Articolo a cura di Raffaelina Di Palma
Il 2 luglio 1961 uno dei più grandi scrittori del Novecento, si toglieva la vita con un colpo di fucile.
“La vita di un uomo finisce nello stesso modo. Sono i particolari del modo in cui è vissuto e in cui è morto che differenziano un uomo dall’altro.” Così scrisse, Ernest Hemingway, autore di molte opere di straordinaria importanza, tali da segnare una tappa fondamentale nella letteratura americana e mondiale. Uno scrittore che diede una grande svolta al mondo letterario del XX secolo.
È un po’ difficile che Hemingway possa essere simpatico o in qualche modo entusiasmare il cuore dei giovani.

Forse anche la scuola non lo fa amare appieno o forse non si è mai preparati per guardare la morte così da vicino, come faceva lui. Il modo in cui viene presentato è tutto pesca e fucili, caccia grossa e guerre: quel coraggio esasperante, ambito e citato dallo stesso scrittore in quella sfida continua nel raffronto con la vita. Quei viaggi da una parte all’altra del mondo lo facevano sentire forte, non temeva nulla. Hemingway che va al fronte, Hemingway che rievoca le esperienze vissute, di sangue, di nemici, di passione per le donne, Hemingway il sigaro e le bollicine dello champagne, Hemingway e la fame dei vent’anni a Parigi. La ricchezza e la celebrità da adulto e poi avere nostalgia per quel periodo da povero.
Nacque il 21 luglio 1899 a Oak Park. Secondogenito di Clarence Edmonds, medico di famiglia e di Grace Hall ex aspirante d’opera lirica. A un anno di vita fu portato in una casa estiva nel Michigan vicina a un lago. Si abituò quindi presto all’aria aperta e a vivere a contatto con la natura.
Fin da piccolo amava sentir raccontare storie, particolarmente di animali e gli piaceva dare nomignoli alla persone che gli stavano vicine. Aveva quattro anni quando venne iscritto alla scuola d’infanzia e, nel contempo, inserito in un circolo naturalista diretto dal padre. Fu in quel periodo che imparò a riconoscere gli animali e le erbe.
Oltre a ciò, il padre lo conduceva spesso con sé quando andava a visitare i suoi pazienti nella riserva indiana: molti ricordi di quel periodo si possono leggere nei suoi romanzi; quelle esperienze rafforzarono nel ragazzo l’amore per la natura, per la pesca e soprattutto per l’avventura.
Dopo aver frequentato senza grande entusiasmo la scuola elementare, fu iscritto alla “Municipal High School”dove ebbe la fortuna di conoscere due insegnanti che, avendo capito le innate capacità del ragazzo per le lettere, lo incoraggiarono a scrivere. Ebbero così origine i primi racconti e i primi articoli di cronaca.
Ottenuto il diploma, rifiutò di iscriversi all’università come avrebbe desiderato suo padre e di studiare il violoncello come voleva sua madre. Per ribadire la sua indipendenza si trasferì a Kansas City, dove iniziò il lavoro come cronista del quotidiano locale, il “Kansas City Star,” dove si distinse per il linguaggio evoluto, veloce e concreto.

Prima Guerra Mondiale. Quando gli Stati Uniti d’America entrarono in guerra, Hemingway, lasciò il lavoro e si arruolò come volontario per andare a combattere in Europa con il corpo di spedizione statunitense del generale Pershing, come già stavano facendo molti giovani aspiranti scrittori che provenivano dalle università, tra i quali John Dos Passos, William Faulkner, Francis Scott Fitzgerald.
Escluso dai reparti combattenti a causa di un difetto alla vista, fu arruolato nei servizi di autoambulanza come autista dell’ARC (American Red Cross, la sezione statunitense della Croce Rossa) stabiliti al fronte italiano nella città di Schio (sotto il monte Pasubio). Dopo due settimane di addestramento e, dopo qualche giorno passato a New York, il 23 maggio 1918 si imbarcò sulla nave Chicago diretto a Bordeaux, dove sbarcò il 29 maggio. Da Parigi proseguì in treno per Milano, dove rimase alcuni giorni prestando soccorso nella zona di Bollate e, dove proprio in quei giorni, era saltata in aria una fabbrica di munizioni che aveva procurato molte vittime e feriti.
Ma il giovane Hemingway vuole assistere alla guerra più da vicino e fa domanda per essere trasferito. Fu mandato sulla riva del Basso Piave, come assistente di trincea con il compito di distribuire generi di conforto ai soldati, recandosi nelle prime linee in bicicletta. Una notte di luglio mentre portava un ferito in spalla al posto di medicazione, fu colpito gravemente dalle schegge dell’esplosione di una bombarda austriaca. Dopo i primi soccorsi fu trasferito a Milano dove dovette essere operato.

Lo scrittore descrisse questa esperienza nel capolavoro di “Addio alle armi.” La sua penna scrive e descrive la realtà in maniera viva portando con sé i segni della Prima Guerra Mondiale: puntò, per tutta la sua vita di scrittore al vero, come lui stesso diceva: “scrivi la frase più vera che conosci. Scrivere una sola frase vera.”
Un Hemingway che, inviato come giornalista alla conferenza di pace di Losanna del 1922, intervistando Mussolini, lo caratterizzò con una definizione lucida e vera, “il più grande bluff d’Europa.”
Con “Il vecchio e il mare”, “Addio alle armi” e “Per chi suona la campana” Hemingwey ha creato il mito di se stesso: i suoi eroi sono sempre pronti a sfidare la morte, ma vengono sconfitti a loro volta da se stessi, li ritroviamo ogni volta a sfidare quell’oscurità; protetti da quell’unica forza che si chiama amore.
Il modo di Hemingwey è quello di celare al lettore il più possibile per far sì che possa arrivare da solo al nucleo del tema della narrazione, come accade in “Colline come elefanti bianchi,” un racconto dove il dialogo tra un uomo e una donna sul futuro, sulla speranza, sul passato e sulla morte non è altro che la narrazione di un aborto.
La Prima Guerra Mondiale, un evento che per gli intellettuali diventò il cedimento della civiltà, dei suoi valori e ideali.
Lo scrittore / giornalista espose la violenza della guerra, i danni morali, fisici e sociali che la morte di migliaia di persone portava al graduale disorientamento verso la fede, verso quegli ideali che avevano motivato molti uomini ad arruolarsi e a combattere. A mano a mano che la guerra andava avanti, pur continuando a fare il loro dovere, i soldati, prendevano coscienza della realtà che li circondava, che li faceva diventare cinici.

Anche il protagonista di “Addio alle armi” Henry Frederic si nutre di nobili ideali quando si arruola, ma finisce col perdere la fede nella chiesa, nel patriottismo, nella politica e nell’amore.
Il tema principale dei romanzi di Ernest Hemingway è appunto l’amore. L’amore raccontato come unica difesa contro la brutalità delle guerre e anche della vita, ma è solo un riparo temporaneo contro i danni fisici ed emotivi che i conflitti provocano.
La violenza delle armi, della vita militare e dei suoi assurdi valori: facendo riferimento all’addio di Frederic alle braccia della donna che ama perché ormai morta. Sa che ci saranno sempre la violenza e la morte nella vita degli uomini, ma egli non smetterà mai di lottare contro di esse. È questo il tema profondo che percorre tutta la sua opera.
Curiosità
Nel 1953 gli fu assegnato il Premio Pulitzer per la narrativa e nel 1954 il Premio Nobel per la letteratura per il romanzo “Il vecchio e il mare.”

Quando Hemingway scriveva, annotava i suoi progressi quotidiani su un cartone appeso al muro in cui segnava le parole che aveva scritto quel giorno: in media tra le 450 e le 512. Se ne scriveva di più lo considerava extra e questo gli consentiva il giorno dopo di svagarsi senza sentirsi in colpa.
Hemingway paragonava la sua tecnica narrativa a un iceberg di cui vediamo solo una parte mentre il resto è nascosto, così nei suoi scritti ogni elemento esplicito e visibile nasconde qualcosa di non visibile. Questa tecnica fu veramente rivoluzionaria, influenzò gli scrittori del suo tempo e delle generazioni future.
Nel 1936, allo scoppio della guerra civile spagnola, lo scrittore partì per Madrid, dove lavorò come corrispondente di guerra. Questa esperienza gli fornì l’ispirazione per il romanzo “Per chi suona la campana.”