Articolo a cura di Raffaelina Di Palma
“Maria diede alla luce il suo primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché non c’era posto nell’alloggio.” (Luca. 2,7)
Possiamo asserire con certezza che la storia del presepe comincia da questo brano della Bibbia.
La festa del Natale, per le popolazioni precristiane, altro non era che la celebrazione del solstizio d’inverno, la notte più lunga e il giorno più corto. Questo evento in passato veniva simboleggiato in chiave religiosa: nei giorni a ridosso del 25 dicembre i romani solennizzavano il Sol invictus, gli egiziani la nascita di Horus, gli indopersiani quella di Mitra, i siriani quella di El Gabal, i greci quella di Helios.
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Fu Aureliano, il primo imperatore romano, a istituire ufficialmente il 25 dicembre la festa del Sol Invictus, nel 274. Costantino poi, nel 330, trasformò la ricorrenza in festa cristiana.
Intanto partiamo dal desiderio e dalla curiosità di sapere in merito alla forma verbale corretta da usare: presepe o presepio? La lingua italiana permette l’uso sia dell’uno che dell’altro.
Nei secoli passati venivano usati ambedue i termini da autori latini come Virgilio e Plauto e nei secoli successivi da letterati come Petrarca e Tasso.
Nelle prime tre edizioni dell’Accademia della Crusca, (la prima è del 1612), si trova soltanto la parola Presepio. In seguito, nella quarta edizione del 1729, si specifica la distinzione tra presepe e presepio: il primo termine sta a indicare la stalla, mentre il secondo, ripreso dal latino, rimanda alla mangiatoia nella stalla.
È noto che il primo presepio fu realizzato, il giorno di Natale del 1223, da San Francesco di Assisi. Tornato dalla Palestina e, rimasto colpito dai luoghi natali di Gesù, volle rievocare la scena della natività: portò all’interno di una caverna, in un bosco di Greccio in provincia di Rieti, un bue e un asino viventi, ma senza la Sacra Famiglia. Lì tenne la sua famosa predica davanti a una folla di persone, rendendo la storia di Natale comprensibile a tutti coloro che non sapevano leggere. A lui si deve la nascita del presepio vivente.
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Il presepe, o presepio, è una tradizione con origini antichissime. È, probabilmente, il vero simbolo oggettivo del Natale in Italia e non solo, più dell’albero adornato. Un simbolo di tradizione e di cultura comune per molte famiglie.
Oggi diamo per scontata la presenza del presepe e ne conosciamo tanti tipi: c’è quello tradizionale con le statuine, quello vivente, quello meccanico e poi ci sono anche presepi di alto pregio con statuette dipinte a mano.
Ma quale è la tradizione del presepe? Da dove viene questa rappresentazione sacra, quale è la sua storia?
Forse non tutti sanno che nasce in Italia e ha una storia (relativamente) recente.
È sorprendente scoprire che i cristiani scolpivano e dipingevano la raffigurazione della nascita di Gesù già nelle catacombe e nel 1200 anche con le statue. Dopo il concilio di Trento, la natività, si diffuse ancora di più ed è rimasta fino ai nostri giorni con aggiunte di personaggi storici e contemporanei.
Per comprendere la tradizione e la genesi del moderno presepe dobbiamo risalire alle radici della figura dei lari, (lares familiares), profondamente radicate nella cultura etrusca e latina. I lari erano gli antenati defunti che, secondo le tradizioni romane, vegliavano sulla famiglia. Ogni antenato veniva rappresentato con una statuetta, di terracotta o di cera, chiamata sigillum (da signum – segno, effige, immagine).
La più antica raffigurazione della Vergine con Gesù Bambino si trova nelle catacombe di Priscilla sulla via Salaria a Roma dipinta da un artista del III secolo all’interno di un arcosolio, (sepolcro arcato), del II secolo.
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C’è chi asserisce che il presepe moderno sia nato nel Regno di Napoli nel Cinquecento con San Gaetano Thiene. Fu sua l’idea di accostare la scena della natività a episodi di vita quotidiana ambientandoli nelle vie napoletane popolate da personaggi con abiti contemporanei.
Tuttavia solo a partire dal 1600-1700 iniziò l’epoca d’oro dei presepi.
Quella del presepe diventò una tradizione molto sentita in tutto lo Stivale, ma Napoli è rimasta la città simbolo di questa rappresentazione.
La tradizione presepiale di San Gregorio Armeno ha un’origine remota: del resto, Napoli e San Gregorio Armeno sono tutt’uno, amalgamati strettamente alla storia della città.
In epoca classica nella strada c’era un tempio dedicato a Cerere, alla quale i cittadini offrivano delle piccole statuine di terracotta come ex voto, fabbricate dai bottegai della zona.
Col tempo i presepi divennero sempre più popolari. Nel 1291, Papa Niccolò IV fece montare un presepe permanente nella basilica di Santa Maria Maggiore a Roma e, durante il Rinascimento, il presepe divenne un soggetto molto frequentato dagli artisti, soprattutto dai pittori.
Nato dalla componente del patrimonio culturale, si diffuse nelle diverse culture con significative varianti. Anche se l’idea di base, cioè quella della classica scena della nascita di Cristo restò immutata, nei materiali usati e negli stili di costruzione, ogni Paese si avvalse degli usi e costumi locali. Per quanto riguarda la diffusione del presepe nel mondo, si possono suddividere in due grandi macroaree: quella europea e quella che comprende il resto del mondo. Nello specifico appartengono all’area europea con diverse varianti il presepe spagnolo, quello provenzale, quello nei paesi di lingua tedesca e nei paesi dell’est europeo. Invece della macro aerea del resto del mondo fanno parte i presepi dei paesi dell’America latina e quelli di origine orientale e etnica.
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Un cenno al Natale degli scrittori e dei poeti.
Molti autori, del Novecento italiano, credenti e no: da Quasimodo a Saba, da Merini a Rodari. Ognuno a suo modo, con alcune loro opere, hanno descritto le emozioni e le sensazioni sul significato di questa festa; divenuta il simbolo di un prodigio che non ha perso di vista le origini povere e umili della nostra fede.
Corrado Alvaro, uno dei grandi della letteratura del Novecento, descrive in “Gente in Aspromonte” un presepe in un villaggio della sua terra, la Calabria, con i pastori che somigliano alle persone del posto; il cacciatore, il pastore e persino il mendicante.
Dino Buzzati, nel suo “Racconto di Natale” si sofferma a descrivere il senso dell’esistenza. Manifesta con innata spontaneità il significato autentico del Natale, che consta nella partecipazione dell’amore sublime, attraverso una rappresentazione irrazionale dell’egoismo umano.
Italo Calvino (I figli di Babbo Natale)
“Non c’è epoca più gentile e buona, per il mondo dell’industria e del commercio, che il Natale e le settimane precedenti. Sale dalle vie il tremulo suono delle zampogne; e le società anonime, fino a ieri freddamente intente a calcolare fatturato e dividendi, aprono il cuore agli affetti e al sorriso.”
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Salvatore Quasimodo (Natale)
“Ma c’è chi ascolta il pianto del bambino
che morirà poi in croce fra due ladri.”
La conclusione del componimento è amara. La pace fittizia rappresentata dal presepe, osserva Quasimodo, non si riflette nel cuore umano.
Giuseppe Ungaretti (Natale)
“Non ho voglia di tuffarmi in un gomitolo di strade / ho tanta stanchezza sulle spalle…”
E’ il Natale del 1916 e Ungaretti è in licenza a Napoli dove, per un po’, abbandona i paesaggi di guerra.
Il presepe nasceva e, a mano a mano, si sviluppava in tutta l’Europa come manifestazione sentita e profonda di devozione popolare, che accompagnava, seguiva, e talvolta precedeva, premendo il diffondersi dei santuari e del culto delle reliquie. In fondo è naturale: nessuna civiltà nasce e cresce da sola: ma sente il desiderio, come si usa dire, di unità nella diversità: la storia del presepe ne è una perenne conferma. Abbiamo, complice il consumismo, via via perso nel tempo molti di quei valori, ma il Natale che ha generato quelle forti emozioni restano agganciate alla nostra memoria, grazie ai ricordi di infanzia: non ha perso quella magia né quel sentimento di un momento di festa.
Era bello, incontrarsi per strada e scambiarsi il ben augurante, “auguri, buon Natale” e il nostro alito fumava per il freddo…! (Da un ricordo personale…)
Curiosità
A Urbino nell’Oratorio di San Giuseppe è conservato un presepe del 1555, opera di Federico Brandani in stucco, in tufo e pietra pomice, con figure a grandezza naturale.
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Il presepe bolognese può vantare una tradizione plurisecolare che risale al XIII secolo. Si distingue da altre tradizioni presepistiche italiane, ad esempio quella napoletana, perché i personaggi sono scolpiti o modellati per intero, abiti compresi.
La tradizione vuole che sia stato allestito a Penne il primo presepe d’Abruzzo. In quella città dove, nel 1216, San Francesco aveva fondato il primo convento francescano della regione. Il 25 dicembre 1225 il beato Agostino d’Assisi, che due anni prima aveva assistito al Natale di Greccio, desiderò rinnovare la sacra rappresentazione natalizia.
Il presepe genovese vanta antiche e consolidate tradizioni, tanto da aver dato vita, nel Settecento, ad una vera e propria scuola, che si caratterizza per la minuzia e la pregevolezza dei materiali usati (dal legno alla ceramica ma, anche alla carta usata per realizzare raffinate sagome disegnate) con cui, soprattutto nel passato, venivano rifinite nei minimi particolari le statuine. Uno tra questi è di ambientazione urbana, con i tipici carrugi, (vicoli del centro genovese), e si trova nel Santuario di Nostra Signora di Carbonara, (“Madonnetta”).
Gli antichi borghi marchigiani sono cornici perfette per la rappresentazione del suggestivo momento della natività, tra quelli permanenti, ma soprattutto i presepi viventi; ogni borgo ha il suo.
C’è ovunque, in ogni regione italiana, una grande e appassionata partecipazione nell’allestimento dei presepi: fissi e viventi.
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