Narrativa recensioni

Mandorle amare. La saga dei Conforti – Valentina Cebeni

Recensione a cura di Laura Pitzalis

Adoro le saghe familiari perché ho l’impressione leggendole di guardare una fotografia e poi un’altra, e un’altra ancora, fintanto che entrano in scena tutti i personaggi della narrazione, tutti con un proprio ruolo, un proprio carattere e un proprio percorso di vita. Non solo, vieni immerso in un contesto storico e geografico in cui si manifestano le dinamiche familiari perché famiglia è anche cultura, religione, convenzioni sociali, tradizioni inculcate che si scontrano con le nuove mode.

Ecco, Mandorle amare: la saga dei Conforti di Valentina Cebeni, Sperling & Kupfer editore, è una saga familiare perché risponde perfettamente a tutti i requisiti per esserlo ma definirla solo saga è riduttivo perché è un romanzo molto ricco con tanti spunti sorprendenti.

Un romanzo che racconta la storia di una famiglia medio borghese italiana, i Conforti, che possiedono una confetteria, cioè producono i confetti, simbolo di momenti felici: nascite, matrimoni, lauree. iI cuore di questi deliziosi bonbon è la mandorla che può essere dolcissima oppure amara come la storia del romanzo che racconta di ricostruzione, futuro, speranza,(mandorla dolce), ma anche di malintesi, omissioni, cuori spezzati, rancori, silenzi, (mandorle amare).

Achille e Cecilia Conforti con il piccolo Ettore si ritrovano alla fine della Seconda guerra mondiale a Roma e decidono di rimettere in piedi quella che è l’impresa di famiglia, la storica confetteria Conforti fondata dal nonno di Achille, pesantemente danneggiata dai bombardamenti.

Novembre 1946 – […] Achille, immobile e muto di fronte a quello che rimaneva della porta sprangata della vecchia Confetteria Conforti; della palazzina umbertina con il portone intarsiato da un noto artista piacentino del secolo scorso, l’orgoglio di suo nonno, rimanevano solo le pareti annerite dal fuoco delle bombe alleate e un paio di assi di legno marcio tenute insieme da qualche chiodo e una serratura erosa dalla ruggine, nient’altro …

Non saranno soli in questa impresa, a dare una mano ci sarà un amico di Achille, Carlo Russo, conosciuto durante gli anni della guerra che diventerà di fatto il suo braccio destro, e sua moglie Rosa.

Le due famiglie intrecceranno un legame molto saldo e forte al punto che si ritrovano a condividere lo stesso pianerottolo e i loro figli, Ettore e Paride di Achille e Cecilia, Rebecca di Carlo e Rosa, crescono insieme inizialmente come fratelli, poi, a mano a mano che passano gli anni, il legame fraterno, familiare, si trasforma in qualcosa di diverso dando inizio a  gelosie, difficoltà, incomprensioni.

La prima cosa che mi ha colpito leggendo il romanzo è stato il nome dei protagonisti: singolare la scelta dell’autrice nel dare, alla maggior parte di loro, nomi che evocano l’opera omerica, Achille, Ettore, Paride, Elena o la tradizione biblica, Rebecca. Scelta che ho trovato molto originale in un romanzo abbastanza “affollato”, con personaggi ben descritti e variegati, ognuno meravigliosamente caratterizzato da riuscire a farsi amare o detestare con un’intensità incredibile.

Tra tutti loro quello che ho preferito in assoluto è una “quella”, Cecilia, il “deus ex machina” della situazione, moglie di Achille e madre di Ettore e Paride.

È un personaggio molto particolare perché pur avendo un’età che farebbe pensare ad un atteggiamento un po’ più conservatore è una donna estremamente emancipata, che affronta i cambiamenti del periodo senza paura anzi abbracciandoli. È un po’ la mamma di tutti, dolce, empatica ma anche determinata nel far valere i suoi diritti imponendosi con fermezza ma sempre con garbo e mai scortese o villana.

Achille, invece, è quello che, in un certo senso, mi ha intenerito di più per il suo imporsi in modo un po’ maldestro, facendolo malamente ma sempre pensando di fare la cosa giusta per tutti.

Convinto che la sua vita deve essere uguale in tutto e per tutto a quella dei suoi genitori, non capisce che i tempi sono cambiati e che non può vivere nel futuro ricreando un passato che non esiste più.

Però sa riflettere, sa tornare nei suoi passi e lo fa non per salvare la quiete familiare ma perché si accorge di aver agito male. Cosa non certo comune negli uomini dell’epoca.

Ettore e Paride sebbene siano uniti da un profondo affetto sono molto diversi tra loro, Paride è il secondo figlio, quello che cerca disperatamente il consenso e l’amore del padre, mentre Ettore, il primogenito, è quello su cui si riversano i sogni dei suoi genitori: è lui che deve prendere il posto del padre in azienda, è lui che deve laurearsi, è lui che ha le maggiori attenzioni paterne. Come Achille non riesce a ad essere in linea con il tempo che vive, ad accettare i cambiamenti, fa fatica a stare al passo. Ma al contrario del padre ragiona più con la “pancia” che con la testa, è un opportunista, non ammette i suoi limiti e quindi a volte reagisce in maniera violenta verbalmente e a volte anche fisicamente.

Paride, invece, è una persona secondo me un po’ fragile, è l’opposto dell’uomo determinato, forte che non deve chiedere mai. Ha scelto il compromesso e per questo è un personaggio che si potrebbe percepire come una persona un po’ perdente per delle rinunce che lui fa come non iscriversi all’università, come avrebbe voluto, per  rimanere in azienda e prendere il posto del maestro confettiere prossimo alla pensione.

Perché a volte per andare avanti o quantomeno per provare a farlo devi fare un passo indietro.

Fare un passo indietro nelle opere dei classici è un atto di coraggio, un qualcosa che ha a che vedere con i valori. Oggi, invece, chi lo fa è considerato un debole, un fallito, uno sfigato e così potrebbe essere inteso Paride. La Cebeni però restituisce a questo gesto l’interpretazione classica: Paride fa un passo indietro per una visione volta al bene, sa che in caso contrario l’azienda potrebbe avere poche probabilità di andare avanti. E poi muoversi in confetteria, dosare, amalgamare, creare la magica alchimia tra zucchero e mandorle è qualcosa che ama.

Completamente diversa dalla famiglia Conforti sono i Russo. Carlo e Rosa provengono da una mentalità patriarcale e autoritaria, dove il padre decide e la madre sta zitta e acconsente. Per niente aperti al cambiamento entrano in collisione con la figlia Rebecca che vuole andare all’università ma le è proibito perché ritenuta cosa inutile visto che il compito di una donna è sposarsi, fare figli, servire il marito. Ma lei non ci sta, si ribella, rompe gli schemi perché vuole cambiare le cose, non intende seguire il cammino di un destino scritto da altri, vuole essere libera di essere quella che è.

Vogliono che sia carina quanto basta per attirare un buon partito e ignorante al punto giusto per non contraddirlo. Una persona senza sogni, senza obiettivi che non siano quelli di sposarsi e sfornare figli, ma io una vita così non la voglio. Piuttosto mi ammazzo.”

In effetti Rebecca ha  una personalità difficile, spigolosa, molto determinata, il cui comportamento, confesso, mi ha spesso irritato pur ammettendo che è un personaggio straordinario. Rebecca è contradittoria, sfacciata al limite del nichilismo, in guerra con tutti e con tutto ma anche molto fragile che pagherà a caro prezzo le sue scelte.

Con un temperamento assolutamente opposto a quello di Rebecca e con un approccio diverso alla vita è Elena, protagonista “esterna” alle due famiglie. Elena è una donna che ha sofferto molto che non si è mai veramente scoraggiata ma ha reagito con una forza d’animo straordinaria a un momento molto buio della sua vita. Avrà un peso importante nell’evoluzione della storia.

Parallelamente alla storia della famiglia Conforti c’è quella di una società che cambia. Siamo in un periodo che abbraccia gli anni ’50-’60-’70, quindi ci sono gli anni del dopoguerra, degli italiani che si rimboccano le maniche a ricostruire vite, case e attività commerciali; ci sono gli anni del boom economico, delle prime vacanze al mare degli italiani, quelle delle automobili riempite all’inverosimile, delle città che si svuotano, dei primi elettrodomestici che entrano nelle case, dello sbarco sulla luna.

Attraverso gli occhi dei protagonisti l’autrice ci fa rivivere gli anni del cambiamento sociale, con le proteste operaie, le manifestazioni universitarie (il mitico ’68), le lotte per i diritti delle donne, che hanno sì conquistato il diritto di voto ma la loro libertà è ancora molto limitata non potendo entrare in alcuni posti di lavoro, come la magistratura per esempio, o trovando ostacoli nei percorsi universitari per l’ostracismo dei professori. Si lotta per la parità di genere, per l’aborto, per il divorzio, diritti che sono stati acquisiti ma che purtroppo dopo tanti anni sono ancora a rischio.

Rebecca si avvicinò subito all’apparecchio, una vecchia Mivar di una decina d’anni che di tanto in tanto perdeva il segnale, e vi si accucciò accanto ascoltando con le mani raccolte la voce dell’inviato raccontare della “battaglia di Valle Giulia”, dove si trovava la facoltà di Architettura romana, nella quale si erano registrati molti feriti.

Tutto questo Valentina Cebeni lo racconta con uno stile narrativo fluido, con dialoghi consoni al periodo narrato e descrizioni così reali che scorrono come una pellicola cinematografica.

E su queste descrizioni vorrei soffermarmi un attimo, perché hanno coinvolto moltissimo la mia sfera emozionale: minuziose descrizioni non tanto del paesaggio ma dei movimenti, azioni, che i singoli personaggi fanno mentre la narrazione progredisce.

La preparazione di un dolce, riordinare la cucina, tagliare le verdure per il minestrone, o ancora lo strofinaccio tenuto in mano che accentua il clima dell’azione a seconda che venga adagiato sopra lo schienale della sedia o sbattuto arrotolato vicino al lavandino, hanno reso, per me, reale e visibile quello che leggevo. Come anche molte abitudini casalinghe e “riti” domenicali, il pranzo della domenica con l’arrosto con le patate e il dolce a fine pasto, che mi hanno riportato bambina nella mia famiglia dove i “riti” erano gli stessi, facendomi emozionare nel rivivere l’atmosfera familiare serena, tranquilla, scontata ai miei occhi di bambina ma che solo più tardi, quando anch’io ho avuto una famiglia, ho compreso essere il frutto di sacrifici e rinunce fatte dai miei genitori perché noi figli potessimo avere il futuro che volevamo.

Per finire vorrei ricordare un’altra protagonista, questa volta inanimata, del romanzo: Anita, la storica bassina, il cimelio della famiglia che ha sancito simbolicamente la rinascita della confetteria dopo la guerra.

Si tratta del pezzo più antico della confetteria […] Il fondatore della confetteria decise di ribattezzarla col nome della sua defunta moglie, una donna che aveva amato profondamente e dalla quale pare non si sia mai separato dal giorno in cui la vide per la prima volta […] pare che quando lei morì prematuramente il mio bisnonno progettò di togliersi la vita, ma la notte in cui meditò di uccidersi Anita gli venne in sogno, e lo spronò a reagire e a riprendere a creare confetti. La mia bisnonna voleva che lui non si arrendesse, ma che anzi continuasse a regalare ad altri un pizzico di quella stessa felicità che loro avevano condiviso per tanti anni, e così quando si svegliò decise di riprendere a lavorare e diede il nome di sua moglie alla bassina alla quale lei stessa aveva lavorato a lungo.”

E in un romanzo che ci racconta la storia di una famiglia proprietaria di una confetteria non potevano mancare i riferimenti alla loro produzione. Vederli nascere, carpirne i segreti e il duro lavoro che serve per dare vita a queste bontà è stato, oltre che interessante, istruttivo.

E il profumo delicato e inebriante di mandorle, zucchero caldo, nocciole e cioccolato si è sprigionato dalla maggior parte delle pagine accompagnandomi lungo tutta la lettura.

PRO

Un romanzo che ha l’abilità di scandagliare l’animo umano, che mette in risalto il ruolo della donna, che contiene tanti messaggi, tra i quali il dover essere consapevoli che nessuna libertà anche se piccola e insignificante può essere data per scontata e quanto importanti siano i valori che oggi ci definiscono per difendere i quali dobbiamo avere il coraggio di rischiare tutto.

CONTRO

Solo perché non mi piace il “troppo dolce”, alcune pagine mi sono sembrate troppo mielose.

Mandorle amare. La saga dei Conforti – Edizione cartacea
Mandorle amare. La saga dei Conforti – Edizione e-book

SINOSSI

Fondata dal nonno di Achille prima della Seconda guerra mondiale, la Confetteria Conforti era stata da sempre un punto di riferimento al Nomentano, fino a quando il quartiere romano era stato massacrato dai combattimenti tra tedeschi e partigiani. Ora che la guerra è finita, però, la fabbrica non è più solo un luogo di ricordi, custode di storie straordinarie e meravigliose, ma è anche il punto di partenza per l’intera famiglia, una nuova occasione per ricominciare da capo. E così, con il supporto di Cecilia, Achille coinvolge il suo amico fraterno Carlo Russo e la moglie Rosa nell’impresa, che viene accolta con grande clamore ed entusiasmo da tutti. Dalla riapertura della fabbrica nell’immediato dopoguerra fino agli inizi del nuovo millennio, passando per i travagliati e rivoltosi anni Settanta, la vita di Achille e Carlo e delle rispettive famiglie ruota attorno alla confetteria. Il destino dei loro tre figli, in particolare, si intreccerà in maniera indissolubile: da una parte, Ettore e Paride Conforti, diversi tanto nel carattere quanto nelle aspirazioni, dall’altra Rebecca Russo, instancabile ribelle, che faticherà a piegarsi alle regole dell’epoca e farà di tutto per inseguire il proprio ideale di libertà.

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