Articolo a cura di Matilde Titone
Chi erano costoro? Mi ha colpito il nome e così ho fatto una ricerca su questo antico e scomparso mestiere scoprendo così non solo chi erano i Brentatori, ma anche la storia letteraria del loro nome e perfino una storia geografica interessante che si può ripercorrere con un trekking di ben 50 km, intorno a Bologna.
L’etimologia del nome deriva da “brenta”, specie di tino di legno, appiattito nella parte che appoggia alla schiena sopra cui si porta a mezzo di cinghie; serve di solito al trasporto del vino o del mosto. La brenta era anche un’antica misura di capacità usata per il vino a Milano (l. 75,55) e a Torino (anteriormente al 1818, l. 49,28; posteriormente al 1818, l. 49,30). Da qui il nome Brentatore.
I brentatori erano, in origine, i portatori di “brente”, recipienti in doghe di legno di buona capacità portati a dorso. Diffusi in tutta la pianura padana, da Torino a Bologna, essi erano responsabili del controllo della qualità del vino e ne stimavano il prezzo, li potremmo definire i primi sommelier del nostro paese riuniti in un’apposita corporazione.

Ben documentata è la corporazione bolognese delI’arte dei brentatori, sorta di fatto nel 1250 ma legalmente riconosciuta solo nel 1407 e dotata degli statuti nel 1410. Venne ad essa riconfermato il pubblico servizio mantenendo l’obbligo dei brentatori di accorrere, al segnale della campana della torre degli Asinelli, per portare acqua dove fosse scoppiato un incendio. Il ruolo importante di queste figure nei secoli è testimoniato dalla raffigurazione di un antico Brentatore in uno degli affreschi dell’Abbazia di Pomposa.
Nel 1614 gli statuti furono riformati per precisare meglio l’attività e i limiti dei brentatori ed impedire così abusi e frodi. Durante la seconda metà del ‘700 la Compagnia scelse come proprio patrono Alberto di Villa d’Ogna, un laico divenuto beato nel 1748, il quale aveva esercitato in gioventù il mestiere del «brentatore». Nel 2015 il Comune di Bologna ha affisso una targa commemorativa sull’antica sede medievale dell’ordine, l’attuale Hotel Commercianti.
Il comune di Modena in tempi recenti ha dedicato una mostra a questi lavoratori. “La città amava e vituperava questi brentatori – si legge nella presentazione della mostra – che lavoravano assiduamente nelle frenetiche giornate autunnali della mostatura ed a quelle primaverili dei travasi. Allora i vari ‘trebbi’ dei brentatori cittadini si animavano in un vociare confuso di urla e dispute. Anche gli osti entravano sul piede di guerra. Sommergendo di proteste l’Ufficio del Pubblico per il rigido monopolio che quei prepotenti brentatori assumevano sul rifornimento del vino alla città. Guerre e rappacificazioni si alternavano. Subito cancellate all’indomani quando, un nuovo avviso od una nuova grida, rimetteva in discussione un precario armistizio o ad una faticosa intesa”.
“Uomini forti e robusti, dotati di oggetti capaci di portare grandi quantità di liquidi avevano anche il compito di spegnere gli incendi. Col passare del tempo, tuttavia persero di importanza. Verso la metà del Settecento con l’adozione della “tromba da acqua per li incendi” (una “diavoleria” francese) veniva loro tolto l’orgoglio civico dello spegnere gli incendi con le brente. Tuttavia con l’arrivo dei francesi e delle loro idee rivoluzionarie ebbero l’orgoglio di collaborare ad innalzare l’albero della libertà in Piazza Grande. Poi venne la bottiglia. Combinata col tappo abituò a bere finalmente un vino più stabile, meno aleatorio. Essa iniziò lentamente ed inesorabilmente a rosicchiar lavoro ai brentatori”.

I brentatori non ci sono più è vero ma grazie alla risorta Compagnia dell’arte dei Brentatori, se proprio volessimo conoscere la strada che questi forti uomini percorrevano lo potremmo fare, sono circa 50 km, dalla Piazza Maggiore di Bologna alla Rocca di Bazzano, tra la bellezza della natura e tante testimonianze storico-artistiche da ammirare e riscoprire zaino in spalla.
I Brentatori, nell’esercizio delle proprie funzioni, avevano infatti una via dedicata, che dai terreni del contado faceva arrivare il vino fino alla città di Bologna. Nel XIII secolo, però, quelle zone erano spesso interessate dalle scorribande delle truppe modenesi, che rendevano questo tragitto poco sicuro. Il Comune di Bologna decise allora di avviare la realizzazione di un nuovo percorso lungo le colline per consentire ai Brentatori il trasporto in sicurezza del vino prodotto a Monteveglio, Oliveto e Zappolino. Nacque così la Via dei Brentatori – che negli anni è diventata una parte della viabilità locale – che da allora collega Monteveglio a Zola Predosa con un tracciato lungo le colline bolognesi.
Ancora oggi la Compagnia dell’Arte dei Brentatori, partendo dalle sue antiche origini, pone il vino come valore della sua specifica tradizione e come importante elemento culturale, recuperando tradizioni o prodotti particolari nel territorio, regionale e nazionale. Un momento particolare e suggestivo negli incontri dei Brentatori, chiamati Capitolo, è quello della intronizzazione, ossia dell’ingresso ufficiale nella Compagnia di nuovi Brentatori. Il Consiglio Maggiore, vestito dei solenni abiti di velluto porpora, realizzati sui disegni secenteschi di Gian Maria Mitelli, accoglie nella Compagnia i nuovi membri con una breve ma particolare cerimonia, durante la quale, quando viene pronunciata la frase “Bevi o vattene” i futuri Brentatori bevono d’un fiato un calice di vino. Superata la prova d’ingresso, vengono riconosciuti Brentatori dal Maestro della Compagnia che li sfiora sulle spalle con un tralcio di vite centenario
Una piccola curiosità, il termine Brentatori venne introdotto nella letteratura italiana da Edmondo De Amicis con il Romanzo di un maestro, dove descrive questi lavoratori come lavoratori invernali e ne tratteggia un poetico ritratto dai toni però molto realistici cogliendo in loro la durezza del lavoro e anche le tradizioni italiane di vita rurale.