Narrativa recensioni

1657 L’anno della peste – Roberto Palumbo

Trama Genova, anno 1657. Il medico Piero Argentieri entra in città pochi giorni prima dell’epidemia di peste che avrebbe ucciso più della metà dei suoi abitanti. Non può scappare. Non può nascondersi. Non può far altro che subire passivamente gli stati d’animo derivanti da una situazione apocalittica. Ma, oltre a dolore, rabbia, sgomento e tradimenti, la peste gli indica anche la via dell’amore, della solidarietà e della speranza che non tutto finisca. Recensione a cura di Maria Marques Raramente un libro ha colpito tanto la mia immaginazione da costringermi a chiuderne le pagine per guardarmi intorno e accertarmi che la città che scorreva davanti ai miei occhi fosse la stessa descritta dall’autore, silenziosa e coperta da una cappa di morte. Le cause delle peste oggi sono note: “la peste è una malattia infettiva, il cui bacino è costituto da varie specie di roditori il cui unico vettore è la pulce dei ratti”. Siamo però in grado di comprendere effettivamente cosa significasse per una città caderne preda e raccontarne l’orrore? Roberto Palumbo, autore del libro, vi riesce in modo eccellente, accompagnando il lettore, in una realtà che la nostra mente rifugge. Il libro si snoda su due piani narrativi che s’intersecano e si amalgamano in modo perfetto: quello storico, basato sugli studi negli archivi, nelle cronache cittadine e quello di fantasia, creando un personaggio che si muove in quel periodo drammatico per la città. Genova fu colpita dalla peste durante l’estate del 1656, poi con l’arrivo dell’inverno, particolarmente rigido, l’epidemia iniziò a calare progressivamente e sembrò debellata tanto che la vita cittadina riprese. Con l’innalzamento delle temperature durante la primavera del 1657, la peste ritornò a mietere vittime:
…addirittura alcuni studiosi contemporanei hanno supposto che la peste da bubbonica si fosse trasformata nella più micidiale forma setticemica,la quale aveva innalzato il tasso di mortalità nell’ordine del novanta per cento nelle ventiquattro-quarantotto ore successive alla contaminazione.
Nel periodo preso in esame dal romanzo, Genova è una città viva, un porto fiorente, una repubblica ancora indipendente anche se in declino, un crocevia di merci, d’imbarcazioni, di lingue e di persone. Piero Argentieri, il protagonista della vicenda è un uomo istruito, un dottore, che si troverà a combattere una battaglia impossibile, una battaglia che lo segnerà profondamente, una battaglia che travolgerà le sue regole morali e che lo porterà a rivolgere domande ad altri per scoprire infine che le risposte sono dentro di noi. Quando si troverà di fronte al primo caso di peste, il pensiero di Piero Argentieri correrà a un vecchio motto medico: Cito, longe, tarde ovvero “ fuggi presto, lontano e torna più tardi che puoi.” Motto che dice già tutto, condensandolo in modo drammatico. Il governo della repubblica di Genova non era impreparato all’arrivo della pestilenza, anche perché Napoli era stata colpita nello stesso anno, tutti gli stati italiani erano in allarme, perciò si misero in atto gli accorgimenti possibili per limitare il diffondersi del morbo, incluso anche il minimizzare l’entità del contagio. Quando una città infatti era colpita dalla peste, l’intera comunità internazionale chiudeva ogni rapporto con essa, nella fattispecie significava la perdita di tutte le attività commerciali che erano una delle fonti di sostentamento dello stato.
Vedete quelli?- continuò Sebastiano (il medico consultore della pubblica sanità) – indicando dei fogli appoggiati sulla scrivania… Sono tutte segnalazioni di medici che hanno diagnosticato i sintomi della peste in questi ultimi tre giorni. Abbiamo il sospetto che la peste sia arrivata con tre piccoli vascelli provenienti da zone infette del napoletano che hanno sbarcato merci e stracci di contrabbando tra Sturla e Capo Santa Chiara…Abbiamo immediatamente emesso delle gride con cui venivano invitati tutti i cittadini che avevano acquistato la merce sospetta a dichiarare dove l’avevano nascosta, con la garanzia di non ricevere nessun castigo e che anzi, per ogni capo bruciato, sarebbe stato rimborsato il denaro dell’acquisto.
Il percorso umano di Piero Argentieri diventa quindi il mezzo con cui svelare i tentativi messi in atto da parte degli organi amministrativi di arginare l’epidemia, di mantenere il polso della situazione, di far sentire che il governo non sarebbe mai venuto meno nonostante il personale non fosse immune dal contagio,sino alla disperazione di dover ammettere:
Non arrivano più navi. In città comincia a scarseggiare tutto;mancano i grani,muoiono i mugnai e panettieri. Se continua così,chi non muore di peste morirà di fame!
Per far fronte alla necessità della fame che avrebbe generato anche problemi di ordine sociale, non furono sufficienti i prestiti che il governo chiese al Banco di San Giorgio, intervenne la nobiltà cittadina generosamente, non solo con le proprie finanze ma anche in molti casi con la propria vita, cercando di alleviare le sofferenze dei concittadini, perché alla fine la peste è una grande livellatrice sociale: i forzati alle galere e i galeotti vennero liberati e trasformati in beccamorti muovendosi accanto a gente del popolo e della nobiltà in un ultimo, disperato, tentativo di liberare la città dal morbo e mantenere l’ordine pubblico. La peste diventa anche il pretesto per addentrarsi nell’animo umano, di chi si trova coinvolto in una condizione in cui non sa se vedrà il domani. Il protagonista seguirà, trascinato dagli eventi, questa parabola, cercando di capire se farsi coinvolgere dai sensi, vivendo giorno dopo giorno come in una macabra festa, banchettando mentre i cadaveri giacciono insepolti lungo le strade, oppure fare appello a quello che è nascosto profondamente nel nostro io, scoprirlo insieme alla paura, al desiderio di vivere e sopravvivere a tutto ciò che  si vede e ci circonda, e mettersi al servizio di un bene comune anche a rischio della propria vita. E’ la stessa coscienza che impone ,a chi lo sente, le regole di comportamento uguali per tutti, medici, nobili, doge, che potrebbero fuggire al riparo nelle loro residenze nelle valli, parroci, gente comune di non abbandonare la speranza e di cooperare per aiutarsi nell’emergenza, perché esiste un rigore, delle leggi non scritte, ma marchiate a forza nel nostro essere. Roberto Palumbo racconta la storia della mia città, Genova, che è anche la storia di molte altre città colpite dallo stesso morbo, dimostrando un’approfondita conoscenza storica del periodo e con un linguaggio sobrio ma che evoca prepotentemente immagini sconvolgenti, catturando il lettore pagina dopo pagina in un crescendo che sembra non avere mai fine,intrecciando fantasia e realtà con grande equilibrio e regalandoci un protagonista che non è un eroe,ma semplicemente un uomo, con le sue paure, i suoi dubbi ed il suo infaticabile attaccamento alla vita.   Copertina flessibile: 336 pagine Editore: Arpeggio Libero; 1 edizione (2 gennaio 2018) Collana: Arpeggio Libero Lingua: Italiano ISBN-10: 8899355894 ISBN-13: 978-8899355890 Link d’acquisto: 1657 L’anno della peste
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