Recensione a cura di Raffaelina Di Palma
“Il mio nome è Alfred Hirsch, anche se i miei amici mi chiamano Fredy. Vi prego, abbiate la bontà di ricordare il mio nome. La parola “Hirsch” in tedesco vuol dire cervo, e come un cervo sono stato in fuga per gran parte della mia vita. Oggi la caccia a Fredy Hirsch terminerà con un’uccisione. Non ho paura per me stesso, ma per i bambini che mi sono stati affidati. Non ho pensato che a loro da quando il mondo ha cominciato a bruciare, e tremo all’idea della loro sorte a cui potrebbero andare incontro. […] Il mio nome è Fredy Hirsch. Sono un brav’uomo. Vi prego, abbiate la bontà di ricordare il mio nome.”
«Vi prego, abbiate la bontà di ricordare il mio nome». Più che un appello è un grido di dolore che si leva dalla fortezza di Terezin. A lanciarlo è Alfred Hirsch, un ragazzo ebreo tedesco di 27 anni arrestato e mandato alla fortezza insieme a molti altri prigionieri tra cui numerosi bambini.
Gli viene affidato il dipartimento alloggi. Si prende cura dei tanti bambini che arrivano lì traumatizzati, separati dalle famiglie d’origine, caricati a forza sui treni, sporchi, stanchi, affamati, terrorizzati di trovarsi in un posto che non conoscono e non capiscono.

Terezin o Theresienstadt, si tratta della stessa località, distante circa sessanta chilometri da Praga, rispettivamente in lingua ceca e in lingua tedesca. Fu fatta costruire tra il 1780 e il 1790, dall’Imperatrice d’Ungheria e Boemia (Elisabetta di Baviera, più nota come Sissi) come fortificazione divisa in due parti ben distinte: la fortezza minore e la fortezza maggiore. Un capolavoro di ingegneria.
Dopo l’occupazione della Cecoslovacchia, la Gestapo prende il controllo di Theresienstadt e la trasforma in prigione. Diviene presto il punto d’arrivo per un grande numero di ebrei provenienti dalla Cecoslovacchia, dalla Germania e dall’Austria. I settemila abitanti non ebrei che vivono a Terezin vengono evacuati dalla città rendendo il campo una comunità esclusivamente ebraica e isolata.
Edita da Piemme, questa è la storia di un essere umano sublime, un fulgido esempio che illumina gli angoli più cupi dell’Olocausto. Luoghi dove prima brillava il sole della libertà diventano lembi di nuvole tetri, colmi di disperazione.
Alfred Hirsch, racconta in prima persona il suo arresto e l’arrivo a Terezin da dove intraprende un lunghissimo percorso, toccando il punto più alto del dolore attraverso cui il lettore scopre un animo sensibile, soprattutto quando viene incaricato di occuparsi dei bambini. Una scuola nel cuore della fortezza; potrebbe essere un’ancora di salvezza per i bambini. Un giovane maestro e atleta che riesce a trasformare la disperazione in una lezione di vita indimenticabile. I tedeschi proibiscono l’insegnamento, soprattutto ai bambini: Fredy, rischia la vita tutti i giorni ma salvare quei bambini diventa la sua missione. La sera fa il giro delle camerate dove i bambini dormono sul pavimento senza neanche un pagliericcio con soltanto una coperta lacera e leggera e, alla luce sbiadita di una lampadina, suona una ninna nanna con il flauto comprato di contrabbando da un gendarme.
A Terezin, i prigionieri continuano ad arrivare. Si sentono i loro passi, mentre marciano sui viali ricoperti di neve ghiacciata che, rimbalzando sui muri del ghetto, producono un secco rumore come chicchi di grandine lanciati da mani ignote.
La rilevante presenza di bambini, “i bambini di Terezin”, all’interno del campo fa si che, per quanto sia possibile, gli intellettuali, prigionieri del campo, si adoperino affinché tutti i bambini deportati continuino il percorso educativo.

La scrittrice Wendy Holden fa scorrere quel filo conduttore che lega, inevitabilmente, le vicende storiche: un canovaccio iniziale che, a mano a mano, che la storia prosegue diventa una trama fitta e profondamente umana.
Le condizioni di vita a Terezin diventano difficili: all’interno della fortezza grande, in uno spazio precedentemente occupato da poche migliaia di persone, se ne trovano a convivere oltre 50.000. Il cibo è scarso, le medicine inesistenti, la situazione igienica drammatica.
Il suo amico Jakob, gli chiede di parlare nell’assemblea pubblica che ha organizzato per la sera: «sei molto più bravo di me a parlare, Fredy». Ma lui è indeciso perché molti sono polacchi, una lingua che lui parla poco e male.
“Quella sera salii su un tavolo in preda al nervosismo, mi schiarii la voce, guardando dall’alto la folla che si stava ammassando alla porta della sala. Soffiando nel mio fischietto per chiedere la loro attenzione, attesi che facessero silenzio. «La maggior parte di voi mi conosce» esordii, incrociando i loro sguardi. […] «Tra queste mura siamo riusciti a mettere in piedi un sistema di governo che funziona. Ogni giorno, per quante migliaia di persone ci siano qui dentro, ognuno riceve da mangiare e un posto per dormire».”
Ma poi Fredy deve precisare che, certo, il cibo è scarso e non di qualità e sono costretti a dormire sul pavimento, ma è comunque un vero miracolo. Li esorta a fare il possibile per sopravvivere perché un giorno dovranno parlare e far conoscere Terezin al mondo. Con sua sorpresa la gente inizia ad applaudire e sui loro volti si riaccende la speranza.
La drammatica situazione dei bambini colpisce come un pugno nello stomaco.
I loro piccoli corpi, che tremano di freddo, di fame, di paura, corpi troppo fragili per poter affrontare la cortina di fiamme deliranti, provocate da una guerra crudele.
Guardando i bambini, Alfred Hirsch, non può fare a meno di ritornare alla sua infanzia.
“Non erano gli incubi a turbare il mio sonno nel ghetto, ma i sogni, specie quelli che mi riportavano indietro ai giorni più belli della mia gioventù. L’oblio che cercavo al termine di ogni giornata non era più un rifugio. Steso sul mio materassino, con la fame che mi rodeva lo stomaco come un ratto, resistetti all’impulso di grattare i morsi delle pulci e cercai di isolarmi dalla gente che russava e tossiva intorno a me.”

Quando vengono annunciati i “trasporti”, nel ghetto si innescano ondate di panico. I “trasporti” vogliono dire essere trasferiti in campi tristemente noti: Auschwitz, Mauthausen, Dachau e…il morale crolla. Il nazismo mette in atto una vera scienza con lo scopo di distruggere la personalità, tale da costringere l’individuo a credere di essere una nullità, rovesciando su ognuno la sofferenza di tutti i compagni.
Nei campi le vittime vengono torturate e sottoposte alle più terribili umiliazioni per il semplice “svago” delle SS. Secondo Primo Levi l’intento primario è distruggere la personalità del deportato: mortificarlo, umiliarlo fino al punto di favorirne la sottomissione, l’offesa al pudore fa parte del ritmo quotidiano del lager.
Quando si leggono queste storie, anche chi non ha fatto queste esperienze, ne esce traumatizzato. Ma ben vengano se gettano uno squarcio di luce su un mondo che rischiamo ancora una volta di rivivere. «La Speranza! È una lunghissima notte in fondo alla quale brilla una piccola tremolante fiammella».
Pro
Grazie a personaggi come Alfred Hirsch che, senza clamore, si attiva, anche a costo della vita, ad aiutare ogni persona a ritrovare quel senso di umana dignità: anche quando il male aggredisce con la sua crudezza portando a pensare sempre più a se stessi..
Contro
In realtà a tutt’oggi, più che mai, la Storia non è preparata a insegnare: l’esperienza non è più una Maestra di vita. A cosa serve reiterare a ogni ricorrenza: mai più eccidi, mai più stragi, ripetuto in maniera ossessiva, se poi si trascurano quei cammini educativi, di cui tutti abbiamo un bisogno inderogabile. Non bastano più tante, vuote frasi, basta guardare la realtà e la storia che si ripete continuamente.

Il maestro invisibile – Edizione e-book
Trama
All’ombra delle ciminiere, in una baracca di legno, Fredy Hirsch insegna ai bambini a immaginare un mondo diverso. In questo spazio angusto, i piccoli prigionieri cantano, mettono in scena spettacoli teatrali, scrivono poesie e imparano a conoscere il mondo, circondati da pareti dipinte a mano con colori vivaci. Grazie a Fredy, vengono tenuti al riparo dai parassiti, ricevono cibo migliore e imparano persino a immaginare di avere lo stomaco pieno e vivere un giorno senza paura. Essere un insegnante in un campo di concentramento non è affatto semplice. Fredy, atleta ventisettenne ebreo e gay, rischia la vita ogni giorno. La sua missione è insegnare a conservare speranza e dignità, anche in mezzo all’orrore. Ma il tempo sta per scadere per Fredy e per le centinaia di bambini a lui affidati. Può quest’uomo gentile, compassionevole e coraggioso insegnare loro la lezione più importante di tutte: come sopravvivere? Un romanzo intenso e commovente, basato su ricerche storiche accurate e testimonianze dirette, che restituisce voce a un eroe dimenticato e agli innocenti che ha ispirato.