Curiosità Viaggio nella storia

Mediche o streghe? – Prima parte

A cura di Giancarla Erba La civiltà umana si è messa in moto migliaia di secoli fa, conquistando pian piano quella conoscenza che ci ha portato a dove siamo oggi. Per quanto riguarda la medicina sappiamo che le popolazioni antiche avevano una concezione magica dell’infermità e accanto alle numerose conoscenze pratiche, vi erano delle specifiche formule apotropaiche da utilizzare, dato che sia la malattia che la cura erano determinate dalla benevolenza o meno delle divinità. Ecco perché se confrontiamo i comportamenti per esempio delle tribù africane con quelli delle popolazioni europee notiamo come non vi siano sostanziali differenze.

La cura medica consisteva nell’utilizzare piante medicinali, incanti e formule che servivano per placare l’ira degli Dei.  In questa fase, le donne occupavano un posto di rilievo nell’ambito delle cure mediche e un’arte che era riservata esclusivamente a loro è sicuramente stata l’ostetricia: i parti erano di competenza esclusiva del femminino e legate a questa attività ci sono tutta una serie di competenze che hanno aiutato a migliorare le conoscenze mediche.

Le antiche guaritrici dell’arcipelago delle Fiji per esempio, erano in grado di eseguire manovre difficoltose come far girare il feto podalico, queste donne tenevano le loro conoscenze segrete fino a quando, prima di abbandonare il loro lavoro, istruivano un’altra curatrice. Quindi prima della nascita di una medicina scientifica e razionale avevano già scoperto i segreti dell’ostetricia; le pratiche legate al parto si affiancavano alle tecniche di assistenza ginecologica e da qui ad occuparsi in generale della cura dei malati, il passo è veramente breve.

Oggi sappiamo che in moltissime culture antiche, il ruolo di guaritore non era appannaggio esclusivo degli uomini, ma che le donne spesso giocavano un ruolo importante, quando non fondamentale, nella gestione della malattia.

I nomi che ci sono giunti dai tempi più remoti e riferiti a donne guaritrici sono diversi come le egiziane MERIT PTHA, che il figlio sacerdote definiva “sommo medico” e PESESHET, ostetrica e supervisore delle sue colleghe. La stessa Elena di Troia pare che abbia studiato medicina in Egitto presso Polidamna, medica famosa e apprezzata per le sue abilità.

Anche il mondo greco ci restituisce alcune figure femminili, nonostante fosse una civiltà non propriamente femminista, nell’Iliade incontriamo  Agamede, figlia del re degli Epei, che assiste i feriti sul campo di battaglia nella piana di Troia e non è un’infermiera improvvisata, ma un vero e proprio medico «che conosceva tutti i rimedi, quanti la terra vasta produce» (Il. XI,740- 741);  in Gallia, tra le popolazioni celtiche vi erano delle donne che esercitavano la medicina; vi sono diverse iscrizioni, lapidi e citazioni di storici che ci dicono che nella casta druidica dei Vati trovavano posto anche delle donne: un esempio su tutti le Gallisenae, sacerdotesse che vivevano su un’isola francese, Sena, e si occupavano di religione, di astronomia e di medicina che ci vengono descritte dallo storico Pomponio Mela nel I° sec. d.C.   

Nel mondo romano la questione delle donne medico è abbastanza complessa soprattutto per la moltitudine di locuzioni usate per le varie specializzazioni e anche per l’iniziale diffidenza che i Romani riservavano a coloro che si definivano medici. Ma anche a Roma troviamo diverse attestazioni riferite a donne medico: Plinio nella sua Storia Naturale ne cita alcune ma sono soprattutto le iscrizioni tombali che restituiscono molte informazioni. Un’interessante epigrafe incisa su due cippi gemelli datati seconda metà del I° sec. a.C. in cui una certa Naevia Clara, moglie di un medicus chirurg(us), del quale era appunto moglie o forse  liberta, viene definita medica philolog(a), indicazione che sta a significare una maggiore e profonda conoscenza teorica della materia.  In Vaticano si trova una tavola di marmo che porta la seguente iscrizione:

 

VALERIAE BEREGVNDAE. lATROMEAE

REGIONIS SVAE PRIMAE. AV. AVN.

VIII. D. XXVII. VALERIA BITALIS

FILIA. MATRI. DVLCISSIMAE

ET P. GELLIVS. BITALIS

CONIVGl SANGTISSIMAE-1

1-“A Valeria Verecunda, iatromaia la prima nel suo paese, migliore madre e la più santa sposa, abbiamo eretto questo monumento, il suo sposo P. Gellius e sua figlia Valeria”  

Valeria doveva essere davvero molto in gamba per essere definita “la prima nel suo paese”. Tutto il mondo antico ci ha lasciato testimonianze di donne che esercitavano la medicina e di alcune, come Metrodora di Costantinopoli, sono giunti anche degli scritti, ricette curative ed estetiche per le donne e non solo. Le donne sono presenti anche nel mondo alchemico, scienza che si sviluppa negli ipogei di Tebe e che sarà determinante per la nascita della chimica moderna. Donne come Maria l’Ebrea e Cleopatra (che non è la regina), copriranno ruoli determinanti e apriranno un canale rigoglioso sugli studi futuri, signore  come Isabella Cortese e Marie Merdruac, completamente dimenticate ma che hanno lasciato delle opere significative; la prima, misteriosissima tanto che non rese mai nota la sua vera identità, scrisse un trattato chiamato “I Secreti de’ la signora Isabella Cortese”, testo che vanta fino a diciassette riedizioni e citato ne “Le dodici chiavi della filosofia” dell’alchimista Basilio. Nel 1656 vede la luce  il testo “La chimica caritatevole e facile in favor delle Dame” di Marie Merdruac, un vero e proprio testo accademico per spiegare la chimica alchemica a chi non aveva le basi.

Parlando della medicina nel  mondo antico e delle donne che hanno lasciato una traccia in ambito medico, è impossibile ignorare tutta la parte mistico-sacrale che permeava queste società. Nella religioni antiche si veneravano molte divinità femminili, numerose legate alla cura e ai culti dei pozzi e delle fonti. Per esempio Sequana, una dea gallica di guarigione dà il nome alla Senna; la stessa Iside in Egitto era colei che aveva svelato i segreti delle erbe curative, e  la dea veneta Reitia era legata alla cura delle malattie. In America, in Africa e in Giappone molte donne erano sacerdotesse di divinità femminili e praticavano la magia, la guarigione e lo sviluppo delle arti. A Roma le Vestali custodivano il fuoco del tempio di Vesta da cui prendevano il nome.

Se la cura della malattia, quando non svolta in ambito famigliare, era affidata a sacerdoti e/o sacerdotesse, impossibile ignorare che vi erano, fin dai tempi più antichi, anche donne che erano considerate portatrici di malvagità e anche  allora venivano definite “streghe”, termine antichissimo per indicare persone cattive. Presso i Celti e i Romani erano in uso le cosidette “tavolette di defixio” (maledizione) che servivano proprio per maledire le persone. Ecco un esempio di una tavoletta gallica che riporta questa scritta: “Invia l’incantesimo di queste donne (le scriventi) contro i nomi qui sotto; questo è l’incantesimo della strega per incantare delle streghe. O Adsagsona (divinità femminile), guarda due volte Severa Tertionica, loro strega della parola e della scrittura, che ella abbandoni colui che loro hanno colpito con la defizio; con un sortilegio contro i loro nomi, effettua l’incantesimo del gruppo qui sotto (segue una dozzina di nomi femminili), che queste donne, stregate, siano attraverso di te ridotte all’impotenza…”

A partire dal Medioevo e con l’avvento del Cristianesimo, nel mondo tutto cambia in maniera repentina e decisamente peggiorativa per le donne: le loro divinità vengono cancellate, il loro ruolo ridimensionato  a quello di serva e generatrice di figli; lo status sacerdotale era necessario per esercitare la professione medica e coloro che non erano ecclesiastici dovevano comunque prestare professione di fede. ..e dovevano essere uomini.

Nonostante ciò e a dispetto di ciò che succederà nei secoli seguenti con la caccia alle donne che si occupavano di guarigione, alcune di loro riuscirono a ritagliarsi un ruolo nel mondo medico, quelle che correvano meno rischi di denuncia di eresia erano sicuramente le monache, per esempio la regina Radegonda di Poitiers, sposata con la forza a Clodoveo nel 536, appena le fu possibile, con uno stratagemma rinunciò al suo ruolo e scelse l’abito talare per aiutare i malati.  Ildegarda di Bingen è una luce brillante nel panorama medico e  culturale dell’epoca: guaritrice, musicista, teologa, scienziata e molto altro, aiutò molta povera gente, mettendo in ogni circostanza sempre in gioco se stessa: osteggiata dai frati del vicino convento di Disibodenberg, sfiorò l’eresia e subì l’interdetto del suo convento per futili motivi; ma l’incontro con Bernardo di Chiaravalle la mise per sempre al riparo da accuse e indagini di qualsiasi tipo.     
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