Recensione a cura di Tiziana Silvestrin
Viva e fascinosa ricostruzione delle vicende, nel 1918, del leggendario reggimento russo Preobrazenskij, sperduto nel gelo della Siberia alla ricerca dello zar Nicola II, prigioniero dei bolscevichi.
Il romanzo si svolge in due spazi diversissimi tra loro, praticamente agli antipodi: l’immenso territorio della Siberia e l’angusta casa dell’ingegnere Ipatiev a Ekaterinburg.
A Vachitino dopo una lunga marcia arriva il reggimento russo Preobrazenskij, comandato dal principe Ypsilanti, sanno che sono scoppiate delle rivolte a Pietrogrado e che lo zar ha bisogno dei suoi soldati scelti per sconfiggere i bolscevichi. Vorrebbero avere maggiori notizie, ma il telegrafo non funziona e l’ultimo messaggio arrivato è che lo zar si trova a Tobolsk. Devono partire ma è inverno, il grande inverno russo che già ha decimato buona parte dei soldati, devono partire perché lo zar ha bisogno di loro e anche perché gli abitanti di Vachitino non sono in grado si mantenere così tanti soldati e così il reggimento si avvia nel gelo della Siberia.

Durante la marcia i soldati muoiono senza combattere a causa di mani e piedi congelati che i medici sono costretti ad amputare e malattie che non si possono curare in quelle condizioni; anche molti cavalli non sopravvivono alla fatica o devono abbatterli perché la scarsità dei foraggi non permette di mantenerli, eppure continuano a marciare. Dopo aver camminato senza sosta, senza lasciarsi andare alla pigrizia e allo sconforto ancora non sono arrivati a Tobolsk, ma dove si trovano?
Dove? Anche gli ufficiali, come i loro soldati, non avrebbero saputo dirlo perché le carte dell’Impero in quella regione vastissima, limitrofa a quella delle foci dell’Ob, parevano mute. Non un nome di città, non una catena di montagne, non un lago, tanto meno una lineetta rossa della ferrovia. Solo a grandi caratteri cubitali neri, le due prime lettere della parola russa sibir, la s e la i. Loro si trovavano lì, sopra la sillaba sibilante e misteriosa di quella parola scritta sulla carta calcolata dall’istituto geografico militare a Pietrogrado.
Lo zar Nicola con la zarina, lo zarevich Alessio e le granduchesse sue figlie Olga, Tatiana, Maria e Anastasia si trova a Ekaterinburg, nella casa requisita dell’ingegner Ipatiev, dove non possono incontrare nessuno. Confinato in quelle poche stanze, lo zar ripensa alla sua vita e quelli che erano stati i suoi giorni passati, con l’ingombrante presenza di Rasputin, il selvaggio monaco siberiano da cui sperava la guarigione dall’emofilia del figlio.
L’arroganza dei soldati gli ricorda costantemente la sua situazione di prigioniero, impediscono loro persino di aprire le finestre, quelle sudice finestre che danno su un giardino asfittico con un triste melograno, dove passeggiano solo un’ora al giorno, scortati dai soldati.

Ypsilanti lentamente s’allontanò dalle cucine. Alzò gli occhi verso il cielo che a chiazze mostrava le stelle. Tartari, mongoli, uzbechi, circassi, persiani, quante popolazioni della terra erano passate di lì, senza lasciare un’orma, proprio come la scia di una nave dell’oceano che si richiude su se stessa e si rimargina immediatamente.
Il reggimento sperduto nella Siberia raggiunge la taiga in estate, l’immensa foresta di conifere ricca di vita che riesce ad ammaliare i soldati con il suo fascino pieno di vita e di mistero. La taiga, un oceano di cime che svettano verso il cielo azzurro gonfie di nidi e di tane, dove si poteva dimenticare la guerra, lo zar e i compagni del reggimento.
Dall’immensità della foresta migliaia di uccelli si alzano in volo, lunghe file attraversano il cielo anche se non è la stagione delle migrazioni e raggiungono la casa a Ekaterinburg, nei cui miseri spazi è prigioniera la famiglia dello zar.
…il ragazzo fra delirio e lucidità, manteneva un’inquietante capacità di prevedere le cose, com’era accaduto poco prima di quella straordinaria migrazione. A Nicola il nuovo aspetto della malattia ricordava troppo il dono della veggenza e del canto dei ciechi…
La narrazione parte in sordina, all’inizio la descrizione è lenta, poi inizia ad affascinare il lettore. Le vicende dei soldati durante la loro faticosa marcia si alternano alla vita quotidiana dei prigionieri di Ekaterinburg. Il dolore dello zar Romanov di non poter far nulla per salvare la propria famiglia emerge dalle pagine con feroce malinconia; Nicola trafitto dai ricordi dolce amari dei giorni passati, assiste impotente ai furti dei loro averi da parte dei carcerieri, la speranza di essere salvato dal reggimento Preobrazenskij diventa sempre più flebile.

A migliaia di chilometri di distanza i soldati si immergono nel verde della foresta e sembrano diventare uno dopo l’altro preda di un incantesimo. A poco a poco la realtà si inonda di magia nell’uno come nell’altro spazio.
Improvvisamente tutto assume una dimensione surreale e la fine non è quella che ti aspetti. Un romanzo interessante, da leggere.
Punti di forza e di debolezza
Mi è piaciuto molto il modo in cui è stata descritta la famiglia Romanov, la dimensione umana, le preoccupazioni dei genitori per i figli, i timori per la salute del figlio Alessio, la dignità mantenuta a ogni costo, anche di fronte alla fine imminente.
L’ultima parte dedicata al reggimento è troppo sbrigativa, sarebbe stato preferibile capire meglio la scelta del principe Ypsilanti.

Cercando l’imperatore – Edizione e-book
Trama
Russia, estate 1918. Dopo la sanguinaria rivoluzione d’ottobre, lo Zar Nicola II e la sua famiglia sono prigionieri dei bolscevichi a Ekaterinburg, negli Urali, in attesa di conoscere il loro destino, mentre alle porte della città l’armata bianca controrivoluzionaria avanza per liberare il sovrano destituito. A molti chilometri di distanza, un reggimento scelto di fedelissimi agli ordini del principe Ypsilanti è disperso nelle terre aspre della Siberia. All’oscuro degli sviluppi della rivoluzione e tagliati fuori dai rifornimenti, i soldati marciano nella tajga in cerca del loro Imperatore.