Articolo a cura di Giovanni Peretti
La sintesi che segue è il risultato di un lavoro durato un paio d’anni che ha portato alla realizzazione di un documentario incentrato sulla storia della lana a Livigno, un paese dell’Alta Valtellina.
Su tutte le alpi si lavorava la lana ma a Livigno in particolare, posto a 1.800 metri di altitudine, a causa delle difficoltà di vita, erano sviluppate modalità che comprendevano tutta la catena di lavorazione.
Ora Livigno è una rinomata località turistica, incastonata nel cuore delle Alpi, ma nel passato la sua economia era appunto completamente basata sulla zootecnica e sull’agricoltura, restando tra l’altro completamente isolata dalla neve per molti mesi all’anno.
L’allevamento delle pecore, e di conseguenza anche la lavorazione artigianale della lana, era molto sviluppato anche nella vicina e più alta frazione di Trepalle, a 2100 metri di altitudine, che vanta di avere la parrocchia più alta d’Europa.
La convalle più importante di Livigno non a caso si chiama Val da Fedarìa (da féda… pecora) col significato di valle per la monticazione delle pecore, ove questi animali vi pascolavano dalla primavera all’autunno.
Un po’ di origini
Fin dall’antichità l’uomo ha utilizzato la lana come protezione dal freddo… l’allevamento delle pecore si praticava in tutti gli ambienti montuosi.
Le mani furono il primo attrezzo utilizzato dall’umanità per lavorare la lana, con le mani si tagliava il vello delle pecore e con le mani si torcevano artigianalmente i fiocchi di fibra di lana, allungati e stesi il più possibile. Il lavoro di torcere con le mani la fibra tessile era lungo e complesso e già in epoca preistorica veniva eseguito con l’aiuto di un semplice fuso.
Nel corso del tempo le tecniche subirono un’evoluzione e un affinamento, fino ad arrivare ad una serie di operazioni che ancor oggi, a distanza di secoli dalla loro codificazione, resistono immutate.
Le pecore sono state tosate a mano per secoli con apposite forbici, particolari cesoie costituite da due taglienti lame collegate da una staffa a molla. E’ un’operazione importante e delicata: a fine tosatura il vello doveva risultare il più compatto e spesso possibile, conservarsi intero e praticamente con la stessa forma che aveva sul corpo della pecora. I velli tosati venivano poi arrotolati, con la parte del pelo all’interno, e quindi messi nei sacchi. Per ogni tosatura la pecora forniva mediamente circa un chilogrammo di lana.
Le macchine per cardare
L’operazione di cardatura della lana, quel processo che consiste nel liberare dalle impurità, districare e rendere parallele le fibre tessili, al fine di permettere le successive operazioni di filatura, è sempre stata effettuata a mano con un apposito strumento.
L’invenzione delle prime macchine per cardare in modo automatico le fibre tessili risale alla metà del 1700 ma è con la rivoluzione industriale dell’Ottocento che raggiungono buone caratteristiche tecniche ed un buon sviluppo. La cardatrice, o scardasso, è un complesso macchinario formato da molti cilindri rotanti, di dimensioni diverse e che girano a velocità diverse, muniti di migliaia di piccoli denti d’acciaio più o meno grossi e uncinati.
Il suo lavoro è districare e rendere parallele le fibre tessili, liberandole dalle impurità, al fine di permettere le successive operazioni di filatura. La cardatrice deve il suo nome alla pianta del cardo: anticamente le infiorescenze seccate del cardo dei lanaioli (che sono coperte di duri aculei) venivano usate per questo lavoro.
A Livigno nei primi anni del 1900 un intelligente falegname portò dalla Svizzera, acquistati usati, due ingegnosi e complessi macchinari per cardare la lana, che erano della metà dell’Ottocento. Essi risparmiavano la fatica ed il tempo di cardare a mano e permettevano di districare e rendere parallele le fibre tessili, liberandole dalle impurità, al fine di permettere le successive operazioni di filatura.
La lana, una preziosa fibra naturale
La lana è una fibra naturale che fin dall’antichità è apprezzata per le sue proprietà. Le sue caratteristiche variano a seconda della razza della pecora e della parte dell’animale da cui proviene.
Ecco le principali particolarità fisiche della lana:
* È un buon isolante termico. Agisce come barriera termica e, quindi, consente di mantenere il calore corporeo, rendendo la lana un materiale molto adatto per indumenti caldi.
* È elastica. Allo strappo offre un grande allungamento prima di rompersi e recupera poi la dimensione originale.
* È flessibile. Supporta piegature multiple senza rottura.
* È igroscopica. In un’atmosfera umida assorbe vapore acqueo e in un ambiente secco lo rilascia.
* È un isolante elettrico. Non conserva l’elettricità statica.
Come caratteristiche chimiche è sufficiente ricordare che la lana:
* È un ritardante di fiamma.
* È resistente agli acidi moderati.
* È resistente ai solventi organici, mentre è poco resistente agli alcàli e cioè in una soluzione non acida può sciogliersi.
La lana è composta da due elementi, cheratina e lanolina. La cheratina è una proteina naturale con una struttura polimerica che fornisce elasticità, flessibilità e resistenza. La lanolina è un grasso che avvolge le fibre ed è impermeabile. La cheratina, essendo una proteina, è un alimento per insetti come la tarma, dalla quale dobbiamo proteggere i nostri tessuti.
La trasformazione in filato
Per trasformare la fibra grezza della lana prodotta con la cardatrice in filato è necessaria una sequenza di operazioni solo in apparenza semplice. Il prodotto che si ottiene è un filo resistente, omogeneo e sufficientemente lungo per poter essere usato nella fabbricazione di tessuti, attraverso l’uso di un telaio, o indumenti vari lavorati ‘a maglia’.
Per trasformare una massa di fibre grezze in un filato l’operazione indispensabile è la torcitura e questa, artigianalmente, si ottiene con l’utilizzo del filatoio a pedale, attrezzo utilizzato sin dal 1300 seppur, allora, in forme e con caratteristiche non ancora ben sviluppate.
A metà del 1700 vi fu un’ulteriore evoluzione e venne inventato il filatoio ad alette (Carèl).
E’ un attrezzo realizzato in legno, dotato di una ruota azionata da un pedale che, collegata da una cinghia all’aspo, dà la rotazione al rocchetto su cui si avvolge il filo e alle alette che provvedono a distribuirlo regolarmente sul rocchetto stesso. La velocità della lavorazione è data dalla frequenza con cui si aziona il pedale e conseguentemente dall’abilità del filatore nel fornire sufficiente e regolare quantità di fibre al trascinamento dell’aspo. Il pregio del filato è dato dalla sua regolarità. Quindi, oltre che una buona preparazione delle fibre con la cardatura, è l’abilità del filatore nel porgere costantemente la giusta quantità di fibre alla torsione che determina la buona riuscita del lavoro.
Se il filatore non è sufficientemente veloce si avrà la rottura del filo, se lo è troppo si otterranno ispessimenti o grumi. Il lavoro di filatura veniva effettuato a mano con il filatoio a pedale ed era un’attività che veniva svolta praticamente da tutte le donne del paese. La filatura della lana ed i lavori a maglia erano un’occasione per stare in compagnia.
Coperte, cappotti, maglie, pantaloni, calze, guanti, berretti, sciarpe: tutti caldi indumenti che si realizzavano prevalentemente durante i mesi invernali, nel tepore delle stanze di legno (Sc’tùe), ed erano l’occasione per raccontarsi delle storie di paese ed anche ingenui… si dice.
La storia della lana affonda le proprie radici in un passato molto lontano, alle origini della civiltà agricola. Ancora oggi, i moderni metodi di produzione custodiscono i segreti dell’arte della lavorazione della lana, patrimonio di conoscenze antichissime.
La lana: un tessuto ricco di storia, legato ad un artigianato che affonda le proprie radici nel profondo passato dell’uomo.
Il documentario: La storia della lana a Livigno
Il documentario, dal quale è stato tratto il testo qui riportato, descrive la storia della lana in un paese alpino nel cuore delle Alpi: Livigno, che si trova a 1.800 metri di altitudine in Alta Valtellina. in Provincia di Sondrio, che allora viveva esclusivamente di zootecnia e di agricoltura. Lo si può visionare sul canale YouTube “Giovanni Peretti Bormio” nella Playlist “I documentari sui mestieri scomparsi” a questo link:
Di seguito invece il link per accedere al trailer:
Documentario La filögna e la filiera della lana a Livigno: le macchine per cardare (la sc’chertéśgiarìa), la filatrice (la filögna) e il lavoro a maglia.
Registrato presso il “MUS! Museo di Livigno e Trepalle” nel dialetto locale di Livigno, sottotitolato in italiano.
Voce narrante: Nicola De Gregorio
Artigiani: Vito Bormolini (classe 1946), Cristina Bormolini (Classe 1937) e Domenica Menia Silvestri (Classe 1944).
Musiche: © Joachim Lehberger, per Alpinia.
Durata 50 minuti. Produzione: Alpinia, Bormio, 2023. Regia e realizzazione © Giovanni Peretti (peretti.gio@gmail.com).
Curiosità
La lana migliore per essere filata si trovava sui fianchi, sul dorso e sulle spalle. La lana tosata sul ventre e sulle gambe veniva utilizzata per i materassi o per i cuscini.
A Bormio le pecore si lavavano nel cosiddetto “Bàgn de li béscia“, il bagno delle pecore. Era situato presso i Bagni Nuovi ed era composto da due vasche di calda acqua termale che sgorgava a circa 40 gradi centigradi, delle dimensioni di oltre 100 metri quadrati. Esse erano liberamente utilizzate, a seguito di una servitù che risaliva al XII secolo, per lavare in acqua termale calda la lana delle pecore prima della tosatura.