Interviste TSD

L’intervista di TSD – Gabriele Dolzadelli

Buongiorno Gabriele, grazie per essere qui con noi e per il tempo che ci dedicherai Grazie a voi per questo spazio concessomi. Qual è stato il primo libro che ricordi di aver letto e quale ha dato l’impronta più forte per il tuo stile di scrittura? Il primo libro vero e proprio che mi capitò fra le mani, dopo i classici fumetti e la serie “Piccoli Brividi” fu il romanzo di Michael Crichton: Jurassik Park. Lo comprai in una libreria di Riccione, da ragazzino, durante le vacanze estive. Ricordo che fui attratto dalla copertina e dal fatto di aver già goduto precedentemente della visione del’omonimo film. Da quel momento, Crichton è diventato il mio autore preferito e mi sono divorato tutti i suoi capolavori, come Time Line, Congo, Sfera ecc… Li chiamavo romanzi “survivor”, perché lo scrittore aveva l’abitudine di prendere una manciata di personaggi, metterli in una situazione di pericolo e sfoltirli lungo lo svolgersi della trama, fino alla sopravvivenza di pochi di loro. Non credo che Crichton mi abbia influenzato nel modo di scrivere ma, sicuramente, il fatto che nella saga Jolly Roger ci siano diversi protagonisti, di cui molti incontrano un infausto destino, vorrà dire qualcosa. Di quale periodo storico vorresti essere spettatore e perché? Sarò scontato, ma è senza dubbio il periodo piratesco, così da poter vedere con i miei occhi la vita e le gesta di tanti nomi che hanno ispirato leggende, film e opere di vario genere, quali: Calico Jack, Francise Drake, Henry Morgan, Barbanera e molti altri. Quanto conta essere assolutamente originali, secondo te? Credo che dal punto di vista delle vendite e del successo a “corta gittata” non sia qualcosa di importante, in quanto nel panorama editoriale vediamo numerose opere, che ricalcano una minestra già riscaldata o uno schema già collaudato, che riescono ad affermarsi e ad avere una certa notorietà. Basti pensare alle classiche sequenze narrative degli young adult o dei distopici degli ultimi anni. A volte il pubblico richiede questo, di essere rassicurato con qualcosa che non si discosta troppo dalle proprie aspettative. Al contempo, però, credo che se si vuole creare qualcosa che lasci un segno più duraturo e che appaghi maggiormente la propria creatività, l’originalità è indispensabile e può garantire una qualità ancor più alta del proprio prodotto. Quanto conta per te l’immedesimazione dello scrittore con i personaggi delle sue storie? E se conta, è sempre solo con il protagonista o anche con i comprimari? Sono convinto che conta e che riguarda ogni singolo personaggio della propria storia. Lo scrittore non è qualcosa di separato dall’opera. Ne è parte integrante, come se fosse un attore che cambia costantemente i propri abiti per interpretare ognuno dei protagonisti e delle comparse. Conoscerli a fondo, entrare in sintonia e in empatia con ogni persona che viene creata su carta è qualcosa di indispensabile per poter scrivere dialoghi realistici, motivazioni credibili e sentimenti che il lettore possa chiaramente percepire rimanendone coinvolto. Se lo scrittore non riesce a immedesimarsi in un personaggio, allora la storia risulterà finta e non riuscirà a farlo nemmeno chi legge. Consigliaci un bel libro storico da leggere, e invoglia anche noi a farlo. Libri storici che mi sono rimasti nel cuore sono: “Alexandros”, di Manfredi e “I pilastri della terra”, di Ken Follett”, ma sicuramente i membri di TSD li conoscono già molto bene. Se devo consigliare due libri di questo genere consiglierei, piuttosto, “I sette calici dell’eresia” di C.J.Sansom, molto bello, e in particolare, per chi ancora non vi si è approcciato, “La linea d’ombra” di J.Conrad. Quest’ultimo non è solamente un breve romanzo che riguarda una traversata in nave, ma una storia che parla dell’approccio di un giovane alle responsabilità della vita e al mutamento che avviene in ognuno di noi quando prendiamo le redini di una situazione di cui, prima, eravamo totalmente in balia. L’ho trovata una storia incredibilmente affascinante e profonda, ben illustrata da una canzone di Jovanotti di vent’anni fa (1997) che ha lo stesso titolo e di cui consiglio assolutamente l’ascolto.   Raccontaci il dopo: una volta che il libro è stato pubblicato, cosa succede? Si potrebbe riassumere in una parola sola: ansia. Si spera che tutto il duro lavoro e gli investimenti compiuti (soprattutto quando si è autori self) possano raggiungere la meta prefissa: toccare il cuore del lettore. Per questo ogni singola recensione o parola d’apprezzamento è sempre gradita a uno scrittore, perché lo appaga e ricompensa di tutti i suoi sforzi. Oltre a questo aspetto emotivo, comunque, c’è anche un lavoro di promozione notevole, sia attraverso i social che attraverso la propria rete di contatti, tra blogger, booktubers e gestori di spazi virtuali. In più c’è anche la scrittura, nel frattempo, dell’opera successiva, perché non ci si ferma mai. Tanti personaggi e tante storie nei tuoi libri. Tra i personaggi della saga Jolly Roger compaiono olandesi, spagnoli, francesi, inglesi e scozzesi. Ti sei ispirato a qualche libro in particolare o a qualche opera che hai letto per dosare la gestione dei personaggi e delle relative storie? ti sei ispirato a figure realmente esistite? Nella gestione vera e propria direi di no, in quanto la trama di Jolly Roger viene raccontata e svelata attraverso un narratore esterno e non con dei veri e propri POV, come spesso avviene nei romanzi corali in circolazione. Direi piuttosto che l’idea di avere tanti protagonisti si era insinuata in me a causa del mio romanzo preferito, che è: “Dieci piccoli indiani” di Agatha Christie. In quel romanzo si hanno dieci personaggi che si relazionano fra loro nel corso dell’intera trama e che non vengono etichettati in categorie dogmatiche quali il “bene” e il “male”, ma vengono lasciati vagare in una zona grigia dove è il lettore stesso a giudicarli sulla base delle loro azioni, pensieri e parole. Era un aspetto che mi aveva sempre affascinato e che mi aveva sempre fatto pensare alla potenza che poteva avere un racconto di questo tipo, dove non esistono categorie ben definite di persone e in cui tutti, allo stesso modo, possono alimentare l’imprevedibilità della storia, correndo gli stessi rischi e pericoli in egual misura (di cui insegna molto, sotto questo aspetto, George Martin con “Le cronache del ghiaccio e del fuoco”). A questa idea iniziale, si aggiunse anche quella di sperimentare i flash-back per ogni protagonista, svelando il suo passato, che mi venne grazie alla serie televisiva “Lost”, dove venne effettuata egregiamente dal punto di vista visivo e che mi fece chiedere a me stesso: “sarà possibile ottenere lo stesso risultato su carta, dando profondità a tutti i componenti della storia corale che ho in mente?” Ai lettori la sentenza. In merito alle figure realmente esistite, invece, posso dirti di aver utilizzato tre personaggi storici all’interno della trama, quali: il pirata noto come l’Olonese (nel quarto volume), il governatore della Giamaica, Thomas Modyford (nel quarto e nel quinto) e il corsaro Henry Morgan (nel quinto). Come nasce l’idea di questa saga? Ma soprattutto: hai seguito la penna o avevi già tutto in mente prima di scrivere questa storia avvincente? L’idea da cui nacque era quella di un thriller che avesse le caratteristiche prima esposte. Ero partito scrivendo un romanzo ad ambientazione moderna ma poi lo misi da parte (ma non lo abbandonai). Cercai di riflettere su quale potesse essere la collocazione temporale migliore e visto che in passato, ai tempi della scuola, avevo sperimentato alcuni giochi di ruolo ad ambientazione piratesca, cominciai a gettare le basi di una storia collocata alla fine del 1600 nel Mar dei Caraibi. L’idea cominciò a svilupparsi, mi documentai e studiai i dettagli e man mano che gli intrecci narrativi prendevano forma, mi resi conto di come la scelta era stata ottima, poiché ben si prestava ai requisiti che avevo in mente. Con il tempo, ne uscì una storia molto corposa, composta da diverse trame secondarie unite da un filone principale. Avevo già in mente dove far arrivare lil tutto, ma vista l’ampiezza dell’universo narrativo con cui avevo a che fare, alcuni cambiamenti in corso d’opera e l’inserimento di personaggi ideati durante la stesura, molte cose cambiarono, rendendomi comunque appagato del risultato finale, soprattutto ora che posso guardarmi indietro, alla soglia del quinto e ultimo volume. Grazie mille Gabriele per averci dedicato il tuo tempo in questa intervista per T.S.D e alle prossima! Biografia:
Sono un ragazzo valchiavennasco di 28 anni (classe 1988) e vivo a Chiavenna (SO) con mia moglie Natalie, con cui sono sposato dal 2012. Nel 2007 mi sono diplomato presso l’istituto tecnico (ITCG) Leonardo da Vinci e dopo diversi lavori ho intrapreso nel 2011 quello di panettiere, che attualmente svolgo ancora presso un’azienda locale. Nel 2014 ho autopubblicato il mio romanzo d’esordio, “La terra di nessuno”, primo volume della saga “Jolly Roger”, per poi pubblicarne altri tre: “Le chiavi dello scrigno” (2015) ,”I fratelli della costa” (2016) e “La torre del ribelle” (2017). Sono anche fondatore del gruppo Facebook “Self Publishing Italia” (SPI) che mira ad aiutare altri autori indipendenti attraverso una comunità di scambio di consigli, esperienze e servizi.
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