Articolo a cura di Laura Pitzalis
“La febbre vorrei non averla”
È una semplice frase scritta da Giacomo Puccini a Bruxelles nel 1920, forse a novembre, nei giorni più critici e dolorosi della sua malattia. Destinatario del biglietto il figlio Antonio che lo accompagna proprio in quel suo viaggio della speranza presso la clinica “Institut du Radium” di Bruxelles.
È una frase drammatica che ci rivela quanto fosse desideroso di guarigione, specie in quel periodo in cui è impegnato nella stesura dell’ultima sua opera, Turandot, la cui partitura, nonostante le sue condizioni di salute, ha portato con lui intenzionato a concluderla. Ma non ci riesce. Puccini muore il 29 novembre 1924, per un infarto sopraggiunto dopo un disperato intervento chirurgico eseguito dal prof. Louis Ledoux, un’applicazione, tramite tracheotomia, di sette aghi di platino irradiato inseriti direttamente nella massa tumorale e trattenuti da un collare. Una cura troppo invasiva per il fisico del compositore, sofferente oltretutto di diabete.
GIACOMO PUCCINI MUSICISTA
Giacomo Antonio Domenico Michele Secondo Maria Puccini nasce a Lucca il 22 dicembre 1858 in una famiglia strettamente legata alla vita musicale della città in quanto ultimo di una dinastia di organisti e compositori alla Cattedrale di San Martino. Suo padre, Michele Puccini, è uno stimato professore di composizione e sua madre, Albina Magi, una cantante.
Giacomo ha cinque anni quando il padre muore lasciando la famiglia, lui è sesto di nove figli, in ristrettezze economiche, perciò, va a studiare presso lo zio materno, Fortunato Magi, che lo considera un “falento” ossia un fannullone senza talento. In effetti non si può dire che fosse uno studente modello, “Giacomo Puccini entra in classe solo per consumare i pantaloni sulla sedia, non presta la minima attenzione in nessun argomento e continua a tamburellare sul suo banco come fosse un pianoforte.”
Tutto cambia, comunque, all’età di 14 anni quando si iscrive all’Istituto Musicale di Lucca: tira fuori il suo grande talento per la musica e, finalmente, raggiunge ottimi risultati.
La sua decisione di dedicarsi ad essa totalmente, però, la prende solo dopo aver assistito all’Aida di Giuseppe Verdi. Non potendosi permettere né un biglietto del treno né tantomeno una carrozza, parte da Lucca con alcuni amici e raggiunge a piedi Pisa dove veniva rappresentata, e ne rimane così folgorato che decide che la carriera di compositore sarebbe stata la sua strada.
Racconta in una lettera:
“Il Dio santo mi toccò col dito mignolo e mi disse: ‘Scrivi per il teatro, bada bene, solo per il teatro’. E ho seguito il Supremo consiglio”.
Dopo il diploma si iscrive alla scuola di musica per eccellenza, il Conservatorio di Milano, grazie a una borsa di studio della Regina Margherita, di 100 lire al mese.
A Milano ha la fortuna di avere come maestro Amilcare Ponchielli, che sarà per lui una valida guida, conosce Pietro Mascagni e tra i due nasce una salda e fraterna amicizia: entrambi in precarie condizioni economiche, dividono per un lungo periodo la stessa camera in un modesto appartamento all’ultimo piano.
Fermamente deciso a fare solo il compositore e non l’insegnante o l’interprete, subito dopo l’esame di diploma compone la sua prima opera lirica, “Le Villi”, con cui partecipa al Concorso Sonzogno, ma gli va malissimo, la sua opera non viene neppure presa in considerazione. Grazie, però, all’aiuto di alcuni amici, viene rappresentata nel 1984 al teatro “Dal Verme” di Milano. Non fu un grandissimo successo ma attira l’attenzione del più importante editore musicale italiano, Giulio Ricordi, che non solo inserisce “Le Villi” nel catalogo della sua casa editrice, ma gli commissiona una seconda opera, “Edgar”.
Inizia in questo modo la sfolgorante carriera di Giacomo Puccini come compositore di opere liriche.
Non trovandosi molto a suo agio a Milano, troppa vivacità, chiasso, vita, nel 1900 decide stabilirsi in Toscana, a Torre del Lago, dove comporrà i suoi più grandi capolavori: “Bohème” che lo consacra e lo porta nell’olimpo dei compositori operistici; “Tosca” che avrà molto successo in Inghilterra, meno apprezzata a Roma; “Madama Butterfly“, un flop alla prima esecuzione a Milano, Teatro alla Scala, un trionfo, dopo qualche modifica, al Teatro Grande di Brescia; “Trittico” così chiamato perché composto da tre opere brevi, “Il Tabarro”, “Suor Angelica” e “Gianni Schicchi”; “Turandot”, che impegna Puccini per vari anni con un percorso abbastanza altalenante perché ha problemi alla gola: nell’ottobre 1924 gli verrà diagnosticato un carcinoma laringeo, inoperabile.
Il 4 novembre 1924, mentre sono in corso ritocchi e rifacimenti e con il duetto finale non ancora scritto, Puccini parte per Bruxelles per sottoporsi a una cura sperimentale di radioterapia. Il 24 novembre entra in sala operatoria e pochi giorni dopo, il 29 novembre 1924 muore.
Si celebrano ben tre funerali: a Bruxelles, il vescovo celebra il rito funebre e una folla enorme accompagna la salma al treno per l’Italia; a Milano, il rito in Duomo è solenne, viene eseguito il “Requiem” della sua “Edgar” dall’orchestra della Scala diretta da Arturo Toscanini e dal coro del Duomo; a Torre del Lago, due anni dopo, traslato dalla tomba di famiglia di Toscanini, dove era stato tumulato pro tempore, alla sobria cappella della villa dove Puccini amava stare.
Turandot rimane incompiuta. La termina Franco Alfano che scrive il finale seguendo il libretto già approvato da Puccini ed utilizzando alcuni suoi appunti musicali.
Va in scena per la prima volta al teatro alla Scala di Milano il 25 Aprile 1926, un anno e mezzo dopo la morte del maestro. Quella sera il direttore d’orchestra Arturo Toscanini, nell’esatto punto musicale in cui Puccini aveva scritto l’ultima nota, posa la bacchetta, si rivolge al pubblico e dice: “Qui finisce l’opera, perché a questo punto il maestro è morto”, terminando così la rappresentazione.
GIACOMO PUCCINI E LE DONNE
“Sono nevrotico, isterico, linfatico, degenerato, mal fattoide, erotico, musico-poetico”. E ancora “Bestia, birbante, maschilista, uomo da bettola e bordello”
Così si definisce Giacomo Puccini e in effetti vive all’insegna dell’eccesso e della contraddizione tanto che la sua vita sentimentale e privata è stata spesso oggetto di critiche per l’atteggiamento da impenitente donnaiolo.
La prima storia d’amore importante è con Elvira Bonturi, donna sposata e con due figli. Una passione travolgente, un vero e proprio scandalo per quei tempi, che costringe la coppia, lei incinta di Antonio, a fuggire da Lucca per trasferirsi a Monza. Si sposano, dopo una convivenza durata quasi vent’anni, il 3 gennaio 1904 con matrimonio civile e religioso che permette loro di legittimare il figlio Antonio che aveva già compiuto 17 anni.
Con Elvira, Puccini ha un rapporto dicotomico: da una parte la tradisce più volte cercando relazioni con donne di diverso temperamento; d’altro rimane legato a lei, nonostante la sua eccessiva gelosia e il carattere possessivo, fino alla fine.
Nel 1900 Puccini conosce una giovane torinese Corinna, per lui affettuosamente Cori. Diviene la sua amante, non una delle tante però, ma quella che rischia di far naufragare il tormentato rapporto tra Giacomo e la gelosissima donna Elvira. Puccini se ne innamora alla follia tanto da avanzare una promessa di matrimonio che poi non viene rispettata. L’intrigo amoroso, fra varie vicissitudini, si prolunga per tre anni, durante i quali cercano d’intervenire sia Elvira, spaventata dall’eventualità che la sua convivenza con Puccini si concluda bruscamente, sia Giulio Ricordi, l’editore e “padre putativo” di Giacomo, seriamente preoccupato che l’opera “Madama Butterfly” che Puccini sta scrivendo, non arrivi a compimento.
Ma chi riesce nell’intento è un incidente d’auto: rientrando di notte a Torre del Lago, l’automobile, una Clement Bayard, su cui viaggiano Giacomo, Elvira e Antonio, sbanda finendo in un fossato. Giacomo riporta la frattura della tibia della gamba destra ed è costretto a un lungo periodo di convalescenza durante il quale è impossibilitato a vedere Corinna. E la relazione finisce.
Un’altra donna che lascia il segno nella vita di Giacomo è Sybil Beddington Seligman, conosciuta a Londra nell’ottobre del 1904 in casa di Francesco Paolo Tosti, compositore di romanze da salotto o da camera, amico di Gabriele d’Annunzio e maestro di canto alla corte inglese. Ma è un semplice flirt amoroso poi trasformatosi in una profonda amicizia.
GIACOMO PUCCINI LA TRAGEDIA E LO SCANDALO
Durante la lunga convalescenza, a casa Puccini viene assunta una giovanissima domestica, Doria Manfredi, umile ragazza di campagna di 14 anni. È lo stesso Puccini che la chiama alla morte del padre, suo amico di caccia, per aiutare economicamente la famiglia. Finché è una ragazzina, Elvira non fa particolarmente caso a lei, ma a mano a mano che Doria cresce e si fa carina, inizia a trovarla sempre meno modesta e sempre più maliziosa. Pazza di gelosia l’accusa pubblicamente di essere l’amante del marito, la insulta in modo spregevole davanti ai compaesani, esponendola all’ignominia. E la povera Doria per la vergogna decide di farla finita inghiottendo tre pastiglie di detersivo per i bagni. Muore dopo cinque giorni di agonia e l’autopsia conferma che la ragazza è illibata. Elvira fugge a Milano e passa un anno prima che Puccini la riaccolga in casa, un “Annus horribilis” per il maestro che non riesce a comporre e abbandona tutti i progetti a cui stava lavorando.
PUCCINI E I MOTORI
Un vero appassionato di motori, di automobili ne ha possedute 14, tra cui una meravigliosa Isotta Fraschini, macchine molto belle e sicuramente costose ma non adatte alle strade sterrate che lui percorre per andare a caccia. Così chiede a Vincenzo Lancia di creare appositamente per lui un’automobile in grado di muoversi su terreni accidentati. Dopo pochi mesi, gli viene consegnata quella che possiamo considerare il primo “fuoristrada” costruito in Italia, con tanto di telaio rinforzato e ruote artigliate
PUCCINI UN VERO E PROPRIO “TOSCANACCIO”
Giacomo Puccini è toscano quindi non può che essere simpatico e con un forte senso dell’umorismo. È abituato a scrivere lettere in rima, tantissime ai suoi librettisti, Luigi Illica e Giuseppe Giacosa, un modo divertente per suggerire quello che vuole usino nei versi. Per esempio, a Giocosa per il finale della Bohème:
“Ti rammento l’atto quarto perché io presto me ne parto. Cerca, trova taglia inverti che tu re sei fra gli esperti.”
Da buon toscano è amante del buon cibo. Si mette all’opera soprattutto per la rumorosa schiera degli amici di Torre del Lago con i quali condivide la passione per la caccia e le allegre tavolate che ne seguono dove serve specialità locali come la zuppa di fagioli, il cinghiale in umido e la “scottiglia”, uno stufato di carne cucinato con vino rosso e spezie. Pare, inoltre, che abbia una particolare predilezione per i fagioli. Sembra che vada spesso a far visita all’anziana sorella, suor Angelica, monaca in un convento di Lucca, spinto non solo dall’amore fraterno ma anche dalla passione per i fagioli cotti al fiasco che mangia al refettorio.
PUCCINI TESTIMONIAL
La grande diffusione delle opere pucciniane, e di conseguenza la notorietà del suo nome, non può passare inosservata ai pubblicitari che vedono in lui un ottimo “testimonial”. D’altra parte, Puccini ha un forte senso degli affari e sa quanto la sua immagine possa valorizzare un bene commerciale e quanto questo a sua volta possa pubblicizzare lui. Ecco alcuni esempi di Puccini testimonial: sul numero del 13 luglio 1902 dell’Illustrazione Italiana appare una sua poesia destinata a decantare le virtù del dentifricio Odol; nel 1917 in una bella pubblicità della penna Parker 51, Puccini scrive: “La penna Parker è superlativamente buona”. Ma il brand più famoso a cui fece da testimonial è senza dubbio la Borsalino di Alessandria.
Ricordo che il periodo storico è quello della Belle Époque, un epoca in cui portare il cappello è uno status symbol, quindi un accessorio fondamentale, un simbolo, e l’azienda più rinomata in Italia in quel periodo è l’azienda Borsalino. Perciò chi meglio di un raffinato Puccini avrebbe potuto sponsorizzare il cappello più richiesto dall’alta società?
Nel 1910, quando il maestro è all’apice della sua notorietà, appare la pubblicità “Puccini allo Zenit”, un trafiletto pubblicitario della Borsalino che all’epoca risultò estremamente efficace.
MA CHI ERA REALMENTE PUCCINI?
In gioventù era conosciuto per il gusto degli scherzi e per l’allegria che spesso sfociava nel linguaggio scurrile e nella volgarità. Divenuto con il successo elegante, impeccabile, conservò intatto l’amore per il linguaggio da “toscanaccio verace”. Eppure, al di là dei modi, a volte eccessivi, Puccini era profondamente timido, insicuro, tanto da sospettare di chiunque, da non accettare critiche, sempre alla continua ricerca di conferme esterne delle proprie capacità.
Era sensibile ai cambiamenti stagionali, al dolore fisico, e rischiò di divenire ipocondriaco.
Aveva una personalità contradditoria: perennemente combattuto tra una vita di lusso, fama e apparenza e un’esistenza semplice, fatta di piccole cose; amante delle compagnie chiassose e volgari, del gioco e dello scherzo, e insieme solitario, malinconico soggetto a furiose crisi depressive; instancabile donnaiolo, disponibile alle avventure e ai sotterfugi, ma intimamente desideroso di un rapporto stabile, appagante e sereno.
GIACOMO PUCCINI LA PERSONALITÀ ARTISTICA
Puccini si dedicò in modo pressoché esclusivo alla musica teatrale, scrisse sempre pensando al pubblico, curando personalmente gli allestimenti e seguendo le sue opere in giro per il mondo.
Dette vita in tutto il corso della sua carriera ad un numero relativamente limitato di opere, dodici in tutto, dal momento che il suo scopo era quello di creare delle composizioni assolutamente impeccabili. Le sue opere riflettono i temi e i valori della società italiana dell’epoca come l’amore, la morte, la passione e la lotta per la libertà, un’innovazione che ha contribuito a rendere l’opera italiana più popolare e accessibile al pubblico. Per questo la critica musicale, in particolare quella italiana, guardò molto a lungo a Puccini con sospetto o addirittura con ostilità.
A distanza di un secolo dalla sua morte, il suo contributo alla musica classica continua a riverberare nei teatri di tutto il mondo, e un secolo di ideologie “progressiste” invocanti il binomio “grande arte = arte per pochi” non ha spazzato via le sue opere. E oggi nel 2024, a cento anni esatti dalla morte, riscopriamo la grandezza di Giacomo Puccini, il massimo compositore italiano del primo Novecento, dopo la scomparsa di Giuseppe Verdi, e uno dei più eseguiti al mondo, perché della musica di Puccini non si potrà mai esser sazi. E noi italiani gli dovremo sempre essere grati.