, c. 19v.

[31] A Roma, inoltre, sembra prendere corpo l’idea di una Gioconda nuda. Una versione di essa (ora a Bergamo) fu inventariata nel 1664, quando ancora si trovava nel Museo Settala a Milano, come il ritratto di una meretrice eseguito da Leonardo (Mulier, creditur Meretrix, opus magni illius pictoris Leonardo a Vincio). In un’altra versione, attualmente dispersa, la donna ritratta portava al petto un cammeo col ritratto di profilo dello stesso Leonardo con l’iscrizione maiuscola (questa però ottocentesca) Leonardo da Vinci 1501. Un’altra versione è all’Ermitage.

[32] Codice Arundel, c. 205v.

[33] Vedi i disegni tardi di Ninfe, Venezia, Gallerie dell’Accademia, N 258r.

[34] Pedretti 2008, p. 487. Amoretti nel 1804 afferma che erano ancora visibili, in casa dei Melzi, di mano di Leonardo: Alcuni disegni in grande di donne e divinità ignude, come di Proserpina rapita da Plutone, di Ninfa che medica Satiro, di Giovinetta in braccio a un Vecchio [che] possedeva il marchese questore Melzi, che per iscrupolo dielle al curato di S. Bartolomeo acciò le bruciasse, e questi n’eseguì troppo scrupolosamente la volontà. La giovinetta e il vecchio potevano essere Aristotele e Fillide? Leonardo tratta questo tema in un disegno oggi ad Amburgo.

[35] Codice Atlantico, c. 541v.

[36] Vedi Brizio 1952 e da ultimo Pedretti 2006.

[37] Ms B dell’Anatomia, c. 13v.

[38] Windsor 19001r.

[39] Windsor 19084r. Leonardo stesso elenca inoltre, al terzo posto fra i suoi 116 libri, la Bibbia (Ms Madrid II, c. 2v).


Bibliografia
Bossi Giuseppe, Scritti sulle arti [1810], a cura di Ciardi Roberto Paolo, Firenze, 1982.
Brizio Anna Maria, Rassegna degli studi vinciani, s. l., 1968.
Freud Sigmund, Il Mosè di Michelangelo [1914], in: Psicoanalisi dell’arte e della letteratura, Roma, 1997.
Freud Sigmund, Leonardo [1910], Torino, 2003.
Merežkovskij Dmitri, La resurrezione degli dèi: Leonardo da Vinci, 1902.
Pedretti Carlo, Io e Leonardo, Milano, 2008

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