Narrativa recensioni

La levatrice di Nagyrév – Sabrina Zuccato

Recensione a cura di Valeria Lorusso

A Nagyrév, un villaggio sperduto sulle sponde del fiume Tibisco, siamo nel 1929, viene trovato il cadavere di una vecchia. Per gli abitanti del villaggio a ucciderla è stata la figlia, Anna la lurida.

“Durante la serata, al capitano non erano sfuggiti i mezzi sorrisi appena qualcuno nominava quella donna. Si chiese da dove provenisse tutto quel disgusto, ma quando ‘la lurida’ aprì la porta ne comprese il motivo. Due occhi incagliati in un volto orrendamente butterato sprigionavano cattiveria e rancore. Era davvero sporca come veniva descritta, ed emanava un senso tangibile di incuria. Le vesti sudicie si applicavano al busto sformato, le unghie annerite sembravano artigli.”

A indagare sull’omicidio è il capitano della gendarmeria Zsigmond Danielovitz il quale ascolta la sospettata che confessa l’omicidio e racconta la sua versione dei fatti. In un ambiente chiuso, retrivo, Danielovitz prosegue le indagini nonostante Anna la lurida sia stata già arrestata.

Qualcuno infila sotto la porta della stanza della taverna in cui soggiorna un biglietto in cui c’è scritto:

“Le tombe di Nagyrév sono rimaste silenziose per più di un decennio, ma adesso finalmente parleranno rivelando i loro orribili segreti e le vittime si vendicheranno degli assassini. Le chiome dei pioppi sussurrano la melodia del complotto e i lamenti degli ammazzati urlano: -Ci uccisero proprio coloro che ci avrebbero dovuto amare di più.-”

Il capitano si rende conto che la morte della donna è solo l’espressione più evidente di una serie di scomparse che da tempo riguardano il villaggio e che sono state erroneamente scambiate, in base ai sintomi manifestatisi, per colera.

Da qui parte un’indagine che porterà ad esiti inimmaginabili.

La levatrice di Nagyrév è un romanzo che si presta a molti livelli di lettura. Vi è un’alternanza di piani temporali tra il presente e il passato, quest’ultimo racconta le storie di donne vessate da violenze e abusi in ambito familiare. Donne maltrattate, stuprate, picchiate da mariti e suoceri alcolizzati e violenti per i quali le donne sono solo delle fattrici che devono procreare, soprattutto maschi, in quanto capaci di contribuire con il loro lavoro all’economia familiare. È la legge del patriarcato che obbliga le donne a essere sottomesse al potere maschile.

“Subito dopo esserci sposati andammo ad abitare nel piccolo villaggio di Nagyrév. Una volta li, Viktor smise i panni del marito amorevole e cominciò a picchiarmi regolarmente, fomentato dall’alcool che consumava sempre più di frequente. Furono per me anni terribili.”

Con un linguaggio fluente che riesce a descrivere l’atmosfera cupa che si respira nel villaggio alternata all’indagine immersiva, tanto che sembra di leggere un thriller per alcune descrizioni macabre e particolareggiate, il romanzo è una denuncia sulla condizione femminile. Le donne stanche di soprusi e violenze decidono di ribellarsi ponendo fine alla realtà insostenibile in cui vivono.

Le donne da vittime si trasformano in carnefici e figura cardine ci questa ribellione è la levatrice del villaggio, che per loro rappresenta la speranza di potersi affrancare dalle loro misere vite grazie a soluzioni semplici e definitive.

“La levatrice era capace di osservare la natura come nessun’altra, sapeva scorgerne gli aspetti benefici, ma anche scovarne le anomalie. E ciò non avveniva soltanto in rapporto ai raccolti e alle bestie. Lei conosceva bene anche la natura umana e sapeva guardare dentro le persone, riuscendo a scandagliare la loro anima. Forse era per questo che le donne del villaggio le chiedevano udienza così spesso. E probabilmente era questo il motivo per cui, così frequentemente e generosamente, offriva consigli ed elargiva i più intimi insegnamenti. Per loro lei non era solo la levatrice di Nagyrév. Non era solo la guaritrice. Era molto di più: un’amica, un’insegnante, una confidente. Lei era zia Zsuzsi, e aveva una soluzione per tutto”

Una donna temuta, rispettata, pervasa da un delirio di onnipotenza che le dà il diritto di credere che tutto ciò che lei fa è giusto, è buono. Lei ha il diritto di vita e di morte per gli uomini che meritano di essere puniti per le loro azioni.

Il finale, per quanto surreale, potrebbe essere plausibile rispetto alla vicenda narrata. Sicuramente porta a delle riflessioni finali sulla morte e sulle scelte.

Ci sono morti giuste eticamente?

Nelle note finali c’è un’ampia dissertazione sulla realtà storica, sui personaggi realmente esistiti e sulle scelte operate per la narrazione.

Altamente consigliato

PRO

Ambientazione affascimante

Trama complessa e avvincente

CONTRO

Niente da dichiarare

La levatrice di Nagyrév – Edizione cartacea
La levatrice di Nagyrév – Edizione e-book

SINOSSI

Zsigmond Danielovitz, incaricato di indagare sul cadavere di un’anziana contadina, è un uomo indebolito dalla guerra, ma vigile. E così ci mette poco a scorgere, dietro gli occhi degli abitanti di Nagyrév, qualcosa di sinistro. Nagyrév è un piccolo villaggio sperduto nella pianura ungherese, l’anno è il 1929 e il benessere, in quella ristretta comunità rurale, non arriva. Zsigmond Danielovitz si rende presto conto che la morte della donna sulle sponde del fiume Tibisco non è che l’anello di una lunga catena di scomparse e incidenti che da tempo coinvolgono il piccolo villaggio. “La levatrice di Nagyrév” racconta un fatto di cronaca realmente avvenuto tra le due guerre mondiali, un episodio che sconvolse l’Europa non solo per l’efferatezza dei crimini, ma anche per un inedito capovolgimento dei ruoli: le donne uccidono gli uomini, si vendicano. Superstizione, violenze, miseria e soprusi sono i protagonisti delle vite che si incrociano in questo affresco rurale, dove a fare le spese di appetiti e frustrazioni sono sempre le donne. Le regole patriarcali della comunità magiara e le meschinità dell’animo umano creano situazioni insostenibili e sofferenze ingiustificabili per mogli e figlie, anziane e ragazze. Personaggio chiave, intorno al quale girano le storie di Nagyrév, è la misteriosa Zsuzsanna, levatrice dal passato fumoso, spesso etichettata come «strega» dai suoi concittadini, temuta e, ogni tanto, rispettata, una figura carismatica, rarissimo esempio di donna emancipata, cui molte «sorelle» chiedono aiuto per risolvere i guai che hanno dentro casa: gravate da inganni, stupri e sottomissioni, le vittime hanno deciso di alzare la testa.

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