Viaggio nella storia

Il giro delle sette chiese: Santa Maria Maggiore (ultima parte)

Articolo a cura di Matilde Titone

La Basilica di Santa Maria Maggiore è l’ultima delle sette basiliche giubilari che oggi vi porto a visitare. Sorge sulla sommità del colle Esquilino ed è la sola ad aver conservato la primitiva struttura paleocristiana, sia pure arricchita da aggiunte successive.

La storia di questa Chiesa è molto suggestiva: pare che un ricco patrizio romano, non avendo figli, decise con sua moglie di dedicare una chiesa alla Vergine Maria apparsa loro in sogno in una notte d’agosto del 352 d.C. La Madonna avrebbe indicato loro il punto dove far erigere la chiesa. Anche papa Liberio fece lo stesso sogno e, il giorno seguente, recatosi sull’Esquilino, lo trovò coperto di neve. Il papa stesso tracciò il perimetro dell’edificio e la chiesa fu costruita a spese dei due coniugi. Ancora oggi, ogni anno, il 5 agosto viene rievocato il miracolo della neve con un’apposita celebrazione durante la quale, dalla sommità  della basilica, vengono liberati in aria dei petali bianchi che producono un effetto davvero suggestivo e da non perdere.

Nella basilica si può ammirare il primo presepe inanimato della storia, La Natività di Arnolfo di Cambio. Profonde trasformazioni della basilica, che fino ad allora aveva conservato il suo aspetto sostanzialmente medievale, furono avviate tra la fine del XVI e l’inizio del XVII secolo da Sisto V e da Paolo V, che eressero le due grandi cappelle laterali, dette appunto Sistina e Paolina, e il palazzo a destra della facciata. Tra il 1670 ed il 1676, Carlo Rainaldi ridisegnò l’abside nelle forme attuali. All’interno, si trovano importanti opere d’arte. Sui muri della navata centrale, al di sopra della trabeazione, sono visibili riquadri a mosaico risalenti al V secolo. Il soffitto risale al tempo di Alessandro VI Borgia (1492-1503) e, secondo la tradizione, venne dorato col primo carico di oro americano, dono di Isabella di Spagna. L’arco di trionfo è decorato da mosaici con “Storie dell’infanzia di Gesù” del periodo di Sisto III. Nel catino absidale, il bellissimo mosaico fu eseguito, e firmato, da Iacopo Torriti, alla fine del XIII secolo.

E dopo aver visto l’ultima delle basiliche giubiliari perdetevi nella Roma Umbertina di Via Merulana e dintorni, dove si susseguono chiese e palazzi di ricchi borghesi e piazze adiacenti come Piazza Dante e Piazza Vittorio, quartieri etnici formati da cinesi e magrebini, negozi e mercati orientali da perderci la testa. A piazza Vittorio una volta c’era uno storico mercato ma è stato chiuso in un apposito spazio dedicato alla vendita di prodotti alimentari e la piazza è stata liberata lasciando i suoi giardini, inaugurati nel 1870, al pubblico. Proprio all’interno dei giardini si trova la Porta Magica, luogo esoterico molto interessante. Edificata nella seconda metà del Seicento, antica testimonianza di una Roma di miti e misteri. L’enigmatica porta, però, non conduce in alcun posto, ed è ciò che rimane della lussuosa Villa Palombara, residenza del marchese Massimiliano Savelli Palombara. Uomo brillante e raffinato letterato, l’aristocratico era appassionato di alchimia ed esoterismo, interesse che condivideva con Cristina di Svezia, della quale fu devoto amico e fedelissimo di corte, durante il soggiorno romano dell’ex sovrana.

La leggenda narra che, in una notte tempestosa del 1680, un viaggiatore, probabilmente il medico alchimista Francesco Borri, ospitato nella villa, si recò in giardino alla ricerca di un’erba in grado di produrre oro. Il mattino seguente, l’uomo era misteriosamente scomparso, lasciando dietro di sé tracce di oro purissimo e degli oscuri manoscritti con numerosi simboli e formule alchemiche. Convinto che il misterioso scritto contenesse il segreto della pietra filosofale, il marchese fece incidere la “ricetta” magica sulla “Porta Alchemica”, nota anche come “Porta dei cieli” e “Porta ermetica”: simboli planetari, ognuno associato a un metallo, piramidi, cerchi, iscrizioni in latino ed ebraico e una stella a sei punte, il sigillo di Salomone. Attualmente, l’affascinante monumento è incastonato in un muro, alle spalle dell’imponente ninfeo “Trofei di Mario”, sorvegliato perennemente da due severe e grottesche statue del dio egizio Bes, rinvenute negli scavi del Quirinale di fine Ottocento, in attesa che qualcuno decifri quello che, fino a oggi, si è rivelato un impenetrabile enigma.

Nella parte posteriore della piazza, vi è una fontana composta da un gruppo scultoreo di Mario Rutelli, realizzato in origine per la Fontana delle Naiadi in piazza della Repubblica; fortemente criticato dall’opinione pubblica e ribattezzato dal popolo “fritto misto”, fu collocato in questa piazza e sostituito con una diversa scultura tutt’ora al centro della fontana di piazza Esedra.

E qui chiudiamo il giro delle sette chiese.

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